Asperiores, tenetur, blanditiis, quaerat odit ex exercitationem pariatur quibusdam veritatis quisquam laboriosam esse beatae hic perferendis velit deserunt soluta iste repellendus officia in neque veniam debitis placeat quo unde reprehenderit eum facilis vitae. Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisicing elit. Nihil, reprehenderit!
Le dimissioni di Pfister e il Governo imbrigliato
La rinuncia del presidente del Centro potrebbe portare ad un rimescolamento delle carte anche in Consiglio federale
Roberto Porta
A Berna qualcosa si muove. Nel giorno dell’Epifania, della festa che oltre San Gottardo viene chiamata anche «dei tre re», il presidente del Centro Gerhard Pfister (nella foto) ha annunciato di voler lasciare la guida del suo partito, compagine che fino a pochi anni fa si chiamava Partito democratico-cristiano, e che in Ticino portava il nome di Popolare-democratico. Pfister non ha scelto a caso il giorno «dei tre re», proprio per l’Epifania di nove anni fa aveva annunciato la sua disponibilità ad assumere questa presidenza. Sessantadue anni, il consigliere nazionale zughese rimarrà in carica ancora per sei mesi, il tempo di cercare un nuovo o una nuova presidente.
Dall’inizio di questa legislatura, poco più di un anno fa, sono così già tre i partiti che hanno sostituito il loro numero uno. Lo hanno fatto i Verdi, usciti malconci dalle elezioni federali del 2023, guidati ora dalla ginevrina Lisa Mazzone. E lo ha fatto l’Udc, che in quelle elezioni aveva invece rafforzato la sua posizione di primo partito svizzero. Marco Chiesa ha così potuto lasciare a testa alta il compito di presidente che svolgeva dall’agosto del 2020. Dalla scorsa primavera i democentristi sono guidati dal consigliere nazionale svittese Marcel Dettling. L’uscita di scena di Gerhard Pfister chiude un’epoca ben più lunga e significativa rispetto a quella degli ormai ex presidenti dei Verdi e dell’Udc, un periodo segnato in particolare da un rafforzamento elettorale del partito e dal suo nuovo nome, con la rinuncia alla «c» di cristiano. In questi anni c’è stata anche una fusione con i Borghesi democratici, formazione in forte calo di consensi dopo l’uscita di scena della loro consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf. Pfister rimarrà comunque in Parlamento, dove siede da ben 21 anni e dove si è costruito la reputazione di abile «tessitore di intese», con il suo partito che si è spesso ritrovato nel ruolo, strategicamente rilevante, di ago della bilancia. Non che il Centro sia sempre unito a sostegno del suo presidente, più volte in particolare i consiglieri agli Stati centristi si sono schierati su posizioni diverse da quelle della loro dirigenza, creando tensioni e imbarazzo. Un problema che presto passerà nelle mani di chi succederà a Pfister e che rischia di scoraggiare anche qualche possibile «papabile».
Ma al di là di queste dinamiche interne al Centro, la dimissioni di Pfister potrebbero portare ad un rimescolamento delle carte anche in Consiglio federale. Da tempo a Berna si rincorrono le voci che definiscono «prossime» le dimissioni di Viola Amherd, ministra della difesa, proprio del Centro. La consigliera federale vallesana è in carica dal primo gennaio del 2019, ha appena concluso un anno da presidente della Confederazione. A detta di diversi osservatori, il dinamismo e l’energia che avevano caratterizzato i suoi primi anni in Governo si sono ormai almeno parzialmente esauriti. E questa potrebbe anche essere una delle motivazioni che stanno alla base delle dimissioni di Pfister. La storia insegna che per un presidente di partito non è mai facile affrontare la corsa, e la campagna politica, che porta all’elezione in Consiglio federale, anche se in questo senso non mancano di certo le eccezioni, alcune proprio legate all’ormai ex partito democratico-cristiano.
Nel 2006 Doris Leuthard si candidò per il Governo quando era ancora presidente del suo partito, e lo stesso fece nel 1987 il ticinese Flavio Cotti. Entrambi furono eletti brillantemente, già al primo turno. Su questo punto nelle interviste rilasciate dopo aver annunciato le sue dimissioni, Gerhard Pfister non si è sbilanciato, come del resto prevede il canovaccio in queste occasioni, pur lasciando capire di «essere pronto ad affrontare nuove sfide».
Una cosa è certa, nella sua attuale composizione il Consiglio federale appare piuttosto imbrigliato, come se gli mancasse la forza necessaria per dare al Paese gli impulsi di cui ha bisogno. Lo si è visto in modo piuttosto eloquente lo scorso 20 dicembre quando il Governo ha presentato i risultati delle trattative con l’Unione europea per la definizione dei bilaterali del futuro. In quella lunga conferenza stampa c’è voluto del tempo prima di sentire il ministro degli esteri Ignazio Cassis affermare di «essere fiero del lavoro svolto». È mancata però forza e convinzione anche nelle parole degli altri due ministri – Guy Parmelin e Beat Jans – che con lui hanno presentato la conclusione «materiale» di quelle trattative. Appaiono così pertinenti i dubbi di chi ritiene che con questo tipo di atteggiamento sarà ben difficile riuscire a convincere il popolo svizzero a dare il proprio definitivo nullaosta a questo nuovo accordo. Su questo punto si è espressa di recente sulle colonne di «Le Temps» anche Ruth Dreifuss. In quell’intervista l’ex consigliera federale socialista ha ricordato gli anni Novanta del secolo scorso, quando il Governo aveva deciso di aprire i negoziati per la definizione dei primi accordi bilaterali. «All’epoca emerse una forte leadership del Consiglio federale. Oggi non posso dire di avere la stessa impressione, e questo mi dispiace molto». A suo dire il Governo si è finora rifugiato in un «silenzio imbarazzante». A questo proposito va detto che dopo un lungo silenzio stampa Ignazio Cassis ha finalmente rilasciato lo scorso 30 dicembre un’intervista, al «Tages Anzeiger» e alle testate di questo gruppo. Un colloquio a 360 gradi in cui, sul tema dei bilaterali, il ministro ticinese non è però andato molto al di là rispetto a quello che aveva già dichiarato al momento della presentazione dei risultati di queste trattative. E qui, in conclusione, torniamo a Viola Amherd e alle sue possibili, prossime, dimissioni dal Consiglio federale. E questo perché la sua uscita dal Governo potrebbe anche spingere lo stesso Cassis a compiere lo stesso passo, magari una volta consegnato al Parlamento il rapporto sull’accordo con l’Ue, previsto nel corso dell’estate. Un modo per portare le Camere federali ad una doppia e simultanea elezione di due nuovi ministri. Con il Plr che in questo modo avrebbe tutte le carte in regola per confermare il seggio vacante, e allontanare così il rischio di rimanere con un solo consigliere federale. A contendergli uno dei due seggi, da tempo, è proprio il Centro, ed è del tutto improbabile che il Parlamento decida di eleggere contemporaneamente due nuovi ministri centristi, anche perché elettoralmente i due partiti al momento si equivalgono. Il 2025 inizia dunque con una partenza di spicco, quella di Pfister, e con qualche possibile scossa di assestamento, forse anche dentro il Governo.