azione.ch
 



Disparità salariale

Non si tratta di una scelta femminile
/ 30/12/2024
Marialuisa Parodi

L’Ufficio federale di statistisca (UFS) ci informa che la disparità salariale tra uomini e donne è scesa dal 18 al 16,2% tra il 2020 e il 2022. Una buona notizia, anche se permangono nodi strutturali ancora da sciogliere: il settore privato è meno virtuoso di quello pubblico; gli ambiti dalle differenze più marcate sono quelli tradizionalmente maschili (e caratterizzati da remunerazioni molto diverse tra le funzioni di front e back office, come la finanza); il gap salariale aumenta con età e seniority ed è più pronunciato nelle aziende di piccole dimensioni. Sappiamo che la differenza salariale si nutre della segregazione orizzontale e verticale di cui soffre il lavoro femminile. Si pensi, da una parte, alla forte concentrazione di lavoratrici nei settori meno remunerati e, dall’altra, alla graduale scomparsa delle donne man mano che si sale lungo la scala gerarchica, a prescindere da professione o settore (quelli tipicamente femminili non fanno eccezione). Un complesso di condizioni fragilizzanti quindi, che non mancano di lasciare le impronte più dolorose nei momenti di crisi economica.

L’UFS pubblica regolarmente un’informazione aggiuntiva che distingue la differenza salariale spiegabile da quella inspiegabile. Per quanto interessante sul piano squisitamente statistico, essa non sposta di un millimetro – né è suo compito farlo – le barriere che le donne incontrano nell’affermazione professionale, in un contesto culturale che ancora le ritiene prioritariamente responsabili della cura e dello spazio privato. Per esempio, è impossibile quantificare ex-ante la rinuncia delle ragazze ai percorsi STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Matematica) indotta dalla perdita di fiducia nelle proprie competenze, che già le colpisce a 5-6 anni, come diretta conseguenza di pregiudizi ambientali. E nemmeno si può valorizzare quell’assenza di congedi parentali, o posti nido a prezzi accessibili, che contrae l’investimento nella carriera, ineluttabile per la stragrande maggioranza di neo-madri.

Tuttavia, di questi fatti accertati (come di molti altri), si rintraccia nei dati il risultato tangibile ex-post: sia in termini di busta paga più leggera, sia nella spiegazione oggettiva che la statistica riesce a dare, appunto, di questa differenza. Bisogna però rifuggire la tentazione di rilanciare nel campo delle «scelte» femminili la parte spiegabile del gap salariale; ovvero, per riprendere gli esempi precedenti, un’ipotetica preferenza delle donne per un certo tipo di studi o per il part-time dopo la maternità. A parte che non dovrebbe sfuggire l’irrazionalità, financo il masochismo, di talune «scelte», in effetti si tratta di tutt’altro. Far di necessità virtù, adattarsi a norme sociali e vincoli economici, mantenere in equilibrio la cura e il lavoro: di questo si fanno perlopiù carico le lavoratrici, spesso in nome e per conto della famiglia. «Scegliere» è tutt’altra faccenda ed è privilegio di poche. Sono precisazioni importanti, anche per contrastare il rischio di una certa deresponsabilizzazione della politica e dell’economia, che talvolta accompagna la diffusione di questi dati e che purtroppo non aiuta a progredire.

Lo si evince anche dall’altro fronte, quello della differenza salariale non spiegabile statisticamente. Si potrebbe discutere se sia l’unica propriamente discriminatoria e quindi l’unica che conti davvero, come viene spesso mediatizzata, ma tant’è: l’UFS ci informa che il gap salariale non imputabile a fattori tangibili, anziché contrarsi, nel 2022 è salito al 48,2% (era 47,8% nel 2020 e 39,6% nel 2008). Curiosamente, da questo punto di vista, il privato fa meglio del pubblico, anche se poi le escursioni settoriali sono ampie. Nel farmaceutico, che storicamente vanta una certa equità degli stipendi, non si spiega quasi il 73% del gap; al contrario, della grave disparità salariale della finanza (29,4%), oltre due terzi sono attribuibili a fattori oggettivi.

Al di là dei virtuosismi statistici, nella sostanza i numeri non smentiscono, e semmai confermano (in Svizzera come altrove), ciò che altre discipline hanno appurato da tempo: la disparità salariale è la punta di un iceberg e le sue cause affondano le radici nella cultura di segregazione dei ruoli di genere che, seppur anacronistica e non più giustificata dalle odierne condizioni di vita, tarda e fatica ad allinearsi ai tempi. Una fatica di cui sono prova, nella nostra attualità, gli ostacoli a trovare un accordo politico anche per poche settimane di congedo parentale; oppure a cogliere l’asimmetria strategica tra un fermo impegno di spesa pubblica per il potenziamento dei nidi e un mini assegno ai genitori per sostenere le rette più care del mondo. Che ne penseranno le «scelte» femminili?

Per ulteriori informazioni vedi Résultats de l'analyse des différences salariales entre femmes et hommes sur la base de l'enquête suisse sur la structure des salaires (ESS) 2022, GNP Diffusion e www.bfs.admin.ch/bfs/it/home/statistiche/lavoro-reddito/salari-reddito-lavoro-costo-lavoro/struttura-salari/disparita-salariale.html.