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Dati in Svizzera

Nel mese di agosto 2024 il numero dei disoccupati è aumentato di 3638 unità (+3,4%) rispetto al mese precedente, per un totale di 111’354 persone. Lo ha annunciato settimana scorsa la Segreteria di Stato dell’economia (Seco). Rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, il numero dei disoccupati è aumentato di 21’473 unità (+23,9%). Nel mese di agosto 2024 il tasso di disoccupazione è aumentato di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente, pari al 2,4%.

Sempre la Seco afferma: «Da luglio 2024 a agosto 2024 il numero di disoccupati giovani (15-24 anni) è aumentato di 2004 unità (+20,2%), per un totale di 11’905 persone. Rispetto allo stesso mese dell’anno precedente ciò corrisponde a un aumento di 2’093 persone (+21,3%). Nel mese di agosto 2024 il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato di 0,5 punti percentuali rispetto al mese precedente, pari al 2,7%». Red.


Quando un lavoro non si trova

Un’analisi della disoccupazione giovanile nel mondo – specie in Asia, Europa, America – e le sue implicazioni
/ 09/09/2024
Federico Rampini

La disoccupazione giovanile è una «malattia eurasiatica»? Per l’Europa del sud nessuna sorpresa, purtroppo. Paesi come Italia, Spagna, Grecia hanno avuto da sempre questo problema, con tassi di disoccupazione giovanile che a seconda dei periodi e delle metodologie di misurazione possono superare il 20%. La novità più recente è che lo stesso fenomeno oggi sia tipico di economie che siamo soliti considerare dinamiche, i «dragoni» o le «tigri» dell’Asia. Con sistemi economici assai diversi tra loro – e diversi dai nostri – come lo sono quello cinese o indiano, però accomunati dalla difficoltà a creare posti di lavoro per i giovani. Soprattutto se questi giovani sono laureati. Il problema rischia di creare tensioni sociali, com’è già accaduto in Bangladesh dove proprio le violente proteste studentesche hanno portato alla caduta di un Governo e a un golpe militare, sia pure «addolcito» dalla nomina del Premio Nobel Muhammad Yunus come primo ministro.

Il Bangladesh è un caso singolare perché negli ultimi dieci anni era stato considerato come un modello di crescita economica, con un aumento medio del Pil pari al 6,5% annuo. Era diventato la nuova meta per le delocalizzazioni industriali, in particolare nel settore del tessile –abbigliamento e calzaturiero, grazie a costi del lavoro inferiori a quelli della Cina. Di fatto perfino grandi aziende cinesi del settore avevano spostato una parte della loro produzione in Bangladesh, che tra l’altro non viene considerato come un potenziale bersaglio del protezionismo americano. Ma il forte tasso di crescita economica non ha impedito che la disoccupazione giovanile salisse al 16%. Una cifra alta, eppure tutt’altro che anomala in quell’area del mondo. L’India ha una percentuale simile di giovani senza lavoro. L’Indonesia soffre di una disoccupazione giovanile al 14%, la Malesia al 12,5% secondo i dati dell’International Labor Organization. In quanto alla Cina, ha deciso di cancellare le statistiche sulla sua disoccupazione giovanile, dopo che aveva raggiunto il livello record del 21%. L’Europa meridionale ha livelli paragonabili, ma è raro che il Mezzogiorno italiano o la Grecia si vedano affiancati alle potenze emergenti dell’Asia, i cui tassi di crescita economica sono ben superiori.

Il problema asiatico si concentra sulla cosiddetta disoccupazione intellettuale e quindi sulla difficoltà a creare lavoro per laureati. Il caso dell’India lo conferma: la disoccupazione raggiunge un massimo del 40% tra i giovani sotto i 25 anni che hanno conseguito una laurea, mentre è dell’11% tra i loro coetanei che hanno fatto solo la scuola elementare. In Cina, nonostante la censura sulle statistiche, è noto che il problema è identico. In tutti questi Paesi, quindi, la crescita economica dinamica ha continuato a creare posti di lavoro operai nel settore manifatturiero, mentre non è stata capace di assorbire una generazione di laureati. Le spiegazioni sono tante dal lato della domanda aziendale: dall’insufficiente riconversione verso le attività più qualificate, all’avanzata dell’automazione. Per quanto riguarda l’offerta di forza lavoro, c’è una rigidità nelle aspettative. Giovani che hanno conseguito una laurea – spesso grazie a pesanti sacrifici economici dei genitori per finanziare i loro studi – non accettano lavori che per loro rappresentano un declassamento. In Cina gli stessi genitori a volte incoraggiano i figli a restare a loro carico e a vivere in casa nell’attesa di trovare un posto all’altezza delle loro aspettative, anziché subire l’umiliazione di «tornare in fabbrica» cioè accettare lo stesso status sociale della generazione precedente.

Di fronte al «male eurasiatico» che è la disoccupazione intellettuale delle nuove generazioni, c’è poi il paradosso americano. Gli Stati Uniti ignorano cosa sia la disoccupazione giovanile, sia i laureati sia i non laureati delle ultime leve godono di una situazione molto vicina al pieno impiego. Eppure sono a maggioranza scontenti, depressi, preoccupati per le loro prospettive economiche. L’ultima indagine demoscopica NORC rivela che il «sogno americano» ai loro occhi sembra sempre meno realizzabile. Accesso alla casa e speranza di una pensione futura sono due temi ricorrenti. L’89% degli intervistati considera essenziale o importante comprare una casa per avere sicurezza in futuro, ma solo il 10% pensa che questo acquisto sia alla sua portata. La sicurezza finanziaria e una pensione dignitosa sono giudicate essenziali dal 95%, ma solo il 9% pensa che riuscirà facilmente a ottenerle. Lo stesso sondaggio dava risultati molto più ottimisti un decennio fa. Altri indicatori sembrano confermare che il pessimismo dei giovani americani è fondato. Tra coloro che nacquero subito dopo la Seconda guerra mondiale, il 90% finì per stare meglio dei genitori; invece tra coloro che nacquero dopo il 1980 solo la metà ha superato le condizioni socio-economiche dei genitori. È un tema che sicuramente avrà un impatto anche in questa elezione. Uno degli slogan di Kamala Harris è «creare un’economia delle opportunità».

Ad aggravare le prospettive della disoccupazione giovanile «eurasiatica» c’è il problema cinese. La Repubblica Popolare, lungi dall’essere un motore per la crescita economica mondiale, è un fattore frenante. Punta all’autosufficienza in ogni settore, e ambisce a un dominio planetario in quasi tutte le produzioni. L’intera organizzazione della sua economia è basata su questo principio. A cominciare dal persistente sacrificio dei consumatori cinesi, le cui spese rimangono sottodimensionate, per favorire gli investimenti e le esportazioni. Il funzionamento generale dell’economia cinese si capisce partendo da questo: nelle altre grandi economie i consumi assorbono dal 50% al 75% del Pil, in Cina sono molto sotto, appena il 40% del Pil. Tutto lo spazio lasciato libero dai consumi deboli viene riservato a investimenti ed esportazioni. L’avanzo commerciale della Repubblica Popolare ha raggiunto i 900 miliardi di dollari annui. Dal 2019 a oggi l’avanzo con gli Stati Uniti è aumentato di 49 miliardi di dollari, ma ancor più è cresciuto quello con l’Unione europea (+72 miliardi) e quello con il Giappone e le altre economie asiatiche (+74 miliardi). Con tutto il resto del mondo la Cina ha un avanzo di 240 miliardi. Ciò che i consumatori cinesi non comprano deve essere venduto all’estero: è questa la logica implacabile per cui il sotto-consumo interno accentua ed esaspera la pressione competitiva con cui l’industria cinese invade gli altri mercati.

Le ragioni per cui la popolazione cinese consuma troppo poco sono molteplici: vanno dai salari ancora troppo bassi, all’assenza di un vero welfare, più altre caratteristiche del sistema fiscale. Sopra tutto c’è l’ideologia. Mentre ancora dieci anni fa alcuni tecnocrati a Pechino riconoscevano apertamente la necessità di riorganizzare l’economia per dare più spazio ai consumi, in seguito si è imposto il dogma di Xi Jinping: il consumismo è decadente, lasciamolo agli occidentali, noi continuiamo invece a invadere i loro mercati e a renderli dipendenti dalla nostra industria. La disoccupazione dei giovani neolaureati cinesi, e quella di altre parti del mondo, è aggravata anche da questo squilibrio strutturale.