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Dove e quando

Sabato 14 settembre alle 21.00 nella Tenda Babel a Bellinzona.

Per il programma del Festival del 13 al 15 settembre:

www.babelfestival.com


Hotel Bella Speranza e altre storie spirituali

Intervista al Premio svizzero di letteratura Michael Fehr che sabato 14 settembre sarà ospite a Babel
/ 09/09/2024
Natascha Fioretti

«Un uomo semplice, che voleva solo andar per la sua strada, passando davanti all’ingresso di un hotel si sente rivolgere la parola da un valletto che, con disinvoltura un po’ ostentata, se ne sta lì, all’ingresso, su un tappeto dai disegni confusi. Il valletto gli assicura che qualcuno ha prenotato a suo nome una stanza speciale e ha già saldato il conto. (…) L’uomo semplice domanda: “Dice a me?”. Il valletto risponde: “Certo, quant’è vero che son qui su questo tappeto. Possiamo volare fin là. Salga a bordo”».

Sarà per le atmosfere irreali che suscita, la storia che apre la raccolta e le dà anche il titolo mi ha fatto subito pensare all’architettura fantastica e ai colori pastello del Grand Budapest Hotel di Wes Anderson. In questo caso però si tratta dell’Hotel e della fervida, bizzarra immaginazione del bernese Michael Fehr, classe 1982, un narratore, come lui ama definirsi, che si diletta tanto nella prosa quanto nella poesia, canta persino ed è un abile performer. Similiberg (2015), la sua seconda pubblicazione, gli è valsa il Premio Klag (nell’ambito del Premio Ingeborg Bachmann 2014), mentre con Glanz und Schatten (2017) ha ricevuto il Premio svizzero di letteratura. Ora per le Edizioni Casagrande esce invece il suo più recente lavoro (è la sua prima traduzione in italiano) Hotel der Zuversicht (2022) che nell’edizione nostrana è diventato Hotel Bella Speranza.

Quel che è certo, al di là dei premi e dei riconoscimenti, è che Michael Fehr grazie alla musicalità della sua prosa, la stravaganza della sua immaginazione e l’originalità dei contenuti, da tempo si è fatto notare nel mondo letterario svizzero.

Se siete curiosi, oltre a leggere il libro, potrete ascoltare Michael Fehr dal vivo sabato prossimo a Babel, il Festival bellinzonese di letteratura e traduzione quest’anno dedicato alla Francia che si svolge dal 13 al 15 settembre (per il programma completo: www.babelfestival.ch).

Fehr sarà impegnato in una performance musicale nell’ambito dell’incontro che vedrà ospiti Fabio Pusterla, Claudia Quadri, Alberto Saibene e Maurizia Balmelli e intende festeggiare gli anniversari delle Edizioni Casagrande (di cui abbiamo parlato nello scorso numero) e quello di Collana ch, progetto che promuove la traduzione di opere svizzere contemporanee in un’altra lingua nazionale, giunto quest’anno al suo primo mezzo secolo.

Della sua originalità nel panorama letterario svizzero contemporaneo Michael Fehr non solo è consapevole ma anche orgoglioso. Non a tutti in effetti verrebbe in mente di scrivere di un meteorologo di nome Lavanda Wellington che fa le previsioni del tempo con dei vasetti di marmellata fra i ghiacci e le nevi perenni. O di una coppia di coiniugi ai quali la direttrice di un Grand Hotel vieta il soggiorno perché viaggiano su una Ferrari rossa e non su una Rolls-Royce blu notte che ben si intona con gli interni azzurri dell’albergo.

Per capire l’essenza della scrittura di Michael Fehr bisogna partire da un dato biografico, come ci dice lui stesso. «Bisogna partire dal presupposto che le mie storie sono le storie di un cieco, di una persona gravemente ipovedente dalla nascita, per cui funzionano in modo diverso. Il mio mondo, il mondo che racconto è un universo interiore. Le mie storie, le mie immagini vengono da dentro, non sono il frutto di un’osservazione biografica e psicologica di quanto accade fuori».

C’è chi definisce «assurdi» i suoi mondi letterari e «stravaganti» e «dubbiose» le figure che animano le sue storie, ma Fehr è sicuro del suo sentire, del suo estro letterario. «Molti scrittori si limitano a scrivere ciò che vedono o si concentrano sulla loro vita. Le mie invece sono storie interiori, storie spirituali che nascono da immagini oniriche e portano con loro elementi surreali rendendole spesso enigmatiche. È anche vero che il lettore, nel leggerle, può avere la sensazione di essere abbondonato a se stesso perché i miei racconti, proprio come accade nei sogni, non forniscono soluzioni o finali rassicuranti. Questo può innervosire quei lettori che sono ancorati a un modo convenzionale di leggere e trovano criptica la mia scrittura. Io invece sono convinto che nel nutrirli, lasciandoli al contempo liberi di pensare, coltivo dei lettori felici».

Le storie di Fehr non sono tutte a lieto fine, talvolta possono essere un po’ crude, ruvide e violente. «Ciò che a me interessa è andare al cuore della vita, della sua essenza. Anche nei testi di Ovidio, che amo, c’è violenza ma ciò non toglie che i suoi testi sono un inno alla vita. A mio avviso la letteratura non può essere mera descrizione, riproduzione della realtà. La letteratura è trasformazione o, per dirla con Ovidio, la letteratura è metamorfosi».

Non a caso l’edizione 2024 di Babel, dedicata alla Francia, va in cerca delle metamorfosi contemporanee, non solo letterarie, ma anche politiche e sociali.

Per leggere Michael Fehr bisogna dunque essere pronti a lasciare la riva e a varcare la soglia dell’irrazionale senza avere timore di confrontarsi con sensazioni forti e spiacevoli. Questo ci porta anche al titolo e al significato dell’opera. «In tedesco la parola Zuversicht ha una connotazione e una vibrazione chiara, dice l’autore. E se nella versione inglese si è trovato il corrispettivo Hotel of Confidence, in Italiano non c’è un equivalente traduzione letterale». Da qui la scelta Hotel Bella Speranza. «Una soluzione che mi piace perché non tradisce il senso originale, quello di dire che di fronte al destino non possiamo nulla se non serbare, in ultimo, una speranza». Possiamo essere efficienti e virtuosi quanto ci pare ma questo non vuol dire che tutto andrà bene. Resta che la parola tedesca Zuversicht è quella che in sé contiene tutto, anche una dimensione religiosa del credere, dell’essere fiduciosi. «La fiducia che intendo io, approfondisce Fehr, è quella che deriva dalla consapevolezza di far parte di qualcosa di più grande, per cui ognuno di noi è solo una piccola parte di un universo. La fiducia di cui parlo fa appello a un’entità che è più grande di me».