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Mosca ancora spiazzata dal colpo di scena ucraino

La conquista di territori russi da parte di Kiev rompe l’idea di uno «stallo» e apre prospettive alle trattative di pace
/ 02/09/2024
Anna Zafesova

«La situazione nelle zone frontaliere delle regioni di Kursk, Belgorod e Bryansk». Nei documenti e nelle comunicazioni ufficiali del Cremlino si chiama così, e perfino Vladimir Putin nelle sue videoconferenze con ministri e generali al massimo parla di «provocazione». Un eufemismo per un’operazione che comincia ad avere dei numeri di tutto rispetto: più di 1200 chilometri quadrati di territorio, un centinaio di centri abitati tra cui la cittadina di Sudzha, almeno 120mila civili in fuga da tre regioni e centinaia di soldati russi catturati. Ma soprattutto, l’operazione dell’esercito di Kiev ha ribaltato il quadro politico e mediatico di una guerra che ormai quasi tutti gli osservatori internazionali definivano come uno «stallo»: da un mese ormai un pezzo del territorio della Federazione Russa è stato invaso e occupato dai militari ucraini.

La sortita iniziata dall’Ucraina ai primi di agosto ha colto di sorpresa non soltanto il Cremlino, ma anche molti alleati occidentali, e diverse testate americane hanno raccolto indiscrezioni secondo le quali Volodymyr Zelensky avrebbe preparato lo sfondamento della frontiera in grande segreto. Secondo Vladimir Putin, il tempo lavorava per lui: le risorse russe sarebbero bastate a durare più a lungo degli ucraini, e l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca avrebbe interrotto gli aiuti occidentali. Uno scenario ribaltato in poche settimane: mentre la vittoria del candidato repubblicano appare sempre meno scontata, l’Ucraina è riuscita a rompere, almeno a livello mediatico, l’immagine di un Paese condannato al martirio, a meno di non concedere all’invasore i territori già occupati. Ora, anche la Russia possiede territori occupati, e la facilità con la quale gli ucraini li hanno conquistati pone inevitabili interrogativi sulle strategie del comando militare russo, e sul modo in cui sono stati spesi i miliardi di rubli per fortificare la frontiera.

Interrogativi che potrebbero alla lunga rivelarsi più pericolosi per il Cremlino dei carri ucraini che scorrazzano per i villaggi russi. Carri che tra l’altro hanno schiacciato anche le «linee rosse» minacciate a più riprese da Mosca: un’operazione militare in territorio russo, con armi fornite dai Paesi occidentali, non ha prodotto almeno per il momento nessuna escalation da parte dei russi. La pioggia di missili e droni rovesciata su Kiev e altre città, in una rappresaglia soprattutto contro le centrali elettriche, è stata pesantissima, ma non ha aggiunto nulla di qualitativamente nuovo ai metodi della guerra di Putin. Mentre il successivo appello del capo della diplomazia Ue Josep Borrell a cancellare ogni restrizione per l’utilizzo delle armi occidentali fornite agli ucraini – già revocata da diversi governi europei – fa pensare che questo passo degli alleati sia ormai inevitabile.

Zelensky ora promette di presentare a Joe Biden un «piano di vittoria» che dovrebbe affiancare all’offensiva a Kursk misure di tipo economico contro la Russia, e un’iniziativa diplomatica, presumibilmente la prosecuzione della conferenza di pace in Svizzera nel giugno scorso. Una delle ipotesi più ovvie è quella secondo la quale Kiev proporrà a Mosca uno scambio di territori occupati, e l’insistenza con la quale Putin vuole avanzare nel Donbas, invece di spostare le truppe a difendere Kursk, potrebbe confermarla. Il dittatore russo vorrebbe conservare un vantaggio sul campo, ma se l’Ucraina si è ormai abituata a perdere territori, per i russi l’ingresso del nemico nel suo territorio risveglia la fobia storica dell’invasione da Ovest, sulla quale Putin aveva scommesso molto nella sua propaganda. Motivo per il quale ora, che l’incubo è realtà, lo declassa a «situazione frontaliera»: l’alternativa è una chiamata alle armi, visto che il Cremlino non dispone di un numero sufficiente di soldati per allargare il fronte. Mobilitare i russi al grido di «respingiamo l’invasore» potrebbe mobilitare il sentimento nazionale, ma anche far nascere interrogativi inevitabili sul senso di una guerra che, due anni e mezzo dopo che era stata lanciata dal presidente come «operazione militare speciale» in territorio ucraino, rischia di entrare nelle case dei russi.

Dilemmi ai quali il Cremlino per ora non ha una risposta pronta, e il consigliere per gli affari internazionali di Putin, Yuri Ushakov, rilascia dichiarazioni contraddittorie, sostenendo – come dice anche il suo principale – che «non è questo il momento per parlare di un negoziato», ma nello stesso tempo sostiene che le proposte di compromesso a Kiev «non sono state annullate». Difficile che l’Ucraina accetti, ora più che mai, la proposta di sottomissione a Mosca, con cessione di territori. Ed è altrettanto difficile che Putin ridimensioni le sue pretese, anche perché per ora conta che le sue truppe – fondamentalmente soldati di leva, secondo alcune indiscrezioni – caccino gli ucraini da Kursk e dintorni entro ottobre. Se lo faranno con gli stessi metodi devastanti che l’esercito di Mosca utilizza in Ucraina, la «zona frontaliera» verrà ridotta in macerie, ma stavolta sarà territorio russo.