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Tra i guerriglieri birmani nascosti nella giungla
Abbiamo raggiunto clandestinamente l’epicentro della guerra civile dimenticata che travolge il Paese dal 2021 e da allora ha già provocato più di 55 mila vittime
Daniele Bellocchio, testo e foto
«Appena arrivato a scuola i bambini mi hanno detto che c’erano degli aerei che continuavano a volare sopra l’edificio». Nay Lin Aung ha 26 anni, è un maestro di matematica della scuola Daw See Ei di Demoso, la seconda città del Karenni State, una delle regioni maggiormente colpite dalla guerra civile che sta travolgendo la Birmania dal 2021. «Sono corso fuori dall’aula e sono andato a controllare dove fossero diretti gli aeroplani; come ho guardato in cielo mi sono accorto che un jet era molto vicino e veniva proprio verso di noi».
Sono passati pochi mesi dalla drammatica mattina del 5 febbraio e il giovane insegnante birmano, per la prima volta, ha deciso di tornare nel luogo in cui speranze, convinzioni e vite si sono spente per sempre. Nay Lin Aung cammina tra le macerie dell’istituto, i suoi passi echeggiano tra le aule vuote e, nel silenzio delle stanze, il vento, tra le lamiere accartocciate, emette un urlo gelido. A destra del maestro c’è una lavagna crivellata dalle schegge, a sinistra dei banchi sventrati, per terra un astuccio carbonizzato, un flauto spezzato, delle matite e dei quaderni abbandonati. È il dipinto di una quotidianità dolce e delicata, interrotta all’improvviso. È la muta testimonianza di cos’era la vita, sino a un istante prima che tutto finisse. «Ho radunato tutti i bambini e siamo corsi nel bunker e poi ho gridato: “Sdraiatevi e tappatevi le orecchie!”. Dopo c’è stata l’esplosione».
In Myanmar, o Birmania, da oltre tre anni è in corso un conflitto civile tra le truppe dell’esercito guidate dal generale Min Aung Hlain che hanno preso il potere il 1 febbraio 2021 con un colpo di stato che ha deposto il governo legittimamente eletto, e le forze rivoluzionarie birmane, composte da giovani di vent’anni, che hanno lasciato le città per dare vita alla resistenza armata.
Da quando l’esercito ha preso il controllo dello stato, il Paese del Sud-est asiatico è divenuto una nazione inaccessibile per la stampa internazionale e il solo modo per andare a raccontare quanto sta avvenendo nell’ex colonia britannica, è farlo clandestinamente, attraversando di notte, a bordo di piccole lance, la frontiera tra la Thailandia e la Birmania e poi intraprendendo un viaggio di diversi giorni nella giungla tropicale del Sud-est asiatico. Solo così si raggiunge l’epicentro di un conflitto lontano dai riflettori dei media internazionali, ma che in soli tre anni ha provocato più di 55mila vittime, 174 scuole sono state oggetto di bombardamenti, gli sfollati interni sono oltre 3 milioni, 15 milioni di persone versano in uno stato di insicurezza alimentare e 18 milioni di cittadini hanno bisogno di assistenza umanitaria immediata.
«Appena è avvenuto il golpe, noi giovani birmani siamo scesi in strada, con le mani alzate, rivendicando diritti e libertà: tutto ciò che ci apparteneva prima del golpe. Alle nostre proteste pacifiche i militari hanno risposto aprendo il fuoco. È stato allora che abbiamo deciso di dare vita alla guerriglia». Maui ha 31 anni, una laurea in geologia e un passato da agronomo, il basco e la barba incolta gli incorniciano il viso, la divisa spiegazzata rivela un tatuaggio con il simbolo della pace sul braccio destro, sulla schiena invece ha incisi, con ago e inchiostro, tanti tally mark quanti i suoi soldati caduti in battaglia. Maui è infatti il leader militare di uno dei gruppi guerriglieri maggiormente attivi tra le forze rivoluzionarie birmane, il Karenni Nationalites Defense Force, e dalla sua base nel folto della giungla racconta: «Noi stiamo combattendo per un Paese in cui vi sia rispetto per le minoranze indigene, in cui la forma di governo sia quella del federalismo democratico, dove le parole d’ordine siano giustizia, pace e lavoro».
In Birmania, nel 2015, dopo cinque decadi di regime militare, proteste, arresti e sparizioni, si sono tenute le prime libere elezioni che hanno visto la vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia, e così, dal 2015 al 2021, il Paese ha attraversato un breve ma irremeabile periodo di democrazia che, seppur imperfetta, ha permesso alle nuove generazioni di aprirsi al mondo, conoscere l’altrove, oltrepassare le divisioni etniche, comprendere con piena contezza il significato delle parole libertà e diritti. Sono i ragazzi della cosiddetta Generazione Z a condurre la rivoluzione birmana oggi e a combattere per riscrivere la storia del loro Paese.
«La prima volta che sono andato in battaglia ero molto eccitato, poi quando ho visto i miei amici morire e ho dovuto sparare e uccidere, mi sono reso conto che la guerra è una cosa terribile. Ma non abbiamo scelta se vogliamo essere liberi». Thu Ra Aung ha 21 anni, da settimane è impegnato sul fronte di Loikaw, la capitale dello stato Karenni dove i combattimenti sono incessanti. Insieme al giovane guerrigliero, in un’abitazione abbandonata e adattata a quartier generale, ci sono decine di altri ragazzi con gli occhi determinati, i fucili automatici in spalla e le piastrine al collo. Negli sguardi sembrano aver perso l’innocenza della loro età, ma nell’animo ancora la custodiscono: «La cosa più dolorosa della guerra è la mancanza di mia mamma. È a lei che penso sempre. Ogni giorno. Quando tutto sarà finito voglio comprarle un piccolo negozio. Pace, libertà e un negozio per mia mamma. Questo è il mio sogno».
Improvviso il sibilo delle pallottole, poi un’esplosione, tremano le case, i combattenti del KNDF si acquattano tra l’erba e i cespugli, poi si rialzano e incominciano a sparare verso le pattuglie dei soldati della giunta. L’esercito predispone l’artiglieria, i droni individuano gli obiettivi e un lanciarazzi Grad scarica una sequenza di colpi. Un giovane viene colpito da una scheggia in un occhio, un altro giace riverso con un frammento di ordigno nel collo, il corpo di Kyaw Thu invece viene adagiato in un sacco nero.
«Quando il bombardamento è cessato sono corso nell’edificio per accertarmi che non ci fossero feriti, ma mi sono imbattuto nei corpi di quattro bambini, quattro miei alunni, esanimi e barbaramente mutilati». Il maestro Nay Lin Aung trattiene a fatica le lacrime ripensando a quanto visto il 5 febbraio, e poi confessa: «Io, come tutti, da quel giorno vivo in un incubo che non mi dà tregua, sento ancora le urla dei bambini. Appena mi distraggo da ciò che sto facendo, i miei pensieri mi riportano a quel giorno. Io non volevo più venire a scuola, ero terrorizzato. Poi però ho pensato a tutto il male che hanno sofferto i miei studenti e non è giusto che si trovino privati anche dell’istruzione. Le scuole in Birmania sono chiuse dal 2019. Prima a causa del Covid, poi, dal 2021, per via del golpe. Un’intera generazione non ha più un’istruzione. Noi non possiamo fermarci: senza istruzione, non c’è vita. Senza istruzione non può esserci pace».
Il People’s Defence Force (PDF) è il braccio militare del Governo di Unità Nazionale del Myanmar, l’esecutivo deposto dal golpe militare del 1 febbraio 2021 e che oggi, in esilio, rappresenta il governo legittimo del Paese. Il PDF è nato il 5 maggio del 2021 e comprende giovani provenienti da tutto il Paese che hanno deciso di unirsi alle guerriglie etniche per combattere il regime. Alcuni membri del battaglione PDF Naypydaw attraversano a dorso d’elefante il fiume Htoo Chaung nel territorio dei Karenni per dirigersi al fronte di Loikaw.