Asperiores, tenetur, blanditiis, quaerat odit ex exercitationem pariatur quibusdam veritatis quisquam laboriosam esse beatae hic perferendis velit deserunt soluta iste repellendus officia in neque veniam debitis placeat quo unde reprehenderit eum facilis vitae. Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisicing elit. Nihil, reprehenderit!
La Riforma della cassa pensioni tra luci e ombre
Il 22 settembre si vota sul secondo pilastro: quali cambiamenti si prospettano? Il parere dell’esperta Diana De Luca
Romina Borla
Lasciamo le polemiche legate all’AVS e guardiamo avanti. Il 22 settembre prossimo saremo chiamati a votare sulla Riforma della previdenza professionale (Riforma LPP) che si prefigge di «rafforzare il finanziamento del 2° pilastro» e «mantenere nel complesso il livello delle rendite» in un contesto economico caratterizzato dall’aumento della speranza di vita e dalla difficoltà nel generare rendimenti stabili a fronte di rischi di investimento contenuti. Un tema controverso e complesso, tanto più se si considera che sono in molti a non sapere esattamente come funziona il sistema previdenziale svizzero, basato su tre pilastri (AVS, previdenza professionale e privata). Iniziamo dalle misure principali previste dalla riforma; in seguito il parere di Diana De Luca, esperta in materia di previdenza, che il 29 agosto parteciperà a un dibattito sulla Riforma LPP a Lugano (leggi box).
La riforma in questione intende ridurre l’aliquota minima di conversione (che si applica alla parte obbligatoria della previdenza professionale, ovvero alle prestazioni minime LPP) dal 6,8 al 6%. «Parametro determinante per il calcolo della rendita di vecchiaia nel 2° pilastro – afferma l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) – questa aliquota è espressa in percentuale dell’avere di previdenza disponibile al momento del pensionamento. Secondo le disposizioni legali vigenti è del 6,8% a 65 anni». Con un avere di previdenza di 100’000 franchi, ad esempio, applicando l’aliquota di conversione del 6,8% risulta una rendita annua di 6800 franchi (versata a vita). Per impedire il più possibile la riduzione delle rendite future – continua l’UFAS – Consiglio federale e Parlamento hanno pensato ad alcune misure volte a compensare l’abbassamento dell’aliquota di conversione. In primo luogo l’aumento del salario assicurato e soggetto ai contributi, grazie alla flessibilizzazione della «deduzione di coordinamento». «Nel 2° pilastro non è assicurato l’intero salario. Da quest’ultimo è infatti detratta (...) la cosiddetta deduzione di coordinamento, pari oggi a 25’725 franchi, indipendentemente dal salario e dal tasso di occupazione. (…) Invece di un importo fisso, la riforma prevede una futura deduzione pari al 20% del salario». La quota di salario assicurato che ne deriva risulterà così più alta, permettendo, nella maggior parte dei casi, un accumulo superiore di averi di risparmio nel 2° pilastro.
È prevista anche una misura compensativa per le persone che rientrano nella «generazione di transizione»: prevede dei versamenti di un supplemento alla rendita che si declina a dipendenza della classe di età (anno di nascita) e dell’avere di vecchiaia accumulato. La Riforma LPP comporta anche la modifica della soglia di ingresso nel 2° pilastro – attualmente il salario minimo per un’affiliazione obbligatoria ammonta a 22’050 franchi; si vuole portare la soglia a 19’845 franchi – e la ridefinizione della scala contributiva che ora si articola su quattro categorie: dai 25 ai 34 anni viene prelevato un contributo di risparmio del 7%, dai 35 ai 44 anni il 10%, dai 45 ai 54 anni il 15% e dai 55 ai 65 anni il 18%. Un domani le categorie potrebbero essere semplificate e livellate: dai 25 ai 44 anni si applicherà il 9% e dai 45 fino all’età di riferimento il 14%.
L’UFAS sottolinea che questi cambiamenti dovrebbero «migliorare la previdenza per la vecchiaia delle persone con redditi modesti: in particolare le donne che adottano con maggior frequenza modelli di lavoro a tempo parziale, che presentano più contratti di lavoro simultaneamente o si assentano dal mondo del lavoro per periodi più o meno lunghi». Ma lo stesso ufficio ammette: «Non è tuttavia possibile stabilire con precisione e a livello generale gli effetti della riforma» e anche, le misure «potrebbero comportare un aumento dei contributi per una parte dei lavoratori e dei loro datori di lavoro; di conseguenza il loro reddito disponibile diminuirebbe». Di sicuro «i lavoratori a tempo parziale e quelli con salari bassi dovranno versare contributi più elevati».
Diamo la parola a Diana De Luca che parte da una considerazione: «L’attuale tasso di conversione è troppo alto se confrontato alla crescente longevità che sta mettendo sotto pressione le casse pensioni con periodi di finanziamento delle rendite più estesi. L’aliquota di conversione attuale implica un apporto stabile da parte del terzo contribuente (mercati finanziari) pari al 5%, performance non sempre raggiungibile con un profilo di rischio basso». La nostra interlocutrice evidenzia poi alcuni punti positivi della riforma: «Interessante l’idea di abbassare la soglia di ingresso per il 2° pilastro pilastro, importante barriera che esclude le categorie più modeste di lavoratrici e lavoratori. Grazie a questa modifica si stima che verranno incluse 70mila nuove figure professionali. Mentre l’aumento della parte del salario assicurato, grazie alla flessibilizzazione della deduzione di coordinamento, dovrebbe permettere a circa 30mila persone di assicurarsi meglio». Inoltre, per l’esperta, «la modifica della scala contributiva in base alle classi di età e il livellamento dei contributi di risparmio riducono il costo degli oneri sociali a carico dei datori di lavoro dei lavoratori over 55 anni. Aspetto che dovrebbe agevolare l’appetibilità di profili senior».
Passiamo alle criticità. «Se da un lato l’adeguamento dell’aliquota di conversione sgrava le casse pensioni che assicurano le prestazioni minime LPP – dice De Luca – dall’altro è fortemente criticato poiché diminuisce le rendite di vecchiaia, causando così un peggioramento delle condizioni finanziarie dei pensionati». C’è chi sostiene che la riforma in questione «non muta in maniera significativa la situazione previdenziale delle categorie che si vorrebbero invece sostenere, in particolare le donne». Il finanziamento dei supplementi di rendita a favore della generazione di transizione, poi, rappresenta secondo l’intervistata un costo elevato a carico delle istituzioni di previdenza che hanno già oggi delle difficoltà nel loro equilibrio finanziario e nell’ottenimento di performance di investimento stabili.
De Luca conclude con le implicazioni di un tema molto dibattuto, quello che riguarda le fluttuazioni di mercato che causano degli scompensi nelle performances di investimento del patrimonio di previdenza che le casse pensioni impiegano per ottenere rendimenti aggiuntivi. «La situazione in questi ultimi anni è resa particolarmente volatile a causa dei differenti conflitti geopolitici e queste turbolenze finanziarie si riflettono direttamente nelle diverse classi di investimento che generano a loro volta delle fluttuazioni nel grado di copertura delle casse pensioni. Questa misura è molto importante e viene rilevata periodicamente, serve per valutare lo “stato di salute” finanziaria di un fondo di previdenza. A fronte di una remunerazione incerta da parte del cosiddetto “terzo contribuente” e di prospettive economiche di difficile previsione, le casse pensioni tendono ad accantonare una buona parte degli utili ottenuti dagli investimenti per proteggere il patrimonio di previdenza complessivo e assicurare gli impegni finanziari (rendite) nel tempo. Ciò comporta una minore distribuzione di utili agli assicurati attivi e quindi una attrattività relativa di una fondazione di previdenza rispetto ad un’altra a dipendenza della politica di distribuzione attuata».