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Dove e quando

L’immagine dell’empresente. Fosco Maraini. Una retrospettiva, Villa Malpensata, Lugano fino al 19 gennaio 2025.

Orari: lu-me-gio-ve: 11.00-18.00; sa-do e festivi: 10.00-18.00.

www.musec.ch


La fotografia come progetto esistenziale

Il MUSEC dedica una grande retrospettiva a Fosco Maraini, etnologo nell’anima dalle radici ticinesi
/ 17/06/2024
Natascha Fioretti

«Ragazzo in cima a un poggio verso sera / seduto solo masticando un fiore / […] o nuvole sognanti e gondoliere / poter fuggir con voi dall’orizzonte…». Quanti gli orizzonti che Fosco Maraini, in questi versi ancora giovane poeta, ha scorto in vita, quante le nuvole che ha inseguito, incontrato, raccontato, toccato e, alla fine, immortalato nei suoi sublimi scatti in bianco e nero ma anche nel suo trattato Principii di Nubignosia (di recente ripubblicato da La nave di Teseo con il titolo Il Nuvolario), libricino che nella sua versione originale Maraini regalò a sua figlia Tonia con una speciale dedica: «Per Tonina perché guardi le nuvole con rinnovato interesse, Pà!».

Con il naso all’insù e quello stesso rinnovato interesse le contempliamo anche noi in mostra, le nuvole, insieme alle duecentoventitré fotografie che sui due piani di Villa Malpensata, testimoniano il percorso esistenziale di un uomo affascinante e profondo, dai tanti talenti e dalle mille risorse che dalla sua Firenze, dove nacque il 15 novembre 1912, figlio di Antonio Maraini, noto scultore di antica famiglia ticinese e della scrittrice Edith Crosse, prese presto il volo alla scoperta del mondo e delle sue genti. Etnologo, antropologo sui generis, studioso della lingua e della cultura orientale, scrittore, cineasta, fotografo e alpinista, Fosco Maraini fu tutto questo e molto altro ancora. Francesco Paolo Campione, direttore del MUSEC, che ha voluto e curato questa mostra per onorare i vent’anni dalla sua scomparsa l’8 giugno 2004, durante la conferenza stampa in occasione dell’inaugurazione qualche giorno fa, ha ricordato il profondo legame che li univa: «C’è stato un periodo in cui andavo a trovarlo ogni tre giorni. Andavamo a pranzo alla trattoria Da Ruggero e facevamo lunghe chiacchierate. È stata una delle esperienze più belle e più importanti della mia vita per l’amicizia che avevamo e per aver incontrato uno specialissimo modo di guardare il mondo».

Percorso espositivo

Uno sguardo particolare che chi visita la mostra avrà la fortuna di poter condividere e abitare per un attimo seguendo le quattordici tappe cronologiche e tematiche che danno il ritmo ad un percorso espositivo di grande respiro e di grande bellezza estetica e spirituale. Il viaggio fotografico parte con i paesaggi montani e le macrofotografie naturalistiche degli esordi e si conclude con l’unica sezione di fotografie a colori realizzate negli stabilimenti delle Acciaierie e Ferrerie Falck di Sesto San Giovanni a Milano. Qui Fosco Maraini ritrae «la felice congiunzione di tre suoi diversi interessi: le architetture della civiltà industriale, la fotografia a colori e la ritualità del fuoco», come recita il catalogo che accompagna e valorizza l’esposizione con la quale condivide il titolo L’immagine dell’empresente. Fosco Maraini. Una retrospettiva. Nel mezzo ci sono i suoi viaggi e i suoi reportage in Tibet - ci andò nel 1937 e poi di nuovo nel 1948. A questo periodo appartiene la Musicista girovaga (1937) ritratta qui a lato; la sua stagione giapponese che inaugurò nel 1939 a Sapporo nell’isola di Hokkaido grazie ad una borsa di studio (qui entrò in contatto con l’arte e la religione degli Ainu, popolo di origine siberiana, che costituiva la più antica etnia del Giappone e manteneva ancora viva una parte dei propri costumi tradizionali); la stagione greca del 1951 legata alla cinematografia; gli scatti siciliani commissionati nello stesso anno da un’agenzia governativa statunitense in cui Maraini compì un censimento dei mosaici normanni in Sicilia catturando gli scorci interni degli edifici, le scene e le figure degli apparati musivi; poi, ancora, gli scatti di donne, uomini e bambini dell’Italia meridionale inizio anni 50. L’etnologo con il suo obiettivo entra nelle loro vite catturandone «i sentimenti, le emozioni, la bellezza ineffabile che derivava da una segreta armonia con il paesaggio e con le architetture». Colpiscono, in particolare, i volti e gli sguardi dei bambini. Ad esempio Le due sorelline bionde che si stringono in un abbraccio mentre gli occhi azzurri e severi sembrano fissare un preciso punto nello spazio, o Il primo giorno di scuola di uno scolaro con il suo grembiule nero e il colletto bianco seduto sulle scale che tiene sottobraccio la cartella di cuoio. Iconiche sono anche quelle dei vicoli di Napoli affollati di gente, fiori e panni stesi.

L’immagine dell’empresente

Abbiamo raccontato la mostra ma non abbiamo ancora detto del titolo e lo facciamo con le parole del curatore che definisce l’empresente «la possibilità, la capacità di entrare in un breve ma profondo circuito dell’esistenza» e catturarlo, immortalarlo per sempre. Ancora meglio, ce lo spiega il suo testo introduttivo al catalogo (Skira) in cui ci dice che il momento empresente è «il presente che emerge, l’attimo in divenire in cui si materializza l’esperienza». Per poi aggiungere che la grandezza dell’empresente di Maraini sta nella voglia e nello slancio di condividere «il gusto della gioiosa esperienza dell’universo». Un’esperienza di vita, dell’esistenza umana che costantemente tendeva verso l’alto con sguardo profondo ed empatico nutrito dall’incontro con il diverso, l’esotico, lo sconosciuto, l’impervio.

«Fosco Maraini guardava il mondo con occhi chiari, senza ipocrisia, con un’immensa voglia di vivere», dice il direttore del MUSEC.«Approfondiva tutto, non c’era argomento su cui non fosse preparato. Per Fosco la conoscenza era il fine ultimo della vita. Aveva una visione del mondo libera, concreta, laica, luminosa, sportiva. Era complicato stargli dietro, era difficile per l’altezza, l’altezza del suo pensiero anche se partiva da elementi molto concreti. La fotografia era il collante della sua visione del mondo. Coltivava l’umanità nella profondità di uno sguardo».

Uno sguardo al quale la mostra rende omaggio con il preciso intento di riconoscere a Fosco Maraini un ruolo da protagonista e da maestro nella fotografia del Novecento «per la sua capacità di visione, capacità tecnica, sperimentazione di diversi linguaggi, capacità di scegliere soggetti straordinari», sottolinea Francesco Paolo Campione che poi si sofferma sul concetto di fotografia per Maraini: «La fotografia era per lui un progetto esistenziale che faceva della cultura un asse fondamentale della vita».

Nei due anni di lavoro che hanno preceduto la mostra sono stati analizzati 75’000 negativi e tutte le foto scelte sono state stampate a partire da pellicole originali nel rispetto del formato. Un grande lavoro è stato fatto anche nel risalire alle diverse macchine fotografiche usate da Maraini nei diversi reportage, ad esempio la vecchia Rolleicord 6x6 usata per lo straordinario viaggio nell’Italia meridionale insieme all’editore Diego De Donato, oppure la Leica IIIa con obiettivo Leitz-Summicron 50 mm f/2 che utilizzò per le fotografie subacquee delle pescatrici dell’isola di Hèkura che pure si possono ammirare in mostra. Si resta estasiati dinanzi ai loro corpi morbidi e armoniosi, così fluidi nel movimento, e ci cattura l’energia luminosa di quegli occhietti neri incastonati nei giovani volti femminili e sorridenti. Scatti possibili perché Fosco Maraini era un sommozzatore, così come un esperto alpinista e molti dettagli delle Chiese normanne di Sicilia li fotografò arrampicandosi a 35 metri di altezza salendo su ponteggi precari.

Le nuvole

Le nuvole sono muse e accompagnatrici per tutto il viaggio museale, ma è quando arriviamo nella sala a loro dedicata che viviamo un vero tripudio atmosferico e sentiamo l’animo sobbalzare. Proprio come nella prima immagine a fianco, dal titolo Nuvole e sale (1937). Guardarla è come sentire tutta la tensione spirituale di Fosco Maraini nel tentativo di cogliere i meravigliosi misteri della natura. Grande oggi è il privilegio che ci viene offerto di poterci specchiare dentro come fanno le nuvole sull’acqua. La sensazione è quella che sotto e sopra, terra e cielo, siano un tutt’uno nel mutuo scambio di vapori ed energie. Viene in mente l’Aurea Catena Homeri. Una descrizione dell’origine della natura e delle cose naturali (Lipsia, 1738), uno dei testi fondamentali su cui si è formato il pensiero di Goethe la cui produzione letteraria era affollata di nuvole di ogni sorta, proiezioni simboliche dell’interiorità. E se Goethe, studiando il trattato inglese di Luke Howard, Saggio sulle modificazioni delle nuvole (1815), ne riconosceva quattro tipi e cioè lo strato, il cumulo, il cirro e il nimbo, Fosco Maraini nel suo trattato immaginario dei Principii di Nubignosia classifica le nuvole in tre categorie: Iperionti, Perioniti e Iponti. Dei primi, che suddivide in diciotto classi diverse, dice: «Si formano nelle giornate serene, altissimi, quasi immobili. Talvolta suggeriscono dei graffi nel cielo, donde il loro nome. Se sono un poco più consistenti sembrano delle penne cadute dalle ali di mitici volatili cosmici.»

Esplorata la fotografia, cosa resta ancora da mettere a fuoco di Fosco Maraini? «La parte letteraria, dice Francesco Paolo Campione. C’è un Maraini narratore, linguista e poeta che va ancora inquadrato». A questo proposito ci sono le sue Fànfole, poesie che fanno a meno della semantica lessicale e si servono di parole inventate. Durante le ricerche che hanno accompagnato il progetto di questa mostra sono stati rinvenuti tre componimenti metasemantici inediti di cui nel catalogo ci parla Daniele Bagnoli, Professore di Storia della lingua italiana all’Università Ca’ Foscari Venezia e ricercatore. Proprio lui, domani 18 giugno alle ore 18:00, sarà al Parco Ciani ospite della Biblioteca Cantonale di Lugano che con il direttore Stefano Vassere e in collaborazione con il MUSEC organizza un incontro dal titolo Lonfi, beghi e lupigne. Le Fànfole di Fosco Maraini.