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Per multinazionali responsabili

L’Ue ha approvato una legge che obbliga le grandi aziende a rispettare diritti umanie ambiente. Intanto in Svizzera si sviluppa un dibattito per allinearsi alle norme europee
/ 10/06/2024
Roberto Porta

La democrazia diretta svizzera è fatta anche così: a volte si riparte per un altro giro di giostra. Capita quando un argomento, su cui si è già votato, viene riproposto in vista di un’ulteriore chiamata alle urne, ed è quanto potrebbe succedere in merito alla responsabilità sociale e ambientale delle multinazionali. Un tema scottante, di mezzo c’è, per esempio, il grande scandalo del lavoro minorile nel mondo. La prima votazione popolare su questo tema era andata in scena nel 2020, in piena pandemia, dopo un lungo e tesissimo iter parlamentare e una campagna politica che aveva infiammato il Paese. Il risultato di quella consultazione aveva subito lasciato capire che la partita non era chiusa. L’iniziativa chiamata «Per imprese responsabili, a tutela dell’essere umano e dell’ambiente» era stata approvata dal 50,7% dei cittadini ma bocciata da 17 Cantoni. Un esito decisamente atipico, visto che tra le oltre 350 iniziative proposte nella storia del nostro Paese, soltanto dieci sono state finora bocciate perché non è stata raggiunta la doppia maggioranza. Sul tema della responsabilità delle multinazionali c’era però, seppur di misura, il sostegno popolare però in un Paese uscito spaccato in due dalle urne e con una sorta di «Röstigraben» con cui fare i conti. Da una parte i Cantoni svizzero-tedeschi, quasi tutti contrari, e dall’altra quelli romandi, che con il Ticino si erano invece schierati sul fronte dei favorevoli.

Ora la sfida è di nuovo approdata a Berna e, a servirla sul tavolo della politica federale, ci ha pensato l’Unione europea. E quando c’è di mezzo Bruxelles nel nostro Paese non mancano mai i mal di pancia. Ma andiamo con ordine. Lo scorso mese di aprile i 27 Paesi membri dell’Ue hanno infatti approvato la cosiddetta «Direttiva relativa al dovere di diligenza» destinata alle grandi aziende che operano nel mondo intero a partire dal mercato unico comunitario. Una legge che obbliga le multinazionali con un fatturato annuo di almeno 450 milioni e con più di mille dipendenti a rispettare i diritti umani e a garantire la protezione dell’ambiente. La norma si applica lungo l’intera catena di produzione di queste società. Bruxelles è chiamata anche a istituire un’autorità di controllo, che potrà sanzionare chi non dovesse rispettare questa direttiva, con multe che possono raggiungere il 5% del fatturato annuale. Gli Stati membri dell’Ue hanno ora due anni di tempo per adattare la loro legislazione nazionale. Fin qui, in grandi linee, il capitolo europeo di questa faccenda, che riprende di fatto quanto prevedeva l’iniziativa votata nel 2020 e che al contempo fa adesso della Svizzera una vera isola in mezzo al Vecchio Continente.

Il nostro Paese rimane l’unico in Europa a non disporre di una legge in materia, anche se la bocciatura dell’iniziativa ha portato alla messa in vigore all’inizio del 2022 di un controprogetto indiretto che prevede che le multinazionali con sede in Svizzera presentino annualmente un rapporto sul rispetto dei diritti umani e ambientali, in linea con quanto prevedono in questo ambito le Nazioni unite e l’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo in Europa. Non sono però previste sanzioni per chi dovesse violare queste norme. Un controprogetto fortemente voluto dal mondo economico ma considerato troppo blando da chi quattro anni fa si era schierato a favore dell’iniziativa. Un fronte che ora è pronto a riportare la tematica al centro del dibattito politico e a lanciare una seconda iniziativa sulla responsabilità delle multinazionali.

Ad inizio giugno questa alleanza è tornata a farsi sentire, e lo fa con la forza delle 80 organizzazioni che la compongono e che costantemente denunciano la violazione dei diritti fondamentali ad opera anche di società svizzere. Un fronte che ha anche lanciato una petizione, sottoscritta da oltre 200mila persone, e che si sta già muovendo pure nei confronti del Consiglio federale, sollecitato ora a elaborare una legge in materia. L’iniziativa popolare va vista come una sorta di secondo obiettivo, da porre in campo se dal Governo non dovessero scaturire proposte all’altezza di questa sfida. Su questo punto va detto che, secondo quando riportato dalla stampa svizzero-tedesca, il Consiglio federale al momento non sarebbe intenzionato a riaprire celermente questo capitolo. A Berna si preferisce tergiversare per capire come si muoveranno ora i singoli Stati membri dell’Ue e quale tipo di leggi decideranno di forgiare. Sul tema si è già espressa anche Economiesuisse, tra i più feroci oppositori della prima iniziativa. Per la federazione delle imprese svizzere il nostro Paese è ora chiamato a riprendere la direttiva Ue sulle multinazionali, anche perché le catene di produzione europee coinvolgono spesso anche società elvetiche, e tra loro pure parecchie piccole e medie imprese. Una nuova legge è necessaria, proprio per garantire l’accesso al mercato unico comunitario. Ciò che importa, a detta di Economiesuisse, è che il nostro Paese agisca senza appesantire il carico burocratico con cui le imprese sono già oggi confrontate. Si intravvede dunque una sorta di via libera da parte di chi rappresenta la grande industria svizzera.

Un elemento di novità rispetto all’iniziativa di quattro anni fa, a cui si aggiunge anche la posizione di un nutrito gruppo di parlamentari borghesi, che nella prima chiamata alle urne si erano invece schierati sul fronte dei contrari. Allora questo tipo di opposizione non voleva che il nostro Paese facesse da pioniere in materia, per non compromettere la capacità competitiva dell’economia elvetica. Insomma il dovere di diligenza va bene, ma deve essere applicato perlomeno su scala europea. Un cambio di marcia che ora è a portata di mano, anche se si è solo all’inizio di questo nuovo di iter legislativo con l’obiettivo di allineare il nostro Paese alle norme europee. E con un appunto conclusivo che prendiamo in prestito dall’ex senatore ticinese Dick Marty, scomparso nel dicembre scorso e tra i maggiori fautori della prima iniziativa. Nel suo libro Verità irriverenti, Marty ricorda quella battaglia politica «una straordinaria esperienza umana» e sottolinea tra l’altro un punto relativo alla doppia maggioranza, citando Jean-François Aubert, uno dei massimi costituzionalisti del nostro Paese. Aubert «aveva formulato una critica che appare del tutto pertinente: quando l’iniziativa è approvata dal popolo, il voto dei Cantoni deve essere considerato solo se la norma in votazione ha delle implicazioni a livello cantonale. Nella fattispecie non era assolutamente il caso». In altri termini, da rivedere c’è forse anche questo meccanismo della nostra democrazia diretta. Ma questo è un altro discorso.