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Tre volte premier
Elezioni indiane: l’ennesima vittoria di Narendra Modi suona come una sconfitta, ecco perché
Francesca Marino
Ancora una volta ha vinto l’India. Quell’India dove la democrazia non è affatto morta, come cantavano da tanto tempo analisti occidentali, ma è viva e vegeta e decide ogni volta per conto suo, che il verdetto piaccia oppure no al resto del mondo. Narendra Modi (nella foto) diventa per la terza volta consecutiva premier della più grande democrazia del mondo. Prima di lui c’era riuscito soltanto Jawaharlal Nehru, uno dei padri fondatori dell’India moderna. Nehru, il bisnonno dell’attuale leader dell’opposizione Rahul Gandhi, aveva governato ininterrottamente il Paese per sedici anni: alla sua morte il potere era passato nelle mani della figlia Indira Gandhi (la nonna di Rahul) che ha governato anch’essa per undici anni sia pure non ininterrottamente. Indira, oltre a essere stata l’unica donna premier dell’India, è anche l’unica ad aver mai sospeso nel Paese le libertà civili, dichiarando lo stato di emergenza per due anni. Alla sua morte il Governo del Paese era passato poi a suo figlio Rajiv, padre di Rahul. Curiosamente, però, all’epoca nessuno aveva mai messo in dubbio lo stato e la salute delle istituzioni democratiche indiane paventando il dominio ininterrotto di un solo partito politico: ma questa è un’altra storia.
La storia di questi giorni registra l’ennesima vittoria di Modi percepita però come una sconfitta perché, per la prima volta, il partito del premier, il Bharatiya janata party (Bjp), non conquista la maggioranza assoluta dei 272 seggi necessaria a governare. Pur confermandosi difatti il primo partito del Paese, visto che ottiene da solo 240 seggi contro i 234 ottenuti dalla coalizione di più di venti partiti all’opposizione, avrà bisogno per governare dei partiti che formano la coalizione con cui il Bjp si presentava alle urne, la National democratic alliance (Nda). L’opposizione, guidata da Rahul Gandhi del partito del Congress, ottiene risultati superiori alle aspettative visto anche che la Indian national developmental inclusive alliance (dall’ostico nome le cui iniziali compongono però la parola India) comprendeva più di venti partiti senza altro in comune che la volontà di sconfiggere il partito al Governo. Sono andati alle urne 642 milioni di cittadini indiani su più di 950 milioni di aventi diritto, nonostante nelle ultime tornate elettorali le temperature in alcune zone sfiorassero i 50 gradi. Hanno votato 312 milioni di donne, il 43% dell’elettorato. Dimostrando ancora una volta che l’India è la più grande democrazia del mondo, nonostante tutto.
Nonostante l’opposizione avesse minacciato sommosse se i risultati delle urne avessero coinciso con i risultati degli exit-poll che davano ancora una volta Modi vincitore assoluto, nonostante i vari funerali alla democrazia celebrati all’estero e in patria dagli oppositori del Governo. In realtà, a pesare sul risultato, non sono state questioni ideologiche ma faccende squisitamente pratiche. Anzitutto, statisticamente e a qualunque latitudine, è difficile vincere trionfalmente un terzo mandato di Governo a meno che la democrazia sia puramente formale. È difficile anche perché, come è successo in India, a quel punto è facile riposare sugli allori e perdere contatto con la famosa «base» costituita in questo caso da quella classe media che è storicamente lo zoccolo duro dell’elettorato di Modi. La mancanza di posti di lavoro per migliaia di giovani appartenenti alla piccola e media borghesia ha pesato sul voto, e molto. Così come ha pesato la campagna dell’opposizione in cui si ventilava la possibilità che il Governo cambiasse le quote riservate alle caste e alle classi disagiate: in soldoni, che il Governo abolisse i privilegi storicamente riservati alle minoranze etniche o religiose e alle caste basse o ai fuori-casta in termini di accesso ai lavori nella pubblica amministrazione, alle università e via dicendo. Vale la pena ricordare, per completezza di informazione, che etnia, religione o casta non hanno alcun rapporto né con la classe sociale di un individuo e nemmeno con i redditi percepiti.
La campagna elettorale condotta dal Governo si è inoltre rivelata in più di un caso autolesionista: e i cittadini di religione islamica, che in passato avevano spesso votato per Modi, hanno votato compatti per l’opposizione a causa di alcune osservazioni quantomeno incaute fatte dal primo ministro. Tenere le redini di un Governo di coalizione, e dover mercanteggiare ogni provvedimento, sarà certamente più difficile. Resta da vedere se i leader della coalizione seguiranno le linee del Governo in materia, ad esempio, di politica estera o di economia. E se Modi riuscirà per esempio ad affrontare il nodo del cosiddetto Uniform Civil Code, promulgare cioè un codice unico che assoggetti a regole uniformi in materia di diritto di famiglia e questioni ereditarie tutti i cittadini senza distinzione di religione o etnia. Intanto il Governo si appresta per la terza volta a mettersi al lavoro e l’opposizione non si da per vinta corteggiando i membri dell’Nda perchè cambino casacca. Non resta che stare a vedere.