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Dove e quando

Caspar David Friedrich. Infinite Landscapes, Alte Nationalgalerie, Berlino. Fino al 4.8.2024.

Orari: ma-me-do 9.00-18.00; gio-ve-sa 9.00-20.00.

www.smb.museum


I paesaggi interiori di Caspar David Friedrich

Per i 250 anni dalla nascita, la Alte Nationalgalerie di Berlino, uno dei gioielli dell’isola dei musei, gli rende omaggio con una grande mostra che abbiamo visitato con lo scrittore e storico dell’arte tedesco, Florian Illies
/ 10/06/2024
Stefano Vastano

Siamo davanti a Mondaufgang am Meer, (Luna nascente sul mare, si può ammirare sulla copertina di questo numero), del 1822. E subito ci cattura un cielo dalle tinte quasi assurde, banchi di nuvole verdi e violacee, su un mare che si è già acceso di oro. Al centro del quadro, inclinate lì sugli scogli, tre piccole figure umane – due ragazze dai capelli rossi e un ragazzo accanto a loro – sembrano ipnotizzate da tanta luce rarefatta, dallo spettacolo lunare che questa notte offre ai loro occhi. È precisamente questa esplosione metafisica di luce e colori ciò che ancora oggi ci colpisce in ogni quadro di Caspar David Friedrich. In quasi tutti i suoi paesaggi o marine, verdi boschi o dirupi di montagna, «Friedrich ci trasporta sempre in una contemplazione trascendente della natura», inizia a dirci Florian Illies, «donando ancora oggi a noi che riguardiamo questi suoi paesaggi sospesi tanta quiete ed energia».

Lo scrittore e storico dell’arte tedesco, autore di L’amore al tempo dell’odio. Una storia sentimentale degli anni Trenta (Marsilio, 2022, di cui abbiamo parlato nel numero di «Azione» del 7 marzo del 2022) ha appena pubblicato un saggio sulla vita e opera di Friedrich dal titolo Zauber der Stille (Magia del silenzio), nelle edizioni Marsilio, e con lui visitiamo la mostra che la Alte Nationalgalerie di Berlino – una delle bellezze storiche dell’isola dei musei situata nel quartiere Mitte, cuore pulsante della città – ha dedicato all’arte di Friedrich. Unendliche Landschaften, (Paesaggi infiniti), è il suggestivo titolo della mostra che rende omaggio al pittore per i 250 anni della sua nascita e che si potrà visitare fino al 4 agosto; poi dal 24.8 si sposterà a Dresda fino a gennaio del 2025. Nei due piani del museo berlinese possiamo goderci tutto lo stupore davanti all’infinito, ammirarlo in 60 quadri e 50 disegni di questo grande pittore che – caso raro nella storia dell’arte – non solo non firmava i suoi quadri, ma ha passato una vita di stenti.

Caspar David Friedrich era un introverso che per lo più dipingeva e lavorava rinchiuso nel suo atelier di Dresda, senza troppi onori e fama fra i contemporanei. «Oggi per noi – spiega Illies – Friedrich incarna la lingua della Romantik, quell’inquieto senso della malinconia per gli orizzonti infiniti, uniti alla solitudine del singolo davanti a Dio e al creato». «Sehnsucht», la struggente Nostalgia è dunque il primo dei valori che accende questa poetica romantica di Friedrich. «Abgrund» invece l’altro e più duro sentimento del ritrovarsi gettati davanti ad Abissi di solitudine. «Quello di Friedrich è un animo inquieto e solitario», commenta Illies. L’animo di un artista turbato a sei anni dalla morte della madre, poi della sorella e soprattutto da quella del fratello che – nel dicembre 1787 – morì annegato per salvare il piccolo Friedrich dalle acque gelate. D’altra parte, solo chi ha vissuto ferite così profonde poteva spingersi a dipingere paesaggi tanto densi, e carichi di metafisica.

«Che l’artista di tanti sublimi paesaggi poi non sapesse disegnare il corpo umano, la fisionomia, è solo una leggenda», puntualizza Illies. In effetti, tutto un reparto della mostra berlinese è dedicato alle sue più delicate matite, agli autoritratti di Friedrich o ai suoi ritratti dei familiari. Certo, alcune delle sue opere che oggi consideriamo più iconiche – come Abtei im Eichwald (Abbazia nel querceto) 1809, o Mönch am Meer (Monaco in riva al mare) del 1810 – furono i re prussiani ad acquistarli: Friedrich Wilhelm III sborsò 450 talleri per quelle due grandiose tele intorno a cui, nella mostra berlinese, vediamo formarsi gruppi di spettatori, allibiti da una pittura quasi «astratta». Quei temi e colori che oggi ci attraggono, così radicali, cupi e nebbiosi non potevano però che spaventare i contemporanei. «Il suo romanticismo, dice Illies, risultava troppo oscuro ai suoi tempi. La Romantik della scuola di Düsseldorf, con le sue rovine di castelli e cavalieri erranti era allora più popolare rispetto a quella elaborata a Dresda da Friedrich». La pittura così metafisica e sprezzante di Friedrich faceva invece impazzire i grandi poeti del romanticismo tedesco, Brentano e Kleist. È Kleist a cogliere il taglio «esistenziale» del Monaco in riva al mare: quella marina nera e disperata, annotò Kleist, ci ferisce «come a un occhio a cui siano state strappate le palpebre». E in effetti ancora oggi, guardando a quel monaco così assorto percepiamo, con Kleist, «che nulla al mondo può essere più triste». E che in fondo quel quadro «è un’immagine dell’Apocalisse». Ovvio che motivi così «dark» nelle tele di Friedrich dovevano infastidire il genio della Klassik tedesca, il sommo Goethe che non tollerava l’estremismo di Friedrich.

Sfortunato in vita, morto nel 1840, il mondo dell’arte lo dimenticò sino alla fine del XIX secolo. «La sua arte fu oscurata dal naturalismo e dal realismo», commenta lo scrittore, e tornò a brillare solo ai primi del Novecento, con la grande mostra del 1906 a Berlino». Esposte alla Alte Nationalgalerie rivediamo foto di quella mostra d’inizio secolo, e sorprende come allora le opere di Friedrich venivano esposte: una sull’altra, le grandi tele a pochi centimetri dalle più piccole. Altri tempi, altri musei e altri curatori. Solo oggi, riguardando quei mari così intensi, quei tramonti incendiari e nebbie totali, comprendiamo davvero che «i suoi paesaggi siano in realtà, spiega Illies, dei “collage” che lui ricostruiva in atelier, delle composizioni che lui inventava». Quelle di Friedrich non sono mai realistiche rappresentazioni naturali, «ma “visioni” che lui dipingeva con il suo occhio interiore», sintetizza Illies. E lavorando per giunta alle sue marine, albe o tramonti sempre nella penombra del suo castissimo atelier.

Per Friedrich dunque «Romantik» vuol dire «un’arte del paesaggio interiore, attraversata dal senso del sublime per la natura». E dopo un attimo di riflessione Illies aggiunge: «È lui che inventa non solo la Deutsche Romantik, ma l’arte moderna. È con Friedrich che, per la prima volta nella storia dell’arte, la pittura scopre l’angoscia, la solitudine radicale dell’individuo». In questo senso Il Monaco in riva al mare è il manifesto del Dubbio, la fonte dell’angoscia che ha ispirato tanta arte moderna e contemporanea. Non per niente un’opera standard come quella di Robert Rosenblum Modern Painting and the Northern Romantic Tradition, del 1975, porta come sottotitolo Friedrich to Rothko. Ma non è solo la pittura più meditativa di un Rothko che si richiama ai paesaggi «interiori» di Friedrich. Anche il giovane Samuel Beckett, visitando (è il 31 gennaio 1937) la pinacoteca di Dresda rimane stregato da due uomini, di notte, ammaliati a loro volta dalla luna: «È l’unica forma possibile di Romantik», appuntò Beckett. Ed è bello pensare che Aspettando Godot sia in fondo una prosecuzione del radicale romanticismo di Friedrich. D’altra parte, non c’è dubbio, come precisa Illies, «che Friedrich fu un pittore decisamente tedesco, così come Delacroix fu pittore francese». E sappiamo come e quanto l’ideologia razzista dei nazisti cavalcò e pervertì quel suo nazionalismo dei primi dell’Ottocento.

Ma a parte le oscene perversioni del nazionalsocialismo, al di là anche delle critiche che gli storici dell’arte del ’68 rivolsero contro «i motivi piccolo-borghesi e non rivoluzionari» di Friedrich, come spiegarselo oggi tutto quel fascino che promana dai suoi tramonti, dai suoi notturni e dalle sue fosche nebbie? «Oggi siamo tutti catturati 24 ore su 24 dai social, dalle reti della lingua digitale, risponde Illies, e davanti a queste opere di Friedrich riscopriamo spazi trascendenti, desideri di orizzonti infiniti». E risentiamo persino vibrazioni di un’ispirazione religiosa per il creato, anche se non certo in senso confessionale. Alla fine della nostra visita, Illies ci sorprende rivelandoci quale sia uno dei suoi Friedrich preferiti. Ziehende Wolken è una tela molto piccola, misura infatti appena 18x24 centimetri. Ma queste candide nuvole che attraversano la tela sono la quintessenza dell’arte così celeste, ultraterrena di Friedrich. «Quando dipingeva i suoi cieli, conclude Illies, era vietato accogliere gente in atelier. Per lui, diceva la moglie, dipingere il cielo era come celebrare un messa!». È questa magia celeste la profonda spiritualità che avvertiamo ancora oggi nei suoi quadri. Una «magia del silenzio» che, almeno negli spazi di una mostra, ci distoglie dai grovigli del web, e ci ricarica di Infinito nei paesaggi dell’arte.