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Brasile e Giappone a braccetto
I due Paesi hanno raggiunto un’intesa a favore dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile. Focus: l’Amazzonia
Alfredo Venturi
Da una parte il Brasile, una delle potenze del «Sud globale» impegnate con gli altri BRICS nella sfida all’egemonia finanziaria degli Stati Uniti, dall’altra il Giappone, una fra le più potenti economie dell’Occidente liberista e globalista. Il Brasile schierato con la Russia e la Cina, il Giappone strettamente legato alla superpotenza americana. Eppure questi due Paesi così diversi e diversamente collocati nel mondo hanno raggiunto a Brasilia un’intesa di notevole importanza che i due negoziatori, il presidente brasiliano Lula da Silva e il primo ministro giapponese Fumio Kishida, hanno denominato «Iniziativa di partnership nippo-brasiliana sull’ambiente, il clima e lo sviluppo sostenibile». L’intesa si fonda sul fatto che i due Paesi si sono entrambi attivamente impegnati nella «decarbonizzazione» dell’ambiente: a Tokyo come a Brasilia si vorrebbe raggiungere l’ambizioso obiettivo fissato dalla diplomazia delle Nazioni Unite, cioè zero emissioni di anidride carbonica e altri gas in eccesso responsabili dell’effetto serra entro il 2050. Il Brasile, che quest’anno ospita il G20 mentre nel 2025 gli toccherà la presidenza di turno della Conferenza ONU sul cambiamento climatico, si è anche impegnato a bloccare entro sei anni la deforestazione della selva amazzonica, il «polmone verde» del pianeta.
Proprio sulla vitale sfida dell’Amazzonia puntano i firmatari dell’Iniziativa nippo-brasiliana. La salvaguardia di quell’immenso patrimonio forestale, a cominciare dall’auspicata inversione di tendenza della deforestazione, è infatti una delle condizioni del salvataggio del mondo aggredito dal rapido cambiamento climatico, a sua volta accelerato dall’eccessiva immissione nell’atmosfera di elementi a base di carbonio. Si tratta di favorire la conservazione di quell’ambiente naturale, produttore di ossigeno e «consumatore» di anidride carbonica, bloccando l’assalto speculativo a quei territori che era stato consentito e incoraggiato dal precedente capo dello stato, l’ultraconservatore Jair Bolsonaro. Nella ricerca e nella gestione di soluzioni alternative la sofisticata tecnologia giapponese potrà offrire un validissimo aiuto.
Come vogliono le buone maniere della diplomazia quando si tratta di Paesi appartenenti a diversi sistemi di valori che intendono lavorare insieme, la grande intesa ecologica di Brasilia è stata accuratamente inquadrata in una cornice che esalta la corrispondenza bilaterale su alcuni grandi temi della politica internazionale. Via libera alla retorica delle relazioni internazionali: Tokyo e Brasilia s’impegnano a cooperare per mantenere e rafforzare l’ordine mondiale basato sulla legalità, a cominciare dai due principi non sempre conciliabili dell’integrità territoriale e dell’uso della forza militare per affrontare le controversie. Lula e Kishida hanno espresso la loro preoccupazione per le due gravissime crisi che infiammano l’attualità internazionale, Ucraina e Medio Oriente, respingendo nel primo caso la tremenda prospettiva del ricorso all’arma nucleare, appoggiando nel secondo l’attribuzione di un seggio ONU alla Palestina. Estrema prudenza invece sui temi più scottanti. Per esempio sul terreno minato dell’attivismo cinese nei mari attorno a Taiwan il comunicato congiunto tace, limitandosi a sottolineare l’appoggio alle regole del buon vicinato marittimo. C’è anche un pressante invito alla Corea del Nord, che viene sollecitata a rinunciare ai suoi programmi nucleari.
Dissapori accuratamente smussati dunque, per poter collocare al centro della scena l’Iniziativa verde, che si propone sia di fermare la deforestazione, sia di dedicare a un’agricoltura ecologicamente responsabile buona parte dei territori ormai sottratti alla selva amazzonica, la più estesa del mondo. Uno dei punti centrali dell’accordo riguarda il rilancio dei combustibili biologici, in particolare puntando sulla produzione del bio-etanolo derivato dalle colture brasiliane di canna da zucchero, da destinarsi fra l’altro alla soddisfazione dei bisogni energetici della tecnologia ibrida dell’industria automobilistica di Tokyo. Paese povero di petrolio, il Giappone è particolarmente sensibile allo sviluppo di energie alternative. Che l’intesa nippo-brasiliana sull’ambiente non sia soltanto un capriccio diplomatico lo conferma il fatto che i dirigenti delle numerose imprese che hanno accompagnato Kishida a Brasilia hanno sottoscritto una trentina di memoranda d’intesa con le compagnie locali. Riguardano i progetti più disparati, con al centro gli interventi per la sostenibilità «verde». La messa a punto di questi piani occuperà a lungo le due cancellerie, durante l’incontro di Brasilia il primo ministro giapponese ha invitato Lula a Tokyo. La visita, in programma l’anno prossimo, celebrerà fra l’altro una ricorrenza storica, i 130 anni delle relazioni diplomatiche fra i due Paesi.
I rapporti di amicizia e cooperazione fra Giappone e Brasile confermano la coesistenza nei BRICS di due diverse visioni. Alcuni partecipanti al gruppo, come la Russia e in misura più attenuata la Cina, affidano a questo insieme di potenze dichiaratamente anti-OCSE e anti-FMI la missione di ridimensionare il dominio occidentale sulle istituzioni globali sfidando l’egemonia politica e finanziaria degli Stati Uniti. Altri preferiscono vedere nei BRICS un club di Paesi militarmente non allineati alla ricerca di formule nazionali per lo sviluppo. Fra questi ultimi è sicuramente il Brasile, uno dei Paesi fondatori del gruppo che non esita a ricorrere a una delle potenze dell’esecrato Occidente, come il Giappone, per realizzare i suoi programmi di crescita sanando gli errori del passato. È facile prevedere che il prossimo ottobre, al vertice BRICS di Kazako, la Russia, che occupa la presidenza annuale del gruppo, cercherà di concordare un rilancio della propria posizione.