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Ursula von der Leyen: il momento della verità

Potentissime, ritratto della presidente della Commissione europea che aspira alla rielezione in un clima non troppo favorevole
/ 20/05/2024
Cristina Marconi

Ursula von der Leyen (nella foto) ha un percorso in salita davanti a sé. Troppo accentratrice, disinvolta nell’uso del potere. Efficace anche, ma questo passa in secondo piano per le capitali europee che devono decidere della sua rielezione alla guida della Commissione europea, dopo cinque anni in cui la conservatrice tedesca è riuscita ad avere successo sia nella missione impossibile di farsi conoscere dai cittadini Ue – il 75% sa chi sia e che faccia abbia – sia in quella, altrettanto spericolata, di dare un tono decisamente europeo alle risposte ai considerevoli problemi che il blocco ha affrontato dal 2019, pandemia e Ucraina in primis.

Le obiezioni sono molte e ruotano tutte intorno alla maniera in cui la sessantacinquenne ex ministra della Difesa, medica poliglotta e madre di sette figli, ha amministrato la cosa europea, comportandosi più come una capa di Stato che come la leader di un insieme disomogeneo di ben ventisette Paesi. Sebbene sia la candidata di punta, quella con più chances di farcela, ministri e diplomatici gettano acqua sul fuoco degli entusiasmi e non mancano di rinfacciarle l’arroganza dimostrata in varie situazioni, ricordando che tutto è ancora possibile da qui al 6-9 giugno, data in cui i circa 450 milioni di cittadini europei andranno alle urne. E l’esito del vertice del Partito popolare europeo (PPE) che si è tenuto nel marzo scorso a Bucarest e nel quale avrebbe dovuto essere incoronata in maniera trionfale come Spitzenkandidatin, candidata di punta, è lì a parlare di spaccature, visto che rispetto a un numero di delegati che doveva essere ben maggiore (737) a votare sono stati alla fine solo in 499 e 400 si sono espressi a favore di von der Leyen.

Questo vuol dire che un delegato su cinque è stato contro di lei, oltre al fatto che in quella circostanza il francese Michel Barnier, ex commissario ed ex negoziatore Ue per la Brexit, si è rifiutato di appoggiarla per un secondo mandato, accusandola di aver permesso che si sviluppasse un «inutile e pericoloso confronto tra la produzione agricola e l’ambiente» con un Green Deal ambizioso e inviso alla Francia rurale e alla destra che cerca di intercettarne le esigenze. Sebbene di schieramento diverso rispetto al presidente Emmanuel Macron, Barnier, con le sue parole, ha dimostrato quanto la Francia sia decisa a far cadere molto dall’alto qualunque eventuale appoggio alla candidata tedesca, cercando di ottenere il massimo con traccheggiamenti strategici. Non che von der Leyen – ed è questa un’altra delle accuse che le vengono rivolte – si sia dimostrata restia a fare concessioni, come quelle degli ultimi mesi sul glifosato, un erbicida controverso, e sulla protezione dei lupi. Lo stesso ha fatto sui migranti, con un occhio ai partiti di estrema destra che secondo i sondaggi dovrebbero avere molto più spazio nel prossimo Parlamento europeo.

Se all’inizio del suo mandato predicava un approccio basato sulla solidarietà e la cooperazione, ora vuole triplicare la capacità di Frontex per mettere in sicurezza i confini e ha detto che «il concetto di Paese terzo» in cui mandare i richiedenti asilo, come fatto dal Regno Unito con il Ruanda, è «già presente nella legislazione europea». Parole che hanno suscitato l’indignazione di molti conservatori moderati, decisi a non prendere questa strada e soprattutto turbati dalla eccellente relazione di lavoro instaurata da von der Leyen con la premier italiana Giorgia Meloni, che all’estero viene considerata senza sfumature di estrema destra e per questo una compagnia indesiderabile da un punto di vista delle alleanze. Nella recente visita a Roma le due leader non si sono incontrate, così come da Forza Italia ci sono stati segnali di freddezza, a riprova di una situazione delicata.

«Mio padre spesso parlava dell’Europa come se fosse parte della nostra famiglia», ha dichiarato la candidata del PPE per sottolineare le sue credenziali europeiste, ma sulla sua presidenza pesano episodi di gestione fin troppo famigliare e confidenziale dell’istituzione da lei guidata. Uno per tutti è lo scambio di messaggi sul cellulare con il Ceo di Pfizer, Albert Bourla, durante la pandemia di Covid-19, culminato nell’acquisto di vaccini per circa 20 miliardi di euro. Un episodio a dir poco opaco e oggetto di un’indagine da parte della procura europea, Eppo, che ha preso in mano il dossier aperto dalla procura di Liegi per «interferenza nelle funzioni pubbliche, distruzione di sms, corruzione e conflitto di interessi». Un dettaglio che ha gettato ombra su una gestione per il resto piuttosto brillante della pandemia, alla quale è stata data una risposta europea con fondi per 800 miliardi di euro, i cui resti sono ora utilizzati per la difesa Ue e per aiutare l’Ucraina. Poi c’è l’appoggio incondizionato dato a Israele, con tanto di visita, all’indomani degli attentati del 7 ottobre: una mossa che ha indispettito Spagna, Belgio e la diplomazia Ue, visto che non era stato concordato.

L’ultimo passo falso è stato dare il ruolo da inviato Ue per le piccole e medie imprese a Markus Pieper, eurodeputato della CDU, senza che avesse tutte le credenziali a posto: per questo hanno protestato ben quattro membri di una Commissione in cui l’atmosfera è sempre stata tesa. La leader, secondo i suoi detrattori, ha la tendenza a prevaricare sui commissari e anche sui capi di Stato e anche la sua campagna lo dimostra, visto che ha trasformato il suo capo di gabinetto in coordinatore della sua marcia verso la rielezione, lasciando vuoto un ufficio chiave di Bruxelles e trasferendo altri alti funzionari a lei fedelissimi verso l’impresa elettorale. Quando è stata eletta cinque anni fa, il Parlamento era diverso, più favorevole a von der Leyen sulla carta, eppure è passata con un margine minimo e con l’appoggio di Polonia e Ungheria. Per questo la presidente si starebbe dedicando a una «diplomazia personale» un po’ troppo spinta, per fare regali di fine mandato alle varie parti in vista di un futuro in cui possa restare quello che è già: potentissima.