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Duelli epici in casa, un occhio all’Europa

Due populismi in salsa elvetica a confronto in attesa delle elezioni Ue. La destra avanzerà?
/ 15/04/2024
Orazio Martinetti

Osservando e scomponendo il voto dello scorso 3 marzo sulla tredicesima AVS, alcuni analisti sono giunti alla conclusione che nell’agone si sono urtati due populismi: uno di destra e uno di sinistra. Il primo, sulla scena da oltre un trentennio – per alcuni dal rifiuto di aderire allo Spazio economico europeo (6 dicembre 1992) – ha costruito i suoi successi sull’anti-europeismo e sulla necessità di arginare l’immigrazione. Lo ha fatto lanciando a ripetizione iniziative che prendevano di mira lo straniero, considerato una minaccia sia in ambito socio-economico (concorrenza sleale sul mercato del lavoro), sia nel campo della sicurezza (criminalità) e sia, infine, nella sfera culturale e religiosa (minareti, burqa). Opposta la strategia della sinistra, che invece ha profuso le sue forze nell’estensione dei diritti civili (matrimonio per tutti) e nella difesa delle minoranze etniche presenti sul territorio. Nessuna vittoria, per contro, nelle campagne che le derivavano dal suo collaudato corredo genetico: la socialità (cassa malati) e la riduzione delle disuguaglianze sociali (iniziativa per salari equi).

Un populismo, per essere tale, abbisogna di un leader, di una personalità forte. Al rilancio della destra nell’ultima decade del secolo scorso (Udc, Azione per una Svizzera neutrale e indipendente) contribuì energicamente Christoph Blocher, che sull’onda della costante ascesa elettorale del suo partito riuscì, nel 2004, a varcare la soglia del Consiglio federale (dove comunque rimase poco, fino al 2007). Nel corso dei suoi celebri appuntamenti all’Albisgütli, Blocher non mancava mai nella sua furente polemica anti-Ue di riesumare precedenti storici: Guglielmo Tell, l’arciere che non si era inchinato al balivo foresto incitando i territori primitivi alla rivolta anti-asburgica; e i fanti della battaglia di Marignano, che seppur sgominati dai francesi gettarono le basi di una neutralità perpetua. Forzature evidenti, fondate su leggende e deformazioni, ma che fecero breccia nell’elettorato che se ne infischiava delle dotte sottigliezze degli storici. Bastava credere nel mito e sognare una Svizzera-Sonderfall autosufficiente, ostile a ogni normativa emanata da Bruxelles.

L’antagonista di Blocher, almeno in quest’ultima occasione, è stato un sindacalista vecchio stampo: Pierre-Yves Maillard, vodese, cresciuto in una famiglia di condizioni modeste, fedele alla tradizione laburista della socialdemocrazia storica, quella attenta ai salari, al potere d’acquisto dei ceti inferiori, alla salute dei lavoratori. Il suo idolo è un altro eroe medievale: Robin Hood, il ribelle che toglieva ai ricchi per dare ai poveri. Tradotta in termini moderni, questa linea mira a tassare gli extraprofitti delle grandi aziende (Robin Hood Tax) e a prelevare una microtassa dalle transazioni finanziarie (una vecchia proposta risalente alle idee dell’economista inglese premio Nobel James Tobin). A livello internazionale (Paesi Ocse) questo indirizzo ha portato all’introduzione, dal gennaio scorso, della Global Mininum Tax intesa a colpire le grandi aziende multinazionali con un’aliquota sull’utile netto del 15%.

Nei confronti dell’Europa e delle sue direttive, sia Blocher sia Maillard nutrono sospetti e rimangono guardinghi. Certo, sulla base di motivazioni molto diverse. Per Blocher la Commissione europea è un mostro burocratico da infilzare con una picca; per Maillard è un cavallo di Troia che attraverso politiche liberiste persegue l’obiettivo di destabilizzare il mercato del lavoro e di indebolire lo strumento della contrattazione collettiva. In queste settimane sono ripresi i negoziati tra la Svizzera e l’Ue. Ma la partita decisiva si giocherà all’indomani delle elezioni europee, in agenda dal 6 al 9 giugno. Solo allora si comprenderà l’entità del cambiamento che si profila nella composizione del Parlamento di Strasburgo e quale sarà il colore politico che i neodeputati conferiranno alla Commissione, ora guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen (che si ripresenta). Gli osservatori si aspettano una vigorosa sterzata a destra e quindi un ridimensionamento delle politiche progressiste in campo sociale e ambientale, sostituite da una ripresa degli investimenti nel settore bellico e probabilmente nel nucleare civile. Si prevede dunque che Robin Hood avrà vita difficile nel chiamare alla cassa i grandi capitali che, a differenza dei lavoratori, sono sfuggenti e allergici alle frontiere nazionali.