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Dove e quando

Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze fino al 21 luglio 2024. Tutti i giorni 10.00-20.00, gio fino alle 23.00. www.palazzostrozzi.org


«Ognuno sta solo sul cuor della terra»

Palazzo Strozzi propone un viaggio fantastico nell’opera alchemica di Kiefer in bilico tra anima e corpo
/ 15/04/2024
Blanche Greco

«La memoria non si forma nel momento in cui nasciamo, viene da più lontano, ha in sé esperienze fondamentali che si sono accumulate in migliaia di anni». Così raccontava Anselm Kiefer in una vecchia intervista e le sue parole sembrano risuonare nel cortile di Palazzo Strozzi a Firenze, dove per la mostra: Anselm Kiefer Angeli Caduti, a cura di Arturo Galansino, ci accoglie tra le colonne una enorme tela dal titolo Engelssturz (Caduta dell’angelo, nella foto), sette metri e mezzo per otto metri e più, un incipit e un monito, con Lucifero al centro, immane angelo nero e verdastro che si libra nel bagliore dello sfondo dorato del cielo, forse al tramonto, o all’alba, dopo la battaglia che ha disseminato il terreno di macerie e corpi inceneriti. È un sogno biblico e al contempo alieno che sembra sorgere dalle profondità del palazzo stesso prima di fuggire attraverso quello spicchio di cielo che lo sovrasta.

La mostra continua al piano nobile in un’emozionante sequela di immagini, di vetrine d’artista, di tele gigantesche, di storie, di miti che s’intrecciano come tante voci che si rincorrono da una sala all’altra, s’incrostano di colori e di materiali che s’infiammano esaltati dalla foglia d’oro, o si spengono sotto lamine di piombo, di ferro, di pietre e d’argilla. Anselm Kiefer, settantanove anni, artista tedesco osannato in tutto il mondo non c’è a presentare questa sua incursione nel rinascimentale palazzo fiorentino, ma ci sono le sue visioni magmatiche, i suoi «angeli ribelli» in perenne lotta tra il bene e il male, tra cielo e terra, angeli caduti che sono il filo conduttore della mostra.

Sempre Lucifero, domina la prima sala, nel monumentale dipinto dove Luzifer (2012-2023), precipita verso il basso, verso gli altri che giacciono, tuniche vuote e inerti in un oceano verde brumoso, mentre sopra di loro l’ala di un aereo con incisa la scritta «Michele» in ebraico, emerge dalla tela, tagliente e minacciosa, simile alla spada dell’Arcangelo nel dipinto di Luca Giordano al quale si è ispirato l’artista. Ma quell’ala di piombo, così realistica con la quale Kiefer ricorda anche Icaro e la sua ambizione, oltre all’orgoglio sfrenato di Lucifero, rivela come tutti quei rimandi evidenti, o nascosti, scaturiti dalla sua arte e dalla sua memoria di bambino nato sotto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, si leghino ai nostri stati d’animo in questo periodo fosco e inquietante, in una continua alternanza tra sorpresa, seduzione e malinconia che ci accompagna durante tutta la mostra. Venticinque opere sia storiche sia recenti e una installazione di sessanta dipinti, compongono il viaggio fantastico nell’opera di Kiefer in bilico tra le sensazioni del corpo e gli aneliti e le ribellioni dell’anima attraverso le sale di Palazzo Strozzi.

Uno dei temi ricorrenti nella mostra sono i girasoli, «neri come il firmamento», enormi, che si stagliano come estenuati dal sole abbagliante nel grande quadro ricoperto di foglia d’oro dal titolo Für Antonine Artaud Heliogabale (2023), allegoria dei culti solari di età pagana e della storia dell’imperatore Eliogabalo «sole in terra». Altri, come in Sol Invictus (2023), irradiano poesia e mistero, o, come in Hortus Philosophorum (1997-2011), sorgono dal corpo nudo dell’artista. I girasoli, omaggio a quelli del suo amato Van Gogh, sono altissimi così come lo sono in natura. Si tratta di una varietà speciale che proviene dal Giappone e coltivata nelle serre dell’atelier francese dell’artista, dove i girasoli vengono conservati tra infiniti altri materiali, come il piombo, sua materia d’elezione come lo era per gli alchimisti.

Kiefer «archivia» ogni cosa nel suo immenso magazzino, il suo «arsenale», così da poterle usare nei suoi dipinti con il loro carico di «vissuto», anche a distanza di anni. «Quando cammino per l’arsenale a tarda notte», – ha raccontato l’artista a Galansino – «si formano delle connessioni tra i singoli oggetti. È come una sinapsi che trasmette stimoli tra cellule nervose e sensoriali». Ed ecco che ogni cosa - dalla filosofia alla letteratura, dalla storia, alle teorie più diverse, comprese alcune di quelle duecento poesie che in gioventù aveva imparato a memoria come «fari in un vasto mare» - attraversa il tempo e, in una sorta di processo alchemico personale, entra nelle sue opere e nelle vetrine d’artista che «come membrane collegano l’arte con il mondo esterno in una relazione dialettica». Qui ritroviamo il mito di Giasone, il vello d’oro, i denti ed i guerrieri invincibili; un ramo di vischio essiccato e un libro di piombo con una strofa tratta dall’Edda (leggende norrene); simboli spirituali, cabalistici, omaggi a filosofi e scrittori.

Ma il culmine della mostra è l’installazione dal titolo Verstrahlte Bilder, spettacolare opera immersiva di sessanta dipinti di diverso formato, che per anni «sono stati esposti a una sorta di «radiazione nucleare» all’interno di un container e sono diventati «temporaneamente meravigliosi». Sono opere degli ultimi quarant’anni (1983-2023), che ricoprono le pareti e il soffitto di una grande sala e che grazie anche ad un lungo specchio centrale, creano la sensazione nel visitatore, di essere in balia dei flutti di un fiume in piena, oppure del caos di una tempesta. Un pungente odore di vernice ci avvolge, e da un quadro sembra che il colore coli lentamente su un altro ubbidendo ad una delle tante leggi di Kiefer: «Non m’interessa la meta raggiunta. I miei quadri non sono quasi mai finiti. Li massacro, li brucio, li espongo alle intemperie. Li rielaboro. La distruzione è parte del processo creativo».

La mostra si chiude con Simboli Eroici, quattro fotografie stampate su piombo in cui Kiefer, nel 1969, si fece ritrarre in varie località europee vestito con l’uniforme da ufficiale della Werhmacht del padre, mentre solitario, emula con il braccio alzato, il Sieg Heil, il «saluto della vittoria» dei raduni nazisti. Una sequenza, una provocazione che lo rese famoso, una ribellione all’oblio della Germania, che oggi, più di cinquant’anni dopo sembra spegnersi nella melancolia dei versi di Salvatore Quasimodo vergati sul muro bianco: «Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole / ed è subito sera.» che chiudono la mostra.