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I paradossi dell’Ue

L'Unione è una democrazia senza scopo e mascherata che contraddice sé stessa, vediamo perché
/ 08/04/2024
Lucio Caracciolo

Le prossime elezioni europee sono un’occasione per riportare la nostra attenzione sui paradossi della costruzione comunitaria. A partire da due motti, l’uno di Jean Monnet, eminente padre fondatore, l’altra di un suo autorevole successore, Jacques Delors, da poco scomparso. Monnet diceva che non è importante sapere dove andare, l’importante è andare. Delors soggiungeva: «L’Europa avanza mascherata». Senza scopo e in maschera: questo doppio carattere originario è tuttora dominante nell’Unione europea. E ci ricorda un dato di fondo: l’Ue non è una democrazia. Per certi versi è anzi una costruzione incompiuta che rende ancora più critica e precaria la tenuta democratica dei ventisette Paesi che ne fanno parte – fra l’altro di diverso sviluppo democratico. In parole povere: una democrazia senza scopo e mascherata contraddice sé stessa.

Partiamo dai dati contingenti. Il voto per il Parlamento europeo non è un voto europeo. Si tratta di un momento elettorale tipicamente nazionale, che in comune ha solo il calendario. Si eleggono cittadini dei propri Paesi, dopo un dibattito quasi totalmente centrato su fattori e temi interni a ciascuno dei Ventisette. Non è possibile votare candidati di altri Paesi europei. Contrasto abbastanza clamoroso fra il nome e la cosa. Passiamo ai fattori strutturali. Il Parlamento europeo non risponde ai criteri minimi cui un’assemblea eletta a suffragio universale e segreto corrisponde di norma nelle democrazie. Non ha vera capacità legislativa e non ha potere di controllo su un relativo Governo. Un eccellente esempio di esercizio mascherato, tipico di un sistema che evoca l’Europa ma non è prodotto dagli europei, bensì per gli europei (citazione da un altro eminente dirigente comunitario, anche lui francese, Jacques Barnier). Questo iato fra retorica e fatti impregna il modo di essere dell’avventura comunitaria fin dalla nascita.

E veniamo appunto alla mancanza di scopo. Si discetta spesso di progetto europeo. Saremmo davvero felici di conoscerne il testo. Non possiamo perché non esiste un progetto. Al meglio, alcune linee abbastanza vaghe della direzione verso cui questo ormai anziano agglomerato, avviato da quasi ottant’anni, dovrebbe tendere: federazione, confederazione, nulla di tutto questo. Nel 2000 l’allora ministro tedesco degli Esteri, Joschka Fischer, si presentò davanti agli studenti dell’Università Humboldt a Berlino pronunciando un coraggioso discorso intitolato «Sulla finalità dell’Unione Europea». Per compiacere i francesi, al posto del tedesco Zweck ricorse al franco-tedesco Finalität (a proposito di maschere semantiche), azzardando qualche vaga idea di sistemazione istituzionale interna all’Ue per darle un tono più democratico, almeno nell’indirizzo generale. Fu accolto da mezzi sorrisi di compassione e dal freddo dei suoi omologhi, a cominciare dal francese (fors’anche perché a Parigi non si ama veder storpiata la lingua di Corneille).

Nessun politico di nessun Paese europeo sembra oggi intenzionato a rispondere alla Gretchenfrage di Fischer. Perché sa bene che nella migliore ipotesi scatenerebbe un putiferio fra i suoi elettori, nella peggiore un silenzio di piombo. Attenzione, però. Questo gioco degli equivoci e delle maschere non lascia le cose come stanno. Contribuisce anzi alla delegittimazione dello spazio pubblico, che nelle società europee sta diventando sempre più striminzito. La para-democrazia europea logora le democrazie nazionali. Le devia verso orizzonti assai poco democratici. Le classi politiche dei diversi Paesi europei si indirizzano in questo clima verso la più stretta interpretazione degli interessi nazionali. Fino alle derive ipernazionaliste in alcuni Paesi, non solo dell’Est. Di qui a esiti schiettamente autoritari il passo non è necessariamente lungo.

Finché vivevamo in pace, entro un orizzonte di tranquillità e sicurezza invidiabili, questo «europeismo reale» fondato sull’irrealtà poteva anche essere tollerabile. Ma una costruzione eretta per il bel tempo permanente mal sopporta la sfida della cupezza e delle incertezze dell’oggi. Il piano inclinato che stiamo percorrendo non promette nulla di buono. La diffusione e la popolarità dei nazionalismi risponde al principio «nessuno per tutti». Dunque orienta verso la disgregazione del tessuto comunitario mentre contribuisce a delegittimare gli Stati democratici che, come apprendisti stregoni, ne hanno tessuto i fili e le trame sempre più arzigogolate. Alla fine, il destino dell’Unione Europea ci riporta all’impossibilità di far coesistere in modo costruttivo delle democrazie liberali incardinate nei rispettivi Stati nazionali entro un involucro comunitario opaco, che occlude il dibattito e scoraggia la cittadinanza attiva. Possono esistere Stati senza democrazia, non possono esistere democrazie senza Stato.