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Dove e quando

Gianni Realini. Fra arte e grafica. Spazio Officina, Chiasso. Fino al 28 aprile 2024.Orari: martedì - domenica 10.00-12.00/14.00-18.00.

www.centroculturalechiasso.ch


La potenza del segno di Gianni Realini

Mostre  ◆  Lo Spazio Officina di Chiasso ospita la prima antologica dell’artista ticinese con le sue molteplici mutazioni
/ 08/04/2024
Alessia Brughera

Il percorso artistico di Gianni Realini non si può certo definire semplice e lineare. Anzi, quello dell’artista ticinese è stato un tragitto articolato, espressione di un’attitudine alla ricerca continua e alla costante messa in discussione dei risultati raggiunti. Realini, classe 1943, appartiene infatti a quella categoria di pittori che non si adagia su una cifra stilistica comodamente fissata in un’identità stabile e invariata. È un artista che sin dagli esordi ha sempre cercato il raffronto con tutto ciò che avveniva intorno a lui, per poter cogliere, nel fitto intreccio di possibilità, ciò che gli era più affine e che gli poteva fornire una spinta al cambiamento.

La formazione in Ticino nel solco del figurativismo, l’esperienza parigina segnata dall'interesse per Picasso e Giacometti, la curiosità nei confronti della Pop Art, l’avvicinamento all’Espressionismo astratto e all’Action Painting sono le tappe di un tracciato contraddistinto dalla volontà, e dal bisogno, di spaziare con lo sguardo verso differenti scenari artistici locali e internazionali per relazionarsi con loro e lasciarsi suggestionare senza pregiudizi.

A confermare l’indole curiosa e sperimentatrice di Realini sono altresì le diverse tecniche a cui egli si è dedicato, la pittura in primis, declinata anche nell’arte ambientale, la grafica e, in tempi recenti, la scultura: un universo variegato attraverso cui l’artista riesce a mettere a punto un linguaggio che, seppur alimentato da molteplici stimoli, è riuscito a trovare il suo sbocco personale, la sua dimensione autonoma, scaturita dalla capacità di Realini di filtrare intellettualmente ogni cosa per avvicinarla al proprio modo peculiare di interpretare la realtà.

Il suo cammino ci restituisce dunque l’immagine di un artista che ha sempre avvertito l’esigenza di scrutare la natura e l’uomo. Perché ciò che contraddistingue il lavoro di Realini è proprio l’idea di armonizzare, quasi di fondere insieme, l’elemento oggettuale e quello umano, guardando dentro l’uno e l’altro senza fermarsi alle apparenze. È così che l’artista intesse racconti pittorici dove figura e paesaggio non sono mai assenti, seppur spesso quasi completamente dissolti nello slancio del segno e nel magma del colore.

Nell’energia gestuale e cromatica delle sue opere Realini racchiude il suo intento di trasformare il tangibile in un sentimento poetico. Natura e spazio diventano un tutt’uno con l’uomo dando vita a composizioni in divenire animate da forze, pesi e tinte contrastanti che vivificano la superficie della tela. E proprio da questa dialettica l’artista riesce a generare narrazioni dall’atmosfera sospesa, dove i conflitti e le tensioni tra i diversi elementi si placano e vengono ricondotti a unità ed equilibrio. È come se i suoi lavori sfidassero il caos per poi riuscire a domarlo. E difatti quando, dopo aver osservato i dipinti, leggiamo i loro titoli, troviamo la conferma di come Realini abbia innescato una sorta di passaggio dal tumulto alla quiete, dove termini come «silenzio», «attesa», «pausa» o «presenza discreta» ci parlano di una pace inseguita e raggiunta.

Il mezzo secolo di ricerca e di attività creativa di Gianni Realini viene testimoniato allo Spazio Officina di Chiasso da una rassegna che raccoglie oltre cento opere tra grafiche, dipinti, sculture e gouache e che si presenta come la prima antologica dedicata all'artista ticinese. La particolarità della mostra, sviluppata secondo un criterio tematico e cronologico insieme, è l'aver proposto al pubblico la produzione grafica di Realini, finora mai esposta.

Proprio con la sezione grafica si apre il percorso chiassese, documentando uno strumento espressivo che Realini affronta a partire dagli anni Novanta, quando è giunto già alla sua maturità artistica, e a cui si affida per sviluppare nuove riflessioni sulla pittura e per conquistare quella gestualità che gli permette poi di risolvere un quadro. Dall'incisione diretta, come la xilografia su legno e il bulimo su rame, Realini passa alla litografia, all'acquaforte, all'acquatinta e soprattutto alla puntasecca, quest'ultima la sua prediletta.

Grazie alle preziose collaborazioni con Gianstefano Galli e il suo laboratorio di stampe d’arte a Novazzano, con Egiziano Piersantini a Urbino e con Manlio Monti a Locarno e poi a Vattagne, Realini utilizza le tecniche incisorie sempre più di frequente raggiungendo esiti di grande raffinatezza.

Nell’opera grafica si ritrovano le medesime sperimentazioni estetiche attuate dall’artista in ambito pittorico, cosicché incisione e pittura diventano per Realini due modalità espressive che si influenzano a vicenda, due mondi uniti tra loro da una comunanza d'intenti. Il dinamismo, la gestualità astratta e l’indagine della luce caratterizzano difatti questi lavori, avvicinandoli ai dipinti anche nell’esplorazione formale tesa alla rappresentazione dell’uomo, sebbene, come sempre, la figura umana venga solo abbozzata affinché possa essere avvertita, più che rintracciata.

Dopo questo incipit ci si avventura nella produzione pittorica di Realini, dove la tempra del segno e il magnetismo cromatico diventano i protagonisti assoluti: il segno traccia linee e forme nello spazio che sembrano fluttuare liberamente ma che in realtà seguono una trama ben precisa, mentre il colore affiora gradualmente fino a erompere in tutta la sua intensità, partendo dal bianco e dal nero per poi arricchirsi delle tinte primarie. 

Incontriamo così le prime opere degli anni Sessanta ancora legate al figurativismo, le tele del periodo parigino in cui l’artista saggia gli stimoli scaturiti dall'incontro con la contemporaneità e i lavori che tradiscono l’attrazione, seppur breve, per la Pop Art, di cui Realini propone una versione edulcorata e adattata al clima europeo (basti guardare Exit, del 1972).

Ecco poi i dipinti che documentano l’adesione dell’artista all’Espressionismo astratto e che vedono Realini, in un primo momento, debitore della pittura di stampo informale di Emilio Vedova. In questo periodo nascono tele, spesso di grande formato, caratterizzate dall’affrancamento da ogni residuo figurativo: il segno è immediato, le pennellate vigorose e i colori vitali. Interessante in questo senso è l’opera Figura in scorcio, datata 1985, esposta in mostra a indicare una sorta di linea di demarcazione nell’attività dell’artista.

Quando sul finire degli anni Novanta, complici i soggiorni a Minneapolis e a New York, Realini entra in contatto con l’Action Painting di Jackson Pollock e soprattutto di Willem de Kooning, la sua pittura subisce un nuovo cambiamento. Le pennellate si fanno ancora più libere e l’utilizzo del giallo, del rosso e del blu risulta prevalente.

Anche i lavori degli anni più recenti testimoniano la passione tenace di Realini per la sperimentazione. Del 2021 sono i suoi Menhir, sculture in legno che vedono l’artista confrontarsi con la terza dimensione, e del 2023 sono i suoi dipinti eseguiti con tempera acrilica. Esodo è uno di questi: una tela lunga più di sette metri con cui Realini, a ottant’anni, riesce ancora ad avvincere con la forza del gesto e del colore. E a dare un approdo alle tensioni che si agitano dentro e fuori dall’uomo.