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«Hesse sarà annoverato tra i grandi della letteratura»

Il Museo Hesse di Montagnola si appresta ad inaugurare la prima grande mostra firmata da Marcel Henry che coinvolge il     maggiore conoscitore dell’opera e della figura del premio Nobel per la letteratura
/ 25/03/2024
Natascha Fioretti

Se, come scrive Hermann Hesse nella sua poesia Gradini «in ogni inizio abita una magia», questo sembra valere per il Museo di Montagnola ed in particolare per il suo direttore Marcel Henry che ad un anno dal suo insediamento si appresta ad inaugurare la sua prima importante mostra dal titolo Dove c’è Hermann Hesse, c’è Volker Michels – Curatore e pioniere di uno scrittore intramontabile. Il titolo non è casuale perché Volker Michels, classe 1943, per una vita redattore di letteratura tedesca per il Suhrkamp Verlag, è oggi tra i maggiori conoscitori dell’opera e della vita del premio Nobel per la letteratura. È lui l’autore della raccolta delle Opere complete (uscite in tedesco in 20 volumi) e delle lettere (uscite in 8 volumi) ma è anche il creatore dell’archivio che raccoglie l’eredità letteraria e artistica di Hesse. Soprattutto Volker Michels – grazie al suo lavoro e alla sua dedizione – negli ultimi cinquant’anni ha avuto il merito di riabilitare da un lato l’immagine di Hesse, spesso legata al clichè dell’autore introspettivo perso nelle mistiche orientali e slegato dalla realtà, dall’altro di valorizzarne l’opera, mostrandone le diverse sfaccettature e la ricchezza tematica mettendo in evidenza lo spessore letterario. Lo abbiamo sentito in anteprima.

Volker Michels potremmo dire che ha dedicato tutta la sua vita a Hermann Hesse?
Sono posseduto dalla letteratura sin dai tempi della scuola e la mia grande fortuna è stata l’opportunità di lavorare per il Suhrkamp Verlag. Questo ha fatto sì che mi dedicassi non soltanto a Hesse ma a tanti autori del cuore come Thomas Mann, Stefan Zweig, Robert Walser e molti altri. Certo Hesse è stato il più produttivo e l’autore di maggior successo anche nelle vendite ed essendo le case editrici delle realtà commerciali, questo nel tempo mi ha permesso di concentrarmi sempre di più sulla sua opera specializzandomi al punto da pubblicare nei decenni la prima edizione completa in 20 volumi delle sue opere.

Ne è valsa la pena dedicare tutta la vita a Hesse e alla letteratura?
La letteratura è un enorme arricchimento per la vita. Ogni autore riesce a cogliere sfumature e sfaccettature diverse di tutta la molteplice realtà che ci circonda e i maestri hanno la capacità di restituirle, di rappresentarle, di portarle all’attenzione della nostra coscienza regalandoci un incredibile valore aggiunto in termini di qualità di vita.

Come è iniziata la sua relazione con Hesse?
Con una lettera. Avevo quattordici anni e come lui frequentavo un collegio. Rimasi molto impressionato dal fatto che mi rispose, che si prese il tempo e le attenzioni per rispondere ad un ragazzino qualunque. Già ai quei tempi conoscevo alcuni passaggi della sua storia del Seminario Evangelico di Maulbronn pubblicati nel 1903 nel volume Unterm Rad (Sotto la ruota), un libro che avevo desiderato per Natale e nel quale trovai molti parallelismi. Mi identificai con i due personaggi principali Hans Giebenrath e Hermann Heilner, nei quali Hesse aveva rappresentato se stesso e i suoi conflitti esistenziali. Lo sappiamo, i genitori volevano che Hesse continuasse la tradizione religiosa di famiglia, ma lui si oppose dicendo che sarebbe diventato un poeta o niente. Questo suo rifiuto alla conformazione, a ciò che è usuale, mediocre e promettente lo accompagnerà per tutta la vita rispecchiandosi tanto nel suo atteggiamento quanto nelle opere. Ed è proprio questo suo bisogno di affermazione che negli anni e in tutto il mondo gli ha consentito di conquistare sempre nuovi giovani lettori.

Quando è iniziata la sua avventura alla casa editrice Suhrkamp?
Correva l’anno 1969 quando per la prima volta entrai nella casa editrice di Francoforte Suhrkamp e Insel. Sebbene Hesse fosse già premio Nobel per la letteratura nel 1946, negli anni Sessanta la casa editrice favorì autori più giovani come Bertolt Brecht, Max Frisch, Uwe Johnson, Martin Walser e Peter Weiss. Un giorno l’editore Siegfried Unseld, il successore di Peter Suhrkamp, mi chiese cosa pensavo di Hermann Hesse, quali aspetti della sua opera, a mio avviso, avrebbero offerto la maggiore attrazione e le migliori opportunità di vendita. Gli ho parlato della lungimiranza politica del poeta, del suo deciso distanziamento dal nazismo e dagli avvenimenti tedeschi, della sua visione cosmopolita e interconfessionale del mondo con quello sguardo rivolto alle culture asiatiche, affascinante per qualsiasi lettore.

Perché serviva spiegare quali erano i punti forti di un autore come Hesse per altro già premio Nobel?
Nel clima di quegli anni, parlo del ‘68, gli anni delle rivolte studentesche, la guerra in Vietnam, Hesse era visto come un autore introspettivo, escapista, in fuga dal mondo e ritirato nella tranquilla Svizzera. Il mondo letterario tedesco nutriva nei suoi confronti molti pregiudizi. Il critico letterario tedesco Marcel Reich-Ranicki un giorno mi disse: «Hesse non ha scritto una sola frase che valga la pena citare e se lei ha intenzione di occuparsi di questo autore può mettersi subito a fare propaganda». Un altro autore mi disse: «Da questo cumulo di cenere vuole tirare fuori una goccia di sangue?». Persino Unseld, che conosceva bene Hesse, perché su di lui fece il suo lavoro di dottorato, all’inizio fu scettico. Ci venne in aiuto la rinascita di Hesse negli USA che dopo la guerra nel Vietnam lo rivalutò.

Sorprende molto la posizione di un’istituzione letteraria come Marcel Reich-Ranicki…
Fino alla sua morte si è sempre opposto al successo di Hesse, non poteva sopportare che a livello internazionale raggiungesse la stessa fama e popolarità del prediletto Thomas Mann. Ma le prime pubblicazioni che decidemmo di far uscire in formato tascabile in Germania incontrarono un grande favore di pubblico.

Anche la clamorosa copertina che gli dedicò «Der Spiegel» nel 1958, non favorì Hesse. Come andò?
L’edizione uscì nel luglio di quell’anno. L’autore, anonimo, lo banalizzò trasformando Hesse in un giardiniere incompetente, uno gnomo da giardino tra i vincitori del Premio Nobel, che non meritava di essere preso sul serio perché al di sotto della dignità di qualsiasi intellettuale. Scrissi in risposta una dura lettera che venne cestinata dalla redazione. «Der Spiegel» – che vendeva milioni di copie ed era particolarmente popolare tra gli intellettuali – con quella pubblicazione danneggiò molto l’immagine di Hesse impedendo per decenni a venire un coinvolgimento e un apprezzamento dell’autore e delle sue opere tra gli accademici e i giornalisti tedeschi. Le università lo etichettarono come un autore dell’interiorità distaccato dal mondo.

È vero che la morte di Marylin Monroe, avvenuta il 4 agosto del 1962, pochi giorni prima quella di Hesse il 9 agosto, in Germania fece più notizia?
Naturalmente. I nostri media non facevano che parlare di lei mentre la nostra stampa titolava «Grazie a Hermann Hesse non si vincono più vasi di fiori» (Mit Hermann Hesse ist kein Blumentopf mehr zu gewinnen, «Die Zeit») oppure lo definiva «l’autore della miseria individuale» (Autor des individuelle Katzenjammers «Süddeutsche Zeitung») .

Quando c’è stata un’inversione di tendenza?
È stato un cambiamento progressivo. Decisiva è stata sicuramente la pubblicazione della sua opera completa in 20 volumi uscita per Suhrkamp agli inizi degli anni 2000. Due o tre anni prima della sua morte l’editore Unseld mi disse: «Questa raccolta è due volte più estesa e più ricca di tutte le edizioni che Hesse pubblicò in vita». Hesse era molto autocritico e metà della sua opera, per certi versi la più interessante, e mi riferisco ai suoi articoli politici degli anni Sessanta, alle sue oltre tremila recensioni, a tutta la sua critica letteraria apparsa su giornali e riviste, tutto questo non si conosceva. Noi siamo riusciti a restituire per la prima volta un’immagine più sfaccettata che andava oltre l’autore dei romanzi e dei racconti.

Di Hesse quali opere predilige? Ama di più la sua prosa o la sua poesia?
Hesse ha scritto moltissime liriche. Secondo un sondaggio, tra le poesie più amate dai tedeschi al primo posto c’è Stufen (Gradini). Io però prediligo la sua prosa e in particolare opere come Der Kurgast (La cura) che ha una vena molto ironica oppure quelle più note come Der Steppenwolf (Il lupo della steppa) o Siddharta o i suoi primi racconti intrisi in modo peculiare – come poche altre opere di quella generazione – del patrimonio della cultura tedesca.

Come definisce la sua scrittura?
Le opere di Hesse sono facili da leggere. Sono semplici e inequivocabili. Non nasconde nulla in metafore remote e di difficile interpretazione. Con un linguaggio vivido, caratterizzato da un vocabolario invidiabilmente ricco, esprime lo Zeitgeist della sua epoca con i travagli personali che ne derivano. I libri di Hesse sono terapeutici, tentativi di autosalvataggio che possono essere compresi da lettori con il più disparato bagaglio personale e culturale.

A livello umano e personale, invece, cosa contava di più per Hesse?
La coscienza interiore è sempre stata la sua bussola più importante. Rifuggiva comodità e compromessi, era contrario alla guerra e a qualsiasi forma di violenza.

Abbiamo esordito dicendo che ha dedicato la sua vita a studiare e approfondire l’opera di Hesse. Specchio e testimonianza di questa sua passione è anche l’Editionsarchiv di Offenbach am Main…
Lo abbiamo creato a partire dagli anni Settanta con mia moglie, la redattrice e autrice Ursula Michels-Wenz, e con la collaborazione di Heiner Hesse, il figlio di Hermann Hesse. L’archivio comprende tutto ciò che è stato possibile ricercare e scoprire sul premio Nobel negli ultimi decenni. Scopo dell’archivio delle edizioni è rendere accessibile e far conoscere l’opera di Hesse in tutta la sua varietà e ricchezza.

Le lettere di Hesse ne costituiscono una parte importante?
Ci sono cento faldoni con le lettere di Hesse dal 1881 al 1962. Il ritrovamento delle lettere, l’inventario delle risposte alle lettere e alle domande dei suoi lettori è il risultato più entusiasmante della collezione. Le ettere non sono meno ricche delle sue pubblicazioni e non solo sono estremamente produttive dal punto di vista autobiografico, ma sono anche fonte di un’ampia varietà di volumi tematici con dichiarazioni su tutte le questioni esistenziali a lui care. Ricevo lettere o telefonate di persone che nei dieci volumi già usciti (che contengono solo una parte dei carteggi), non trovano ad esempio quella di un loro famigliare. Gli dico: «Per vederla pubblicata deve inviarmela…». E cosi il volume delle lettere cresce.

E lei non si ferma mai…
Ho 81 anni, spero che mia figlia porti avanti l’archivio che per me è stato un compito incredibilmente bello e significativo. Persona profondamente empatica, Hesse era mosso da un grande senso etico, proprio come Mann e Zweig aiutava gli emigranti meno fortunati e in difficoltà. Non vivrò abbastanza per vedere che Hesse, alla stregua di Mann, Musil e Kafka, sarà annoverato tra i grandi della letteratura del Ventesimo secolo. Accadrà, ma non vivrò abbastanza per vederlo.