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Per un accesso facilitato al mercato UE

I negoziatori elvetici avranno il loro bel daffare per riuscire a strappare un accordo capace poi di convincere il popolo
/ 25/03/2024
Roberto Porta

In entrata una provocazione o, se volete, una forzatura, visto che ormai ci dobbiamo arrendere a un’evidenza. In questo periodo, e forse anche nei prossimi tempi, il Consiglio federale non sarà più composto dai suoi canonici sette membri, bensì da otto ministri. Ad aggiungersi è il presidente dell’Unione sindacale svizzera (USS), Pierre-Yves Maillard. Una presenza esterna, e ci mancherebbe, ma che dispone ormai di un martellante potere di veto. La nuova legislatura è decisamente nata nel segno di questo «ministro», che è stato a lungo consigliere di Stato nel Canton Vaud e che ora siede al Consiglio degli Stati, a Berna. Lo scorso 3 marzo Popolo e Cantoni hanno dato ragione all’iniziativa del suo sindacato e varato la tredicesima AVS per tutti i pensionati a partire dal 2026. Il cantiere rimane aperto, perché ora occorre trovare i 4 miliardi necessari per finanziare questo aumento delle rendite pensionistiche. Il peso politico di Maillard si sta già facendo sentire però anche su un altro cantiere aperto, dalle dimensioni mastodontiche, quello delle trattative che Svizzera e Unione europea hanno rilanciato allo scopo di rinnovare le loro relazioni bilaterali.

Lunedì scorso, non appena a Bruxelles le due presidenti – Ursula von der Leyen e Viola Amherd – si sono strette la mano per aprire i veri e propri negoziati per i bilaterali del futuro, ecco che l’ottavo «ministro» ha subito colto la palla al balzo per alzare la voce e per far capire che l’Unione sindacale svizzera così non ci sta. L’USS è pronta a lasciare il tavolo attorno a cui da un paio di anni il mondo del lavoro e quello dell’economia dibattono per determinare le «linee rosse» da non superare, da parte svizzera, nelle trattative per definire le future misure di accompagnamento alla libera circolazione delle persone. Già nell’autunno scorso il fronte sindacale si era fatto sentire, ora lo fa con ancora più forza: minacciare di lasciare quei negoziati interni significa di fatto porre il proprio veto su un argomento così delicato e da cui dipendono le condizioni di lavoro nel nostro Paese. A non andare a genio a Maillard e all’Unione sindacale svizzera sono in particolare alcune misure in discussione con Bruxelles. C’è la questione, già emersa nell’autunno scorso, del rimborso spese a favore dei lavoratori distaccati in arrivo in Svizzera, con il rischio che queste spese vengano equiparate a quelle del Paese di provenienza di questi dipendenti, creando così una situazione di possibile concorrenza sleale. Il costo di un pasto a Zurigo, ad esempio, non equivale a quello di un pasto rimborsato in provincia di Como.

Ma c’è anche la questione delle sanzioni con cui punire le imprese europee che non rispettano le norme svizzere. Imprese che, se colte in fallo, rischiano oggi di rimanere escluse dal mercato elvetico per un periodo che può anche arrivare ai cinque anni. Una misura mal sopportata dall’Unione europea e che, a detta dell’USS, rischia ora di venir sacrificata sull’altare nelle nuove trattative. La tensione a quanto pare è alta tra sindacati e Consiglio federale e qui in causa c’è in particolare Guy Parmelin. Tocca al ministro dell’economia riuscire a calmare le acque ma farlo significa per lui, consigliere federale UDC, correre il rischio di esporsi e di dare l’impressione di voler facilitare anche le trattative con l’Unione europea. Una mossa di certo non grata al suo partito, che si oppone su tutta la linea a questi nuovi accordi.

Ma il fronte caldo è ovviamente anche quello europeo. La Svizzera, in estrema sintesi, sta negoziando un accesso facilitato al mercato unico comunitario, una delle conquiste maggiori nella storia dell’Unione. Un mercato nato trent’anni fa e che permette la libera circolazione delle merci, dei capitali, dei servizi e delle persone tra i 27 Paesi membri dell’Ue. Malgrado qualche malumore interno, Bruxelles se lo tiene bene stretto e di certo non è pronta a creare delle corsie preferenziali per la Svizzera e ad accettare tutte le eccezioni alle regole europee che il nostro Paese ha finora portato al tavolo delle trattative. Tavolo al quale la Commissione europea schiera alcuni tra i suoi più abili negoziatori, a cominciare dal vice-presidente della stessa Commissione, lo sloveno Maros Sefcovic, responsabile tra le altre cose anche della messa in vigore dell’accordo sulla Brexit. Un diplomatico pronto dunque a difendere il mercato unico con tutte le sue forze. E la stessa cosa si può dire anche di Richard Szostak, l’uomo che da ormai quasi dieci anni si occupa delle relazioni tra l’Unione europea e il nostro Paese. Di origini britanniche e polacche, Szostak ha seguito tutte le trattative sull’accordo quadro, poi bocciato dal Consiglio federale, nel 2021. In questi anni ha visto passare una lunga schiera di negoziatori svizzeri, tra cui anche l’ambasciatore ticinese Roberto Balzaretti, ma lui è sempre lì, al suo posto, con a suo vantaggio un notevole bagaglio di conoscenze sul nostro Paese e sulle sue dinamiche politiche. Anche lui si è occupato di Brexit e anche lui viene considerato un «duro» tra i negoziatori europei. Lo è stato con Londra, lo sarà di certo anche con Berna.

In altri termini i negoziatori elvetici avranno il loro bel daffare per riuscire a strappare un accordo capace poi di convincere il popolo svizzero, l’arbitro supremo di questi negoziati. E qui, a livello di comunicazione, la partita si gioca anche su due livelli, da una parte c’è chi cala la carta della semplificazione, dall’altra chi invece è costretto a mostrare la complessità della materia. Un esempio su tutti: l’UDC ha già parlato di un «accordo coloniale», espressione del resto già utilizzata più di 30 anni fa quando il nostro Paese rifiutò lo Spazio economico europeo. E con la sola forza di quella formula i democentristi incamereranno di certo un buon bottino di voti. Sul fronte opposto, invece, le cose si complicano perché c’è da far capire che la sovranità del nostro Paese viene garantita da alcuni «cuscinetti» previsti dall’accordo in discussione con Bruxelles. In caso di contenziosi con l’Ue – ed è qui che c’è davvero in gioco la sovranità del nostro Paese – l’ultima parola non l’avrà la Corte di giustizia europea, ma un tribunale misto e paritario, con tanto di giudice svizzero. Alla Corte europea spetta il compito di interpretare il diritto europeo, e ci mancherebbe che non fosse così, così come si interpellerà il Tribunale federale di Losanna per l’interpretazione del diritto svizzero. Certo, si tratta di un’impalcatura che avrà bisogno di una fase di rodaggio e che nasconde delle insidie, anche a livello comunicativo. Spiegare questo meccanismo è di sicuro un compito arduo. La battaglia attorno a questi nuovi accordi con l’Unione europea sarà dunque anche questa: una sorta di derby tra semplificazione e complessità.