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Francesco di fronte agli affari del mondo

Il pontefice invita Kiev a sventolare «bandiera bianca» e scatena un putiferio mentre la Chiesa perde di autorevolezza
/ 18/03/2024
Lucio Caracciolo

Quante divisioni ha il papa? La non troppo ironica battuta attribuita a Giuseppe Stalin torna di attualità in seguito alle esternazioni di papa Francesco sulla guerra in Ucraina e alle reazioni che hanno provocato, dentro e fuori la Chiesa. Perché ciò che colpisce, al di là delle valutazioni che ciascuno può dare delle frasi del papa, è che non incidono sulla realtà. Insomma, sembra che pochi siano disposti a prendere sul serio la voce del successore di Pietro. E se la Chiesa cattolica perde la sua autorevolezza morale, che cosa resta della sua influenza sugli affari del mondo? Ricordiamo intanto di che si tratta. Papa Bergoglio (nella foto) era già intervenuto a più riprese sulla guerra in Ucraina, suscitando al meglio qualche polemica e al peggio silenzio. L’impressione veicolata dai media era che tendesse a giustificare i russi più che cercare di affermare una equilibrata idea di pace. Specialmente quando si riferiva al fatto che la Nato avesse «abbaiato alla porta della Russia». Impressione che lo stesso pontefice aveva cercato di correggere dichiarandosi a più riprese sensibile alle sofferenze del popolo ucraino. Ma questo non era bastato alle autorità di Kiev per considerarlo un interlocutore rilevante, anzi. Né ha commosso la Chiesa ortodossa moscovita, che da sempre guarda a Roma con diffidenza – un «nido di serpenti» nella definizione del già patriarca Alessio II – e ne teme il proselitismo in casa propria.

C’era poi stata la missione del cardinale Matteo Zuppi, capo dei vescovi italiani, fra Mosca e Kiev. Scambiata dai media per una sorta di mediazione geopolitica, mentre si trattava di una iniziativa squisitamente umanitaria, fronte sul quale infatti Zuppi otteneva risultati apprezzabili. Indipendentemente dalle intenzioni, le interlocuzioni fra il cardinale e i vertici kievano e moscovita producevano un effetto mediatico che dava il senso di un impegno concreto della Chiesa di Roma per la pace in Ucraina. Ma le recenti dichiarazioni di papa Francesco hanno rieccitato le polemiche in tutto il mondo. Il pontefice ha infatti invitato Kiev a sventolare «bandiera bianca», cioè ad arrendersi, salvo soggiungere che si dovessero subito aprire negoziati di pace. Affermazioni contraddittorie: se ti arrendi, che cosa puoi negoziare? E se negozi, vuol dire che non ti arrendi. Ma il principio di non contraddizione sembra abbastanza fuori moda nella comunicazione corrente, non solo in Vaticano.

Il clamoroso invito di Francesco alla resa di Kiev – perché così è stato generalmente interpretato e rilanciato dai media in tutto il mondo – ha suscitato la secca reazione del diretto interessato. Zelensky non intende neppure parlarne, anzi resta fisso, almeno retoricamente, l’obiettivo di riprendere il controllo di tutti i territori occupati dai russi. Dalle parole ai fatti: il rappresentante del Governo ucraino presso la Santa Sede è stato richiamato a Kiev «per consultazioni», un atto che nella grammatica diplomatica sottolinea una crisi grave. Ma l’aspetto più serio delle polemiche scatenate dalle parole di Francesco è stato il riflesso negativo prodotto in seno alle gerarchie ecclesiastiche e fra molti fedeli cattolici. Per esempio, i vertici della Chiesa polacca, fra i più sensibili quando si tratta della Russia, considerata arcinemica da sempre, hanno protestato invitando il papa a smettere di occuparsi di politica internazionale, quasi non appartenesse alla sua missione. Ancora più rilevante la reazione del segretario di Stato, cardinale Parolin, che senza attaccare frontalmente il suo superiore ha però inteso ricordare che spetta alla Russia fare il primo gesto per avviare la pace, ritirandosi dai territori occupati dopo il 24 febbraio. In certo senso, potremmo concluderne che se Francesco invitava Zelensky a sventolare la bandiera bianca, il suo segretario di Stato rivolgeva il medesimo invito a Putin. Con esiti fattualmente nulli, ma con echi e strascichi polemici destinati a pesare sulla credibilità della Chiesa.

La perdita di influenza del papa sugli affari del mondo è comunque clamorosa se consideriamo quella che è quasi sempre stata la potenza non solo spirituale esercitata da Roma nei secoli passati riguardo alle grandi questioni geopolitiche. Vale certamente per il passato – si pensi solo ad Alessandro VI e alla sua partizione del pianeta fra portoghesi e spagnoli con il Trattato di Tordesillas (1494), fra cento altri esempi – ma anche per tempi più recenti. Qualcuno ha riportato alla mente le parole di papa Benedetto XV sulla «inutile strage , ovvero sulla prima guerra mondiale. Più concretamente, come dimenticare il ruolo fondamentale giocato da Giovanni Paolo II nella fine del comunismo e a sostegno di Solidarnosc nella vicenda polacca? O ancor più concretamente il suo schieramento a favore della secessione delle (più o meno) cattoliche Slovenia e Croazia dalla Jugoslavia, basata su un’interpretazione in stile Huntington, quasi che Zagabria e Lubiana appartenessero a una civiltà incompatibile con la Belgrado inscritta nella sfera di influenza ortodossa. Se quando il papa parla di geopolitica – e non solo – la Chiesa si divide, vuol dire che la malattia che affligge la Santa Sede è davvero profonda. La Roma cattolica è sempre stata un protagonista della scena internazionale, indipendentemente dai giudizi che si possono dare sulle sue scelte. La cosa peggiore che può capitare a chiunque, tanto più se si tratta di una grande autorità morale e spirituale, è di non essere ascoltato. O peggio di evidenziare le faglie che si aprono in casa propria. Francesco passerà alla storia per questo?