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Una stagione fortunata per il Teatro Sociale

Il direttore Gianfranco Helbling e l’attrice Margherita Saltamacchia ci portano dietro le quinte
/ 26/02/2024
Giorgio Thoeni

Al Teatro Sociale di Bellinzona sabato scorso è andato in scena in prima assoluta Microwalser di e con Daniele Bernardi e Ledwina Costantini. Qualche settimana fa ha registrato il tutto esaurito la serata omaggio a Édith Piaf con il pubblico in visibilio che applaudiva e cantava senza fine Milord, La vie en rose e Non, je ne regrette rien proposte in chiave jazz da Beatrice Zanolini (voce), Danilo Boggini (fisarmonica, voce narrante, arrangiamenti), e tutto lo splendido gruppo dei Môme. Una serata emozionante che ha fatto vibrare le balconate del Teatro. A gennaio un sold out per cinque serate lo ha registrato anche Minotauro, una ballata per la regia di Margherita Saltamacchia. Sembra dunque essere un’ottima stagione per il Teatro Sociale che oggi è un punto di riferimento importante per la scena culturale del nostro Cantone con una ricca programmazione volta a valorizzare le risorse e i talenti della regione. Eppure c’è stato un momento in cui la politica sembrava divisa sul suo futuro mettendo in discussione la gestione e le scelte artistiche del suo direttore Gianfranco Helbling, in carica dal 2011.

Una schermaglia superata, Gianfranco Helbling?
Che la politica si interessi del Teatro pubblico della Città di Bellinzona è certamente positivo. C’era stata una forte preoccupazione, per certi versi condivisibile, per i risultati della stagione 2021-22, la prima che avevamo riprogrammato dopo la pandemia ma nella quale erano ancora in vigore le misure preventive nei teatri come il divieto d’accesso a chi non era vaccinato e l’obbligo di indossare la mascherina, e larghe fasce di pubblico avevano ancora timore a frequentare le sale, come tutti i teatri svizzeri ed europei. Il Sociale aveva avuto un calo di spettatori del 25% rispetto alle stagioni prepandemiche. Eppure avevamo chiuso quella stagione in pareggio grazie a una prudente programmazione. Il risultato aveva però preoccupato la Commissione della gestione. È stata l’occasione per spiegare alcune scelte di fondo, come il forte coinvolgimento di artisti del territorio o il fatto che abbiamo una sala di dimensioni tutto sommato ridotte che non permette di ingaggiare grossi nomi perché il potenziale di incasso sarebbe troppo esiguo. Così è stata costituita una commissione consultiva di esperti che potrà dare indicazioni all’Ente autonomo sulle questioni di portata strategica. I conti sono comunque stati approvati e il mandato di prestazione rinnovato per altri due anni con la possibilità di assumere un nuovo tecnico di scena, un rinforzo fondamentale soprattutto per garantire la sicurezza in teatro. E i risultati della stagione 2022-23 sono stati da record, ai livelli degli anni precedenti la pandemia.

La particolarità delle stagioni del Sociale consiste nella sua attenzione per il territorio…
Mi è sempre stato chiaro che ciò che può dare identità a un teatro potevano e dovevano essere anche produzioni con artisti del territorio. È lì dove il pubblico si riconosce. Del resto anche l’allora Fondazione desiderava un rapporto più stretto con il territorio. Come primo tentativo avevamo scelto L’anno della valanga di Giovanni Orelli. Dalle reazioni di stupore ed emozione nel vederlo rappresentato su una scena istituzionale e prestigiosa con la stessa dignità di spettacoli acquistati in Italia abbiamo capito di essere sulla strada giusta. Negli anni seguenti abbiamo messo in scena altri spettacoli dalla forte attinenza tematica con il territorio coma Prossima fermata Bellinzona, Kubi e Il fondo del sacco senza però limitare i confini ma allestendo spettacoli di autori svizzeri che in italiano nessun altro avrebbe portato in scena come L’epidemia di Agota Kristof, Olocene di Max Frisch o Minotauro di Friedrich Dürrenmatt.

Dunque produzioni svizzere e coinvolgimento di personale tecnico locale, una linea di condotta a cui si è aggiunto nel 2013 il Festival Territori che tornerà quest’anno dal 5 al 9 giugno con proposte in teatro e negli spazi urbani.
Nelle prime sei edizioni era un festival molto internazionale con alcune nicchie di programmazione dedicate alla scena locale. A partire dalla scorsa stagione è diventato un Festival che pone un accento particolare sulla giovane scena della Svizzera italiana.

Com’è costruita la stagione?
Il Sociale è l’unico teatro pubblico della nostra regione, deve dunque soddisfare le richieste di spettacolo di tutti i suoi potenziali spettatori. Le due rassegne in abbonamento sono le colonne portanti della stagione: Chi è di scena è quella dedicata al teatro di prosa, che però sempre più si apre a contaminazioni con altri generi. L’altra è Com.x, unico cartellone in Ticino dedicato alla comicità teatrale che ha un po’ ripreso il testimone di Homo Ridens. Ma abbiamo altri filoni aperti alla narrazione, a altri percorsi insoliti e innovativi, senza dimenticare la scena svizzera (a marzo arriva Thom Luz con Das irdische Leben) e spettacoli per i più piccoli con anche una ricca offerta musicale. In tutto circa 50 titoli a cui si aggiungono quelli del Festival Territori.

Margherita Saltamacchia e un Minotauro salvifico

Attrice ligure trapiantata a Bellinzona dal 2010, in questi ultimi anni Margherita Saltamacchia si è ritagliata un ruolo di riferimento per il pubblico del Teatro Sociale, sia come interprete sia come artista attiva nella realizzazione e regia di spettacoli di successo, come il recente Minotauro coprodotto dal Sociale e LaTâche21. Un sodalizio molto significativo e costruttivo iniziato nel 2017 con il Festival Territori e l’incontro con Gianfranco Helbling. Poi c’è stato Il fondo del sacco di Plinio Martini che con le sue 27 repliche è diventato una sorta di biglietto da visita del Sociale. Ma, tornado al presente, lo scorso gennaio, per la regia di Margherita Saltamacchia e la direzione artistica di Marzio Picchetti è andato in scena un Mintotauro al femminile che ha visto in scena le attrici Margherita Saltamacchia e Anahì Traversi e la danzatrice Jess Gardolin. Partiamo da qui.

Margherita Saltamacchia, avete registratoun sold out per cinque serate. Com’è nata la scintilla per il testo breve di Dürrenmatt?
Sono tre i momenti importanti. Il primo è certamente la lettura fatta al Sociale con Anahì Traversi nel 2021 in piena pandemia e in occasione del centenario dalla nascita dell’autore. Quell’anno Sonja Riva, giornalista culturale, mi aveva inoltre proposto di creare uno spettacolo sulla sua figura e così, in collaborazione col Sociale, è nato Mein Fritz, il mio Leo basato su materiali di e su Dürrenmatt e Sciascia, uno spettacolo che ha fatto diverse date, anche a Roma, Milano e Neuchâtel al Centre Dürrenmatt. È stata l’occasione per approfondire una conoscenza che mi aveva affascinato moltissimo.

Poi la sua vita è stata segnata da un episodio drammatico e inaspettato. Cosa è successo?
Sulle prime il dolore mi ha bruscamente fermato. Poi, a distanza di qualche anno, ho iniziato a intravvedere la bellezza che c’è anche nel dolore e mi è servita a confrontarmi con me stessa. Mi sentivo molto incompresa e sfortunata. Non avevo voglia di far nulla, non avevo nessuna idea. Vedevo tutto grigio. Finché ho capito che la corazza che mi ero costruita non serviva a nulla e che non ero sola in quella condizione. Allora è rispuntato il Minotauro e ho capito che aveva molto da insegnarmi. Anche lui è chiuso nel suo labirinto e pensa di essere l’unico. Poi piano piano si sfalda tutto: la sua corazza, il labirinto, le certezze e attraverso l’incontro con gli altri comincia a capire sé stesso. Insomma c’erano tematiche che mi risuonavano. E la morte del Minotauro con la sua dualità è stato un punto su cui ho lavorato parecchio. Ho anche avuto la fortuna di discuterne a lungo con Donata Berra, la traduttrice del racconto per Adelphi. Tutto ciò mi ha obbligato a dare un giudizio alla mia vicenda in relazione a quella morte che ho iniziato a vedere come una liberazione, come un passaggio. Gli fanno eco le parole conclusive del testo di Dürrenmatt, «prima che venisse il sole, vennero gli uccelli», l’unico modo con cui il corpo del Minotauro può uscire dalla prigionìa e andare verso il sole.

Come è stato pensare al progetto, com’è stato trasporre sulla scena gli elementi teatrali del racconto?
Immaginavo un labirinto di luce con al centro una danzatrice. Ho subito chiamato Marzio Picchetti (Light designer e produttore, NdR) con cui già collaboravo, e Marzio ha concretizzato la mia visione: a un iniziale gioco di specchi e luci si è aggiunto il labirinto risolto con una scenografia ispirata a un quadro di Escher (quelle scale che salgono e scendono senza fine), con una dozzina di specchi e decine di fari che giocano a riflettere fasci di luce rincorrendosi e creando così uno spazio a volte chiuso, a volte magico…

Talvolta il testo sembra essere d’accompagnamento, quasi secondario rispetto all’impatto scenografico.
La complessità è stata quella di restituire quel gioco di specchi anche nelle due narratrici dando un senso non puramente estetico ma anche di senso, dimostrando che in tutte le cose ci possono essere più punti di vista. Le parti mancanti del testo le ho affidate a Jess Gardolin e a Ali Salvioni (Sound Design) come spunto per la coreografia e la musica. In sostanza ho diviso il testo usando linguaggi differenti in equilibrio tra loro: quello coreografico, una voice over narrante in tedesco e in italiano e il gioco di specchi tra le due narratrici.