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«Non per un uomo, ma per la giustizia»

Un ricordo del coraggio dell’ex procuratore e politico ticinese Dick Marty: guardava sempre la realtà in faccia
/ 01/01/2024
Matilde Casasopra

Era nato il 7 gennaio 1945, alle 3.15 del mattino. «Sai? Anche nel 2024 il mio compleanno cadrà, come allora, di domenica, ma… non so se riuscirò a festeggiarlo». Lo diceva sorridendo e, accennando all’orario, precisava che, per solo poco più di tre ore aveva scampato il pericolo di essere ricordato come «l’uomo della Befana». Dick Marty se n’è andato il 28 dicembre del 2023. Dimesso dalle cure palliative dell’Ospedale Italiano il 23 dicembre, era tornato a casa per Natale. «Qui sono davvero bravissimi. Sanno, come me, che non ci sono più cure possibili e cercano di fare in modo che gli ultimi giorni della vita siano almeno sereni. Il problema è che non riesco a capire se posso tornare a casa perché sto meglio o perché ormai sono alla fine».

Dick Marty guardava la realtà – e la vita – in faccia. Senza veli, senza ipocrisie, alla costante ricerca della verità e della giustizia. Il resto era meno importante, compresi il consenso e l’approvazione altrui. Al punto che, a pochi giorni dalla presentazione al LAC di Lugano del suo libro testamento Verità irriverenti, ebbe a dire: «Ma chi vuoi che venga a sentire un vecchio brontolone che si racconta? Ci saranno una cinquantina di persone». I presenti – oltre 500 quella sera al LAC – sanno che ci fu un’invasione pacifica per un abbraccio corale a quest’uomo ormai smangiucchiato dal cancro al pancreas, che, con voce ferma, aveva riaffermato i suoi valori, il suo essere liberale e libero: da preconcetti, da manovre e compromessi. Un’etica nata e cresciuta con lui: dagli anni del Max Planck Institut (1972-1975) a quelli da procuratore pubblico sopracenerino (1975-1989), dal sequestro dei 100 kg di eroina a Bellinzona al suo essere magistrato prestato alla politica: come consigliere di Stato (1989-1995) prima, come consigliere agli Stati (1995-2011) poi. In un susseguirsi di incarichi, impegni, inchieste: dalle carceri segrete della CIA (2006-2007) ai diritti umani violati in Cecenia (2010) al traffico di organi in Kosovo (2010).

Riassumerne la vita in poche righe è impossibile. Nel suo sito (https://www.dickmarty.ch/) leggiamo, entrando: «Appartengo ad una generazione che guarda con diffidenza i cosiddetti “social” e dunque, lo ammetto, li ignoro. Mi è sembrato tuttavia non del tutto inutile lasciare una traccia di scritti e avvenimenti avvenuti durante la mia lunga carriera professionale, essenzialmente svolta all’interno delle istituzioni». Tra gli elementi aggiunti recentemente: un’intervista del 23 dicembre a Republik e il video del suo intervento a Strasburgo, lo scorso 1. dicembre, quando fu insignito del Premio Pro Merito del Consiglio d’Europa. Il video l’ha realizzato Malika, sua nipote – «la mia Angela Davis» - che con la figlia Francesca l’aveva accompagnato nei luoghi dove era stato protagonista e dove ha voluto essere presente con le tre generazioni della sua famiglia. Nel suo sito, non c’è tutto quel che è stato e ha vissuto Dick Marty. Non c’è, ad esempio, uno degli ultimi incontri che l’hanno emozionato nel profondo.

Lo scorso maggio era salito in Valle Onsernone. È lì che incrocia un uomo che rallenta, si ferma e infine… lo abbraccia. «Come sono contento di rivederla». Lui lo guarda, ma… non capisce chi sia. «Ci conosciamo?». E lo sconosciuto si manifesta. Lui è quel ragazzo che, molti anni fa, per pochi grammi di erba, il giovane procuratore aveva deciso di arrestare. «Ero finito alle pretoriali. Ci ho trovato persone gentilissime e, in quei giorni di privazione della libertà, ho pensato a molte cose. Penso che sia cominciato lì il mio cambiamento di binario. Grazie». La domanda è d’obbligo visto che Dick Marty, nel 2010, si era dichiarato a favore della legalizzazione di tutte le droghe. «Era necessario l’arresto?». Risposta: «Forse no, ma… meglio l’arresto che le botte del padre». Dick Marty, era così: la giustizia al primo posto, ma sempre unita al rispetto dell’altro, dell’uomo. Il caso di Youssef Nada, finito nelle «liste nere dell’Onu», e per otto anni restato, senza processo, prigioniero in casa sua, è un’altra pagina che racconta il suo modo di essere. Avevamo incontrato i protagonisti della vicenda nel settembre 2009. Il senatore Marty ha dato voce al prigioniero Nada e agli altri 299 cittadini che, dopo l’11 settembre 2001, sono finiti sulla «Black List» delle Nazioni Unite.

«Non lo faccio per un uomo – ci aveva detto, a Campione d’Italia, nell’aprile 2006 – lo faccio per il diritto, per la giustizia, affinché sia giusta e uguale per tutti». Una battaglia condotta sia a livello svizzero sia europeo che ha portato l’assemblea del Consiglio d’Europa ad accettare, con 108 voti favorevoli e 3 astenuti, il 24 gennaio del 2008, la risoluzione che invitava il Consiglio di sicurezza dell’Onu e il Consiglio dell’Unione europea «a rispettare le regole del diritto nell’ambito di persone o organizzazioni inserite nelle liste nere perché sospettate d’attività terroristiche». Quando ha saputo che l’ingegner Nada era stato tolto dalla «Black List» si era commosso: «Non pensavo che questo anziano signore potesse veder realizzato il proprio legittimo sogno: essere riabilitato, riconosciuto nella sua innocenza ed estraneità all’accusa di finanziatore di Al Qaida». Adesso Dick Marty, quest’uomo che sapeva commuoversi, ma anche indignarsi, ironico, ma mai beffardo, se n’è andato. Riusciremo a fare in modo che la sua eredità non vada perduta?