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La fondue moitié-moitié di Viola Amherd
La neo presidente della Confederazione dovrà trovare molti compromessi di fronte alle sfide che l’attendono
Roberto Porta
A Viola Amherd non manca di certo lo humor. Lo si è capito anche ascoltando il discorso che ha tenuto davanti alle Camere federali nel giorno della sua elezione a presidente della Confederazione per questo 2024. «La fondue moitié-moitié è la prova che la Svizzera è capace di compromessi», aveva affermato con un sorriso la neo-eletta. Arte casearia a parte, nell’anno appena iniziato la Consigliera federale vallesana sarà chiamata a confrontarsi con diverse sfide di peso e a trovare i compromessi di cui la Svizzera ha urgentemente bisogno. E lo dovrà fare cercando di mettersi alle spalle le critiche che l’hanno accerchiata negli ultimi dodici mesi, per lei tra i più complicati da quando è entrata in Consiglio federale, ormai quattro anni fa. Rimproveri che a suon di schede si sono palesati anche nell’elezione alla presidenza, lo scorso 13 dicembre. Esponente del Centro, Viola Amherd ha ricevuto 158 voti, un bottino piuttosto mediocre, tra i più magri degli ultimi vent’anni.
La scelta dei collaboratoridiretti e il «caso Ruag»
Per gli appassionati della statistica ricordiamo che nel 2011 Micheline Calmy Rey ottenne soltanto 106 voti, uno dei risultati più bassi nella storia del nostro Paese. Ma queste sono vicende di oltre dieci anni fa, torniamo ai nostri tempi e a Viola Amherd. E per farlo val la pena di ricordare quanto capitato l’8 dicembre di un anno fa. Quel giorno il Consiglio federale si era riunito per accogliere due nuovi ministri, Elisabeth Baume-Schneider e Albert Rösti. Molti si aspettavano di vedere Viola Amherd lasciare il Dipartimento della Difesa per passare a quello, rimasto libero, dell’Ambiente e dei Trasporti. E invece la ministra vallesana decise di rimanere nel suo DDPS (che sta per Dipartimento federale della Difesa, della Protezione della Popolazione e dello Sport) che guida da quando è entrata in governo e che viene considerato il dipartimento meno prestigioso del nostro esecutivo. Lei però non la vede così, anche perché nel frattempo è riuscita a convincere i suoi colleghi di governo a rafforzare la struttura del suo Dipartimento, con la creazione di un Segretariato di Stato per la politica di sicurezza (Sepos) e con il trasferimento del Centro nazionale per la cybersicurezza. Il DDPS ha così le carte in regola per poter assumere un ruolo sempre più importante viste le tante crisi di questi ultimi anni, a cominciare dall’invasione russa dell’Ucraina e dalla guerra tra Israele e Hamas. Creato il nuovo Segretariato di Stato, si trattava di forgiarne la struttura e di trovare un suo capo. E qui per Viola Amherd sono iniziati i problemi. La prima persona scelta dalla ministra vallesana è stato l’ambasciatore in Turchia Jean-Daniel Ruch, che però lo scorso ottobre ha dovuto gettare la spugna, a quanto pare per pratiche sessuali a pagamento non proprio in sintonia con la sua carica e che lo rendono ricattabile. Uno smacco per Amherd, che un mese prima aveva presentato il nuovo responsabile del Sepos davanti alla stampa. Stessa sorte per il secondo nome emerso in fase di candidatura, quello dell’ambasciatore Thomas Greminger, uno dei diplomatici più navigati del nostro Paese con all’attivo varie esperienze sugli scacchieri più delicati della geopolitica mondiale. Ma anche lui ha dovuto rinunciare a causa di alcuni favori professionali concessi in passato a una sua amante russa. Passi falsi emersi durante la procedura di selezione e che hanno nuovamente messo in imbarazzo la ministra della difesa. Viola Amherd si è poi salvata all’ultimo minuto, lo scorso 22 dicembre è riuscita finalmente a presentare il nuovo responsabile del Sepos, nella persona di Markus Mäder. Nominato dall’insieme del governo, questo alto funzionario del suo Dipartimento ha avuto pochi giorni per prepararsi al suo nuovo incarico, visto che è entrato in carica il primo gennaio di quest’anno, giorno in cui il nuovo Segretariato di Stato ha aperto ufficialmente i battenti. Un parto travagliato che ha gettato ombre sull’operato di Viola Amherd, perlomeno per quanto riguarda la scelta dei suoi collaboratori diretti. E così è stato anche per il «caso Ruag», con in estate le improvvise dimissioni della sua neodirettrice, Brigitte Beck, che ha pagato per alcune sue dichiarazioni in contrasto con la neutralità elvetica e per la gestione non proprio limpida di quasi 100 carri armati Leopard 1, stazionati in un deposito in Friuli. Blindati che, nel contesto della guerra in Ucraina, la signora Beck avrebbe tentato di vendere alla Germania, nonostante il parere negativo della Segreteria di Stato per l’economia. Attiva nel settore degli armamenti, la Ruag è una società anonima ma di completa proprietà della Confederazione, da qui le critiche anche a carico di Viola Amherd, che sul caso ha voluto aprire un’inchiesta esterna, anche per poter ristabilire la fiducia tra il governo e i vertici della stessa Ruag.
La patata bollente della Nato
Politicamente il tema più scottante con cui è confrontata la ministra vallesana è però un altro: quello della collaborazione del nostro esercito con la Nato. Già dal 1996, la Svizzera partecipa al cosiddetto «Partenariato per la Pace» dell’Alleanza atlantica, ma la signora Amherd vorrebbe ulteriormente intensificare questa cooperazione militare, nel rispetto della nostra neutralità. Da destra ma anche in parte da sinistra piovono però le critiche, per un’apertura considerata eccessiva. Un tema che riemergerà di certo anche nel corso del 2024. Anno in cui la ministra della difesa potrà comunque contare su un aumento sostanziale dei fondi a disposizione dell’esercito, che gradualmente passeranno dai 5 miliardi di oggi ai 10 previsti entro il 2035. Una notizia di certo positiva per Viola Amherd che ora dovrà dar prova di riuscire a gestire questa manna miliardaria insieme ai vertici delle nostre forze armate, lei prima donna in Svizzera a dirigere politicamente questo settore, da sempre in mani maschili. La ministra della difesa dovrà anche tenere sotto controllo i tempi di consegna dei 36 nuovi aerei da combattimento di fabbricazione statunitense, gli F-35. Le tante guerre in corso rischiano di ritardare il loro arrivo nel nostro Paese, previsto tra il 2027 e il 2030. In questi quattro anni di governo quello dei nuovi caccia è stato di certo il maggiore successo di questa ministra, che finora si è mossa con pacatezza ma anche con fermezza, imponendo la sua linea e cercando anche di accrescere la presenza femminile all’interno dell’esercito. Lo ha fatto in fondo richiamandosi al compromesso e, tornando al suo discorso di investitura, anche alla fondue. «Nel caquelon ognuno ci mette la sua forchetta». Un altro modo per dire che la sua presidenza sarà segnata dalla costante ricerca di soluzioni condivise, in un anno che a detta di Viola Amherd sarà «di certo impegnativo».