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Aggrappati alla propria patria

Un saggio di Oscar Mazzoleni ci invita a riflettere sul legame tra territorio e democrazia spesso trascurato dalla politologia
/ 11/12/2023
Orazio Martinetti

C’è chi fa politica e c’è chi la politica la studia. Oscar Mazzoleni appartiene a questa seconda categoria. Dal suo Osservatorio della vita politica (ubicato prima a Bellinzona e ora annesso all’università di Losanna) scruta con occhi scientifici quanto avviene nella sfera della politica, dalle strategie dei partiti alle scelte delle istituzioni. La sua già ampia bibliografia comprende titoli in italiano, francese, inglese, opere specialistiche ma anche volumi di carattere divulgativo, come i saggi sulla «nuova» Udc guidata da Blocher o sui rapporti non sempre sereni tra il Ticino e l’amministrazione federale (Berna è lontana? Il Ticino e il nuovo regionalismo politico). Mazzoleni ha pubblicato presso Mondadori, nella collana «Lessico democratico», un mini-trattato incentrato sul tema Territorio e democrazia. In pagine molto dense di concetti e di riferimenti, l’autore invita a riflettere su un legame che la politologia ha spesso trascurato perché abituata a calare le sue diagnosi in perimetri più vasti, come quello nazionale, continentale o globale. All’indomani del collasso del blocco sovietico si è infatti pensato che l’orizzonte della politica non conoscesse più ostacoli, alimentato da un neoliberismo trionfante, fondato sul libero scambio di manodopera, merci, capitali, servizi. Il mondo è piatto, si disse, e chi non condivideva tale visione era condannato all’emarginazione e al declino. Un cammino ritenuto inarrestabile, di pace e cooperazione, che avrebbe fortemente ridimensionato anche lo Stato nazionale, per secoli attore indiscusso delle relazioni internazionali. E dunque via le frontiere, controlli doganali ridotti al minimo, libera circolazione.

Mazzoleni dimostra invece che tutta questa narrazione, spacciata come progresso universale, non teneva conto delle domande e delle ansie delle singole comunità, che infatti reagirono, sfruttando anche le falle del sistema economico-finanziario dopo i rovesci del 2008-2009. La reazione prese di mira le élites globali come pure le multinazionali che operavano su scala sovranazionale abbandonando al loro destino chi cadeva fuori dalle catene del valore, i vinti delle desertificazioni industriali, le maestranze non più in grado di reggere la concorrenza cinese, la forza-lavoro scarsamente qualificata. È a questo stadio che la politica rientra in gioco, cavalcando il potenziale di rabbia presente nei ceti sociali a rischio povertà. A salire sulle barricate non è però la sinistra socialdemocratica (che anzi è ritenuta corresponsabile dei guasti), ma le formazioni collocate alla sua destra e alla sua estrema sinistra, ostili all’Unione europea e all’euroburocrazia di Bruxelles. Si fa quindi largo una contro-narrazione imperniata sul territorio, che diventa lo spazio fortificato da cui contrastare le insidie provenienti dall’esterno: l’imposizione di norme e regole elaborate altrove, la pressione migratoria (profughi), l’afflusso di salariati a basso costo. Da preteso dato naturale, il territorio diventa così presidio di resistenza, muro difensivo, luogo degli affetti primari, scrigno di valori unici e atavici, tradizioni da salvaguardare. La Lega Nord di Bossi (il leader) e di Gianfranco Miglio (l’ideologo) è stata una delle prime formazioni a far leva su questi sentimenti legati alla piccola patria, collocando il Veneto e la Lombardia in un’ideale quanto immaginaria «Padania». Mazzoleni parla in proposito di «populismo territoriale», di uso politico di aree che si presuppongono omogenee dal punto di vista etnico, linguistico, religioso.

Il territorio così inteso e idealizzato ha fatto le fortune anche della Lega dei Ticinesi, nella persuasione che i mali del Ticino derivassero da un’eccessiva apertura sia verso nord (i balivi di Berna), sia verso sud (l’esercito dei frontalieri italiani). Una propaganda efficace, che ha prodotto consensi e voti, ma che ora, a oltre trent’anni dalla fondazione del movimento, deve arrendersi alla realtà: ottantamila lavoratori/lavoratrici che ogni giorno valicano la frontiera, una popolazione residente che, nonostante il calo della natalità, si avvia a toccare le quattrocentomila anime. Ma questi sono micro-fenomeni dentro un contesto ben più largo, come i fermenti che scuotono la Spagna (Paesi Baschi, Catalogna) o il Regno Unito (Scozia). La volontà di aggrapparsi al territorio come a un’ancora di salvezza è stata inoltre decisiva nel voto inglese sulla Brexit, come spiega anche Gianmarco Ottaviano nel volume Geografia economica dell’Europa sovranista (Laterza). Si deve allora concludere che lo Stato nazionale con tutti i suoi poteri abbia perso il suo primato? Nient’affatto, risponde Mazzoleni. La pandemia di Covid-19 ha anzi esaltato il suo ruolo e le sue funzioni gestionali e regolatrici, e questo anche nella Confederazione, giacché ha permesso alle autorità centrali di intervenire con tempestività, sopperendo alle carenze e alle esitazioni dei Cantoni. Il moto insomma non è a senso unico. L’enfasi sul territorio dà certamente frutti sul piano elettorale, ma poi emergono i limiti di una concezione che spesso rimane nel vago. Come la retorica sull’Europa delle regioni, o sulla Svizzera delle macro-regioni. Tant’è vero che un po’ ovunque il nazionalismo ha rialzato la testa sotto le bandiere del sovranismo, e non soltanto nei paesi dell’est.

Bibliografia
Oscar Mazzoleni, Territorio e democrazia. Crisi e attualità di un legame. Mondadori Education, Milano, 2022.