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«Non ci fidiamo dei nostri vicini: ci attaccheranno?»

Da Oslo, Norvegia, fino al confine con la Russia: le storie degli scandinavi che temono di fare la fine degli ucraini
/ 23/10/2023
Angelo Ferracuti

Trent’anni fa io e mio padre Mario iniziammo a parlare di un viaggio da fare insieme sulla «Strada blu», quella che parte da Mo i Rana nel nord della Norvegia, attraversa la Lapponia svedese arrivando nella regione dei laghi finlandesi fino in Carelia, e dopo 1200 chilometri finisce a Joensuu al confine con la Russia. Lui, che era un supermaratoneta, e aveva marciato di notte e di giorno per 48 ore nella pista di atletica del Coni di Ascoli Piceno il 19 maggio 1985 facendo 302 chilometri, avrebbe corso mentre io avrei raccontato questa sua nuova avventura seguendolo in camper. Continuammo a parlarne per molti anni ipotizzando anche un percorso di massima, fantasticando su quei luoghi costellati di laghi, fiumi e ghiacciai, grandi tundre di abeti e betulle, ma alla fine non partimmo mai. Restò per sempre la nostra memorabile avventura incompiuta. A cinque anni dalla sua morte ho deciso che avrei fatto da solo quel viaggio e, a metà settembre, sono volato davvero a Oslo. Ho fatto gli ultimi acquisti nella capitale norvegese, una vista al Parco di Vigeland o Parco delle sculture (dell’artista Gustav Vigeland), sono salito su una corriera che mi ha portato a Trondheim, poi ho viaggiato fino a Mo i Rana, ero già arrivato al Circolo polare artico.

Ancora più a nord si trova Treriksröset, la triplice frontiera tra Russia, Norvegia, Svezia e Finlandia, sul Lago Goldajärvi. Naturalmente la guerra russo-ucraina ha cambiato moltissimo la politica militare dei tre Paesi nordici, e proprio in Scandinavia lo scorso maggio si sono tenute le esercitazioni Arctic Challenge 2023: 2700 soldati, 150 aerei militari, gli eserciti di 14 Paesi. «Putin ha intrapreso la guerra contro l’Ucraina con il chiaro obiettivo di avere meno Nato – ha sentenziato il segretario generale dell’Alleanza, il norvegese Jens Stoltenberg, ex leader del Partito laburista Arbeiderpartiet – e sta ottenendo esattamente il contrario». Il presidente russo ha «convinto» anche i membri del Partito socialista di sinistra SV, che appoggia il Governo di centrosinistra dall’esterno senza farne parte, una volta molto ostile alla Nato, ad avvicinarsi all’Alleanza. Lo ha confermato Ingrid Lorentzen Kildal, la segretaria cittadina che ho incontrato nell’albergo dove alloggiavo a Mo i Rana, una donna bionda, timida e sorridente: «Personalmente sono molto contenta che la Norvegia faccia parte della Nato. Nel mio partito la grande maggioranza è a favore (una volta non era così, a marzo la direzione ha votato in questo senso, ndr.) ma alcuni sono contrari. Siamo quasi al nord, in questa zona non c’è un senso di pericolo, ma più ti avvicini al confine e più la paura cresce, anche se la maggioranza della gente non pensa che il conflitto si estenderà, che la Russia attaccherà, o almeno lo spera».

Così, con una piccola Toyota con cambio automatico noleggiata, sono partito per il mio viaggio, immaginando che mio padre corresse lungo i margini di quelle strade paradisiache, la sua andatura potente e lo sguardo fiero. In certi tratti ho visto piccole città nella regione di Trondelag (la cui capitale è Trondheim), zone residenziali con villette in legno, chiese in stile gotico con a fianco il cimitero di lapidi bianche, superate le quali si tornava dentro una natura incantata di abeti e betulle. A Umea, in Svezia, avevo appuntamento con Rolf Hugoson, professore di Scienze politiche esperto in diplomazia e conflitti armati, un uomo alto e sorridente, gli occhiali da vista con la montatura classica, e con il suo collega Giuseppe Nencioni, un italianista. «Quando il conflitto in Ucraina è cominciato – ha raccontato Hugoson – ho tenuto un discorso qui nella Piazza grande. Era tutto stranamente surreale, la gente partecipava, ma per noi che studiamo questi eventi tutto era già cominciato nel 2014 con l’invasione della Crimea. Ho provato un senso di vergogna per non aver reagito prima. Non ho paura di questa guerra, la Svezia e la Finlandia sono storicamente unite da sempre. Duecento anni fa erano un solo Paese. Durante la Seconda guerra mondiale non eravamo neutrali, anche se la Svezia non combatteva c’era un aperto traffico di armi per supportare la Finlandia. E anche se dopo non stavamo nella Nato era chiaro che se ci fosse stato un conflitto saremmo stati dalla parte dell’ovest, con la Norvegia, con la Danimarca», ha sottolineato, «e sono felice che tutto l’Ovest sia unito contro la Russia per fermare l’aggressione di un dittatore pericoloso come Putin».

Nencioni, che è anche uno studioso di storia, ha aggiunto: «La Russia è il tradizionale nemico da sempre. Con la guerra del 1804 la Finlandia è stata presa dagli Zar… La Svezia è stata sempre vista come un pericolo: lungo le sue coste negli anni Ottanta c’erano i sottomarini sovietici che facevano spionaggio». Poi mi ha spiegato che il popolo svedese è tendente alla razionalità, al controllo dei propri sentimenti, «quindi il pericolo si sente ma c’è anche un Governo, ci sono le alleanze, c’è un esercito. Se gli Stati Uniti e l’Europa continueranno ad aiutarla, l’Ucraina può combattere per quanti anni vuole, la Russia no, vediamo». Hugoson ha detto: «Sarà una nuova Corea, alla fine la Crimea sarà russa, l’Ucraina entrerà nell’Unione europea e la ricostruzione sarà un grande business per tutti». Sul traghetto per Vaasa (Finlandia) ho preso posto in una poltroncina rivolto verso il suonatore di piano bar che cantava su un piccolo palco della sala. Attorno a me ci saranno stati cinque o sei tavoli occupati da gente con un bicchiere incollato alle mani, poco interessata alla sua musica. Così il musicista è sparito, lasciando spazio a una colonna sonora di brani registrati, tra i quali Riders On The Storm dei Door’s, ma anche Alabama Song (Whisky Bar). Dagli oblò si scorgevano le acque scure e agitate e del golfo di Botnia, il mare infinito intorno, che stavamo attraversando e il cielo color piombo. Sceso dal traghetto ho proseguito per Kuopio, attraversando una zona agricola di fattorie, lunghi stradoni che tagliavano la tundra artica. A mio padre sarebbero piaciuti quegli spazi sconfinati, la libertà di correre tra cielo e terra.

Lì ho incontrato Liisa Taskinen, la presidente del Partito comunista finlandese, l’unico che si è opposto all’entrata nell’Alleanza atlantica. «L’attacco russo all’Ucraina – ha affermato – ha creato paura nella gente a causa della nostra storia in Finlandia, perché molti pensano che saremo il prossimo bersaglio e che la Nato sia necessaria per proteggerci. Noi nel Partito comunista non la pensiamo così, l’Alleanza atlantica non ci proteggerà ma renderà di nuovo la Finlandia un bersaglio». Secondo Taskinen bisogna avviare il prima possibile dei negoziati, «è fondamentale in questo processo la partecipazione dell’Europa che dovrebbe far sentire di più la sua voce».

Qualche chilometro ancora e sono arrivato a Joensuu, una città turistica che si trova vicino al confine con la Russia. È nota soprattutto per via delle stazioni sciistiche e ha una grande estensione. Una larga strada trafficata a quattro corsie porta da Onttola dove alloggio verso il centro, che non è altro che una grande piazza senza storia con il palazzo del municipio in fondo, da una parte, e quello del teatro dall’altra. In mezzo baracchini di street food con kebab gestiti da magrebini e turchi, e ragazze russe che vendono funghi freschi, finferli e porcini, oltre a edifici con dentro piccoli centri commerciali. Henrietta Macrì, padre italiano e madre finlandese, che di professione fa l’interprete e promuove il turismo, mi ha confessato: «C’è molto timore, non ci possiamo fidare dei nostri vicini, chissà cosa succederà domani, se ci attaccano o no, abbiamo sempre diffidato della Russia anche per ragioni storiche, però abbiamo fiducia nello Stato finlandese, nel nostro esercito», qui tra i giovani se ne parla molto, e poi ci sono molti profughi ucraini, «ho fatto lezione anche nei garage ai bambini rifugiati, ho incontrato donne che vivono qui senza i mariti che invece stanno combattendo». Invece i suoi amici russi che vivono a Joensuu hanno i parenti dall’altra parte del confine che «sono per Putin, vittime della propaganda, delle fake news, non riescono a spiegare loro come stanno veramente le cose». Una volta invece venivano molti russi in vacanza, «venivano a fare shopping, a comprare le pellicce, hanno costruito anche molte ville che adesso sono disabitate, e i turisti sono scomparsi».

In un bar ho incontrato Jere Nuutinen, un ragazzo vestito elegante del Partito di centro finlandese e presidente del Consiglio comunale, di orientamento liberale. «Questa è una città di 76’000 abitanti», ha esordito. «Molte di queste persone sono di lingua russa, tra le due parti di Carelia c’è sempre stato un rapporto molto forte. Mia nonna e altri parenti vivono dall’altro lato della frontiera; prima della guerra venivano a trovarci, adesso non è più possibile». Ha detto che la situazione è sotto controllo: «I nostri militari sono schierati, non abbiamo paura, però bisogna seguire gli sviluppi della guerra, perché con Putin non si sa mai cosa può succedere, e comunque le truppe russe che stavano al confine sono state spostate nel teatro di guerra ucraino e l’entrata nella Nato ci mette in una situazione di maggiore sicurezza». Ha spiegato che prima molti erano a favore della neutralità, ma dopo l’inizio della guerra la situazione è completamente cambiata. «I politici europei dovrebbero pensare di più che questa guerra ha avuto delle conseguenze economiche molto pesanti per noi. La chiusura delle frontiere è stato un disastro, ha aggravato la situazione. Bisogna sviluppare dei nuovi traffici, dei nuovi commerci con i Paesi europei».

La frontiera con la Russia si trova a Nirala, a sessanta chilometri da Joensuu. L’ho raggiunta attraversando una strada che tagliava una tundra di abeti alti dalle chiome giallastre e betulle; l’incanto di colori che in questo autunno pieno dal verde virano al giallo, al rosso e all’arancio sui tronchi. Al confine c’era un’aria di surreale desolazione, solo poche automobili in entrata verso la Russia; nel senso inverso la strada era deserta, qualche tempo prima il Governo aveva vietato l’ingresso dei veicoli con targa russa. Oltre il confine c’è la Russia e una guerra che ha già provocato la morte di 100’000 persone tra militari e civili, c’è l’ignoto e la Nazione che il premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievič ha definito impietosamente: «Era il Paese che leggeva di più. Ora ascolta solo la propaganda e manda i suoi figli a uccidere e razziare».