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Congiuntura: altre nubi all’orizzonte

Nella lotta contro l’inflazione la Federal Reserve e la Banca Nazionale Svizzera si fermano,mentre la Banca Centrale Europea continua ad alzare i tassi di riferimento. Intanto l’economia rallenta
/ 16/10/2023
Ignazio Bonoli

Le previsioni congiunturali per il prossimo anno non sono per nulla incoraggianti. Secondo il KOF, il Centro di ricerca congiunturale del Politecnico federale di Zurigo, il Prodotto interno lordo (PIL) in Svizzera dovrebbe crescere dell’1,3% nel 2024. La stima è inferiore a quella di tre mesi prima, che valutava una crescita dell’1,6%. La situazione dovrebbe ancora peggiorare negli ultimi mesi di quest’anno e scendere allo 0,8%. La Banca Nazionale Svizzera (BNS) si attendeva un certo rallentamento, per cui ha sospeso i suoi interventi al rialzo sui tassi di riferimento, pur facendo sapere che avrebbe comunque seguito con particolare attenzione l’evoluzione dei prezzi. Nelle previsioni del KOF, il tasso di inflazione nella media mensile dovrebbe essere del 2,2% quest’anno e scendere all’1,8% nel 2024. Anche queste previsioni sono state ritoccate rispetto rispettivamente al 2,3% e all’1,6% di tre mesi fa.

In sostanza, la BNS comincia a pensare di non aumentare il costo del denaro in modo da non accentuare il rallentamento dell’economia. Lo fa anche in considerazione di quanto sta avvenendo in Europa. Infatti la Germania, che è il maggior importatore di prodotti svizzeri, vede che la sua economia non cresce in questi mesi della seconda metà dell’anno. Anche altri Paesi si trovano nella stessa situazione, poiché la Germania sta pian piano perdendo la sua funzione di locomotiva dell’economia europea. Tuttavia la Banca Centrale Europea (BCE) ritiene ancora troppo alto il tasso medio di inflazione (4,3%) per poter cambiare politica e fermare l’aumento dei tassi di riferimento. Non così gli Stati Uniti, nei quali la Federal Reserve Bank (FED) ha deciso un momento di pausa nell’aumento dei tassi direttori. Le banche centrali sono comunque molto prudenti negli interventi di politica monetaria, poiché hanno visto come la precedente fase di interessi molto vicini a zero abbia provocato un’ondata inflazionistica, contro la quale sono ora chiamate a combattere.

Nel frattempo gli stessi metodi di calcolo del tasso inflazionistico sono un po’ ovunque messi in discussione. Nei consumatori è sempre più presente l’impressione che i prezzi salgano molto di più di quanto indichi il tasso ufficiale di rincaro. Per esempio, in Italia, il tasso di inflazione, a fine agosto, era del 5,3%, di un punto percentuale superiore alla media europea. Ma poi l’aumento del cosiddetto «carrello della spesa» è stato di parecchio superiore: 8,3%, anche se in leggera diminuzione rispetto al 9,4% di un anno prima. Si prevedono però aumenti (anche stagionali) dei prezzi per l’energia, per cui i dati sull’inflazione potrebbero risalire leggermente negli ultimi mesi dell’anno.

La situazione sembra invece migliore negli Stati Uniti, dove l’indice della cosiddetta core inflation (depurata delle componenti volatili dell’energia e degli alimentari) è aumentato solo dello 0,1%, il minimo dallo scorso novembre e inferiore anche allo 0,2% previsto. Sull’arco dell’anno, l’indice americano è salito del 3,9%, cioè con la crescita più lenta dal settembre del 2021, rispetto al 4,2% precedente. Questi dati hanno, in sostanza, giustificato la posizione della FED di un momento di attesa, ma della prosecuzione dei rialzi dei tassi direttori fino al raggiungimento dell’obiettivo di meno del 2% di inflazione annua. Sulla stessa linea si è mossa anche la Banca Nazionale Svizzera, che però potrebbe fare anche di meglio, dato che l’obiettivo è già stato raggiunto dal mese di agosto, con l’1,6% e sostanzialmente confermato con l’1,7% di settembre. Anche per la Svizzera il dato core è sceso in settembre all’1,35%, essenzialmente proprio grazie a un rallentamento (-0,5%) mensile dei prezzi dei generi alimentari. La BNS si riserva però la possibilità di procedere anche attraverso lo strumento valutario, cioè con la vendita sul mercato di parte delle enormi riserve accumulate nel tempo per la difesa contro una troppo forte rivalutazione del franco.

Per esperienza si sa, però, che la politica monetaria si ripercuote sull’economia con un certo ritardo, per cui la BNS attende di vedere i prossimi risultati della lotta attuale contro l’inflazione, prima di prendere la decisione di un ulteriore aumento dei tassi di interesse. Non esclude perciò un aumento probabilmente prima della fine dell’anno. La prudenza è dettata anche da aumenti di prezzi già in atto o prevedibili, come le pigioni, o i prodotti energetici e anche le tasse, tra cui la tassa sul valore aggiunto (IVA) a partire dal prossimo anno. In Svizzera è però evidente che un elevato tasso di cambio del franco è un fattore importante per contrastare la cosiddetta inflazione importata. In particolare quella media dei Paesi dell’Unione europea o di singoli Paesi, tra i quali anche l’Italia. Questa misura viene attuata con la vendita sui mercati monetari internazionali di parte delle riserve della Banca Nazionale. Così si riduce anche il bilancio della banca che è oggi molto gonfiato, così come le riserve di divise. Così facendo si riducono le quantità di franchi sul mercato e se ne fa aumentare il valore (in pratica il tasso di cambio). La BNS osserva però con attenzione anche le liquidità del sistema bancario svizzero. La crisi del Credit Suisse ha evidenziato la necessità di fornire liquidità alle banche in difficoltà momentanea. La fornitura di liquidità, riservata finora alle banche sistemiche, viene estesa a tutte le banche, che possono ottenerla anche contro i crediti ipotecari. L’ampiezza di questo mercato in Svizzera, che riduce la liquidità operativa delle banche, giustifica eventuali interventi eccezionali, dato che normalmente l’ottenimento della stessa è subordinato a specifiche preparazioni di tipo giuridico e operativo, che richiedono tempi più lunghi.