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La scomparsa di Credit Suisse e i tagli al personale
Nel 2025 la seconda banca elvetica verrà inglobata completamente da UBS. In Svizzera salteranno tremila impeghi
Roberto Porta
Era lo scorso 29 marzo e quel giorno, appena ritornato in sella a UBS, lo aveva definito il suo «scenario di base» numero uno. Una visione che giovedì scorso a Zurigo, Sergio Ermotti (nella foto) ha confermato in occasione di una conferenza stampa seguita dai principali organi di stampa del mondo intero. A detta di Ermotti non ci sarà vita per Credit Suisse al di fuori di UBS. Fondata nel 1856 e finita sull’orlo del tracollo finanziario lo scorso mese di marzo, la seconda banca elvetica verrà completamente inglobata nella sua nuova casa madre. Il suo marchio è destinato a sparire. Lo «scenario di base» è ora anche l’unico sul tavolo del direttore generale ticinese, che ha definito questa soluzione «di gran lunga la migliore possibile». Un’opzione strategica difesa fin dall’inizio anche dal Consiglio federale, intervenuto in marzo per evitare il collasso di CS. Con l’integrazione totale di questo istituto, si chiude anche una lunga rivalità che ha segnato la storia bancaria del nostro Paese, tra picchi di gloria e qualche vertiginoso tracollo finanziario. Con la Confederazione che per due volte è dovuta intervenire a un passo dall’abisso, la prima volta nel 2008 per salvare UBS e quest’anno per mettere al riparo Credit Suisse. In giacca e camicia, ma senza cravatta (la finanza internazionale sembra permettere anche qualche lieve sgarro al protocollo), lo stesso Ermotti ha comunque voluto far notare che ci vorrà ancora del tempo. L’integrazione avverrà soltanto nel 2025, quando si prevede di completare la migrazione dei clienti da una banca all’altra.
Lo «scenario di base» necessita di un lungo cammino, perché prima occorre ristrutturare Credit Suisse e solo in un secondo tempo si potrà pensare alle possibili sinergie tra i due istituti. In altri termini non è una fusione come tante altre. Lo stato di salute di CS non permette di dare subito il via alle operazioni di integrazione tra i due istituti, prima occorre che Credit Suisse venga rimesso in sesto. E qui gli interventi riguardano in particolare le sue strutture al di fuori del nostro Paese. A detta di Ermotti, che viene chiamato anche «Sergio II» da quando è tornato alla guida del gruppo, l’acquisizione e l’integrazione di Credit Suisse in UBS permettono meglio di qualsiasi altra opzione di accrescere la stabilità della banca e la fiducia della clientela. Fattori fondamentali su cui far leva, anche per evitare di dover ridurre in modo massiccio il personale dell’istituto. A livello mondiale il colosso elvetico dà lavoro a circa 110mila persone, in Svizzera sono invece 38 mila, ripartiti in questo modo: 21mila in UBS e gli altri in Credit Suisse. Da giovedì scorso si conosce anche la portata dei tagli tra i dipendenti che lavorano in Svizzera, ancora da definire quelli che toccheranno le sedi all’estero. Per quanto riguarda il nostro Paese la cura dimagrante annunciata è decisamente inferiore al previsto. Le speculazioni di queste ultime settimane parlavano di una riduzione di ben diecimila posti di lavoro, da giovedì si sa invece che saranno tremila. Anche in questo caso non si procederà subito ad applicare queste misure, che verranno diluite su più anni.
Regionalmente la piazza di Zurigo soffrirà più di altre a causa di questi tagli, tre quarti dei posti di lavoro interessati verranno soppressi proprio sulle rive della Limmat. Il Ticino dovrebbe poterne uscire meglio di quanto temuto in un primo tempo. In ogni caso è previsto anche un piano sociale che in sindacati del settore, hanno definito «generoso». Chi verrà toccato dai licenziamenti disporrà di uno stipendio per un anno di tempo e potrà frequentare corsi di riqualifica personale. Resta comunque una spada di Damocle decisamente ingombrante con cui fare i conti: UBS ha comunicato che la nuova banca dovrà essere in grado di risparmiare ben dieci miliardi di dollari all’anno, e questo fino al 2026. Una cifra superiore di due miliardi rispetto a quanto comunicato finora dall’istituto con sede a Zurigo. Per questo tra i commentatori c’è anche chi fa notare che ai 3000 licenziamenti annunciati oggi, nei prossimi anni potrebbero aggiungersene altri, in quella che in tedesco viene chiamata una «Salamitaktik». Come spesso accade in questi casi, è meglio comunicare le brutte notizie un po’ alla volta. Staremo a vedere se sarà davvero così, oppure se i vertici di UBS sapranno mantenere ferma la rotta in un ambito così importante come quello dei posti di lavoro. Va comunque detto che al momento c’è mancanza di personale in vari settori dell’economia svizzera. Non per nulla il consigliere federale Guy Parmelin, interpellato sul caso UBS, ha voluto sottolineare che proprio in ambito bancario gli impieghi a disposizione sono oggi all’incirca seimila in tutto il nostro Paese. Scrivanie libere che però non si riesce a occupare. Tornando a UBS appaiono incoraggianti anche le cifre di bilancio presentate giovedì scorso. L’utile del secondo trimestre di quest’anno è pari a quasi 29 miliardi di dollari, una cifra da primato dovuta soprattutto al prezzo di acquisto di Credit Suisse, molto inferiore al suo effettivo valore di mercato.
Positivo anche il dato relativo ai patrimoni in gestione, in crescita di 23 miliardi. Cifre che fanno guardare al futuro con fiducia, per dirla con le parole di Sergio Ermotti. Ancora decisamente negativi sono invece i dati di bilancio di Credit Suisse, con una perdita di quasi 9 miliardi nel secondo trimestre del 2023. Negli ultimi mesi si è però fermata la fuga di capitali che in primavera aveva quasi decretato il fallimento della banca. Ciò significa che la fiducia della clientela sta tornando, anche per Credit Suisse. La via per mettersi alle spalle diversi anni di gestione scriteriata è comunque ancora lunga, e sarà tutta nelle mani di UBS. A livello politico il dibattito su quanto capitato in questi mesi rimane comunque aperto, basti dire che il Parlamento ha nominato una propria commissione di inchiesta per far luce su questa acquisizione, sull’operato del Consiglio federale e degli organi che si occupano del controllo della piazza finanziaria svizzera. Anche lontano dalla scrivania di Sergio Ermotti il caso UBS-CS rimane pertanto ancora aperto.