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L’acqua, bene comune
Il 22 marzo si celebra la Giornata mondiale dell’acqua, patrocinata dalle Nazioni Unite
Fabio Dozio
Senza acqua non c’è vita. Siamo fatti di acqua, il corpo umano è costituito per il 60% da acqua. È l’elemento fondamentale, patrimonio dell’umanità. L’acqua è di tutti.
L’obiettivo della giornata mondiale di quest’anno è valorizzare l’acqua garantendo acqua e servizi igienico-sanitari a tutti. «Senza una comprensione completa del vero valore multidimensionale dell’acqua, – sottolinea l’obiettivo 6 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite – non saremo in grado di salvaguardare questa risorsa fondamentale a beneficio di tutti».
Da gennaio è in vigore in Europa la nuova direttiva sulle acque potabili che definisce l’acqua bene pubblico. L’Unione Europea blinda questo principio invitando gli Stati membri a rispettarlo, ma non prende posizione sulla scelta tra municipalizzazione e privatizzazione, che resta di competenza dei singoli Stati. L’aspetto interessante e particolare è che questa legislazione è stata adottata in seguito alla mobilitazione dei cittadini. Nel 2013, per contrastare la privatizzazione dell’acqua, a volte anche solo strisciante, l’associazione Right2Water, ha lanciato una petizione per rivendicare che al centro delle politiche idriche dell’UE fossero posti i diritti umani anziché una logica di mercato. Le adesioni dei cittadini europei alla campagna Right2Water sono state 1.884.790, un vero primato. La petizione chiedeva in particolare che: «Le istituzioni dell’Unione Europea e gli Stati membri siano tenuti ad assicurare a tutti i cittadini il diritto all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari; l’approvvigionamento in acqua potabile e la gestione delle risorse idriche non siano soggetti alle logiche del mercato unico e che i servizi idrici siano esclusi da qualsiasi forma di liberalizzazione». Se la società civile si mobilita si possono ottenere risultati politici significativi. La petizione dimostra che l’Unione Europea può essere condizionata dai suoi cittadini.
Mentre l’Europa considera l’acqua un bene pubblico, a Wall Street l’oro blu viene quotato in borsa. È notizia di poche settimane fa. Grazie a una partnership tra il Gruppo CME e Nasdaq, si proporanno futures legati all’acqua della California, ovvero dei contratti che si impegnano a scambiare la risorsa a un prezzo definito. Domanda e offerta che potrà stimolare la speculazione.
Anche in Svizzera è soffiato il vento della privatizzazione. Il 10 febbraio 2019 i cittadini del Canton Zurigo hanno rifiutato la proposta che mirava a una parziale privatizzazione dell’acqua potabile. Il risultato è stato chiaro: il 54,6% dei votanti ha bocciato la nuova legge. È stata la maggioranza del Parlamento a introdurre la possibilità di vendere ai privati fino al 49% delle aziende, in genere comunali, che distribuiscono l’acqua potabile. Gli oppositori hanno lanciato un referendum, temendo che la vendita ai privati potesse poi trasformarsi in una svendita dell’acqua potabile: il passo dal 49% al 51%, si è detto, è breve. D’altra parte, già nel 2000 i cittadini della città di Zurigo rifiutarono, in votazione popolare, la privatizzazione dei servizi industriali.
Sul piano mondiale, una decisione storica è la risoluzione delle Nazioni Unite del 28 luglio 2010, che definisce il diritto all’acqua come estensione del diritto alla vita affermato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo: «È ormai tempo – si legge in Right to Water, dell’Ufficio dell’Alto commissariato dell’ONU per i Diritti umani – di considerare l’accesso all’acqua potabile e ai servizi sanitari nel novero dei diritti umani, definito come il diritto uguale per tutti, senza discriminazioni, all’accesso a una sufficiente quantità di acqua potabile per uso personale e domestico: per bere, lavarsi, lavare i vestiti, cucinare e pulire se stessi e la casa, allo scopo di migliorare la qualità della vita e della salute». Come spesso succede per le prese di posizione dell’ONU, la risoluzione non è vincolante, nel senso che il principio vale come raccomandazione e non come obbligo.
All’origine del movimento che considera l’acqua un bene comune d’interesse generale c’è il «Manifesto dell’acqua – Il diritto alla vita», sottoscritto a Lisbona nel 1998. Il Comitato per il Contratto Mondiale sull’Acqua ha sancito che l’acqua è patrimonio dell’umanità e che il diritto all’acqua è inalienabile, individuale e collettivo. I cittadini devono essere al centro dei processi decisionali che riguardano l’acqua: «La gestione dell’acqua integrata e sostenibile appartiene alla sfera della democrazia. Non è l’affare delle competenze e del know-how dei tecnici, degli ingegneri, dei banchieri. Per definizione l’acqua richiede una gestione decentralizzata e trasparente. Le istituzioni esistenti di democrazia rappresentativa devono essere rafforzate. Se necessario, devono essere create nuove forme di governo democratico».
Il punto cruciale della disputa sulla privatizzazione dell’acqua è la contrapposizione tra bene comune e bene economico. Da una parte, il movimento dei cittadini e delle istituzioni che ritengono evidente e indiscutibile che l’acqua sia considerata un bene comune. Fra questi c’è anche Papa Francesco che nella Lettera Enciclica Laudato sì ha scritto: «L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani». Dall’altra parte, vi sono coloro che ritengono che l’acqua debba essere trattata come un bene economico, una merce come tante altre. Fra i sostenitori di questa strategia figurano alcuni organismi sovranazionali come il World Trade Organization, la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale. In più occasioni hanno imposto ai Paesi che chiedevano prestiti e sostegno finanziario di privatizzare i servizi in genere e la fornitura di acqua potabile in particolare.
Se le aziende pubbliche sono gestite in modo professionale possono essere redditizie e garantire la migliore qualità del servizio. Con un vantaggio inestimabile: che tutto il profitto può essere reinvestito nella società e che si possono mantenere le condizioni di distribuzione dell’acqua a prezzi sostenibili a favore degli utenti.
Anche molti Paesi e Città che si erano lasciati lusingare dalle sirene del libero mercato e del neoliberismo stanno facendo marcia indietro. Il rapporto Reclaming Public Services del 2017 illustra la situazione: dal 2000 si contano 835 esempi di (ri) municipalizzazione di servizi pubblici in 45 Paesi. Di questi 267 casi riguardano il ritorno in mano pubblica della gestione dell’acqua potabile. Sakoto Kishimoto, coautrice del rapporto, sottolinea che «viene dimostrato come la privatizzazione dei servizi idrici arriva dopo anni di promesse non mantenute, servizi di bassa qualità e prezzi rincarati. La ri-pubblicizzazione ha invece portato da subito taglio dei costi, efficienza operativa, incremento degli investimenti e un più alto livello di trasparenza».
La Società Svizzera dell’Industria del Gas e delle Acque (SSIGA), organizzazione mantello delle aziende svizzere, ha preso posizione nel marzo del 2018 sul tema asserendo che non va concesso nessun sostegno alla privatizzazione dell’approvvigionamento di acqua potabile. In particolare si sottolinea che l’acqua rappresenta un monopolio naturale e pertanto non è possibile alcuna forma di concorrenza. La Società ritiene che la gestione pubblica del settore sia ottima e non c’è quindi nessuna necessità tecnica o economica per promuovere forme giuridiche private. «Il diritto di lucrare dei privati, – dice la SSIGA – e quindi le loro richieste di codeterminazione e controllo, sono in contrasto con l’incarico di provvedere all’approvvigionamento idrico».
In Svizzera la maggioranza delle aziende che distribuiscono acqua potabile sono pubbliche, ma ci sono anche alcune cooperative di diritto privato e società anonime in mano pubblica.
Quest’ultima modalità è il caso di Lugano. La Città, nel 2000, ha trasformato le aziende municipali in società anonima, con il pacchetto azionario totalmente in mano pubblica. Oggi è un’azienda in piena salute, con un’attenzione alla sostenibilità e benefici alle casse comunali. Inoltre, le Aziende Industriali Luganesi (AIL) investono in pubblicità e in sponsorizzazioni culturali e sportive.
A Mendrisio la proposta di trasformare le aziende municipali in società anonima è stata bocciata dai cittadini in votazione popolare nel marzo del 2017. Il 56% dei votanti ha detto di no.
Anche Bellinzona ha un’azienda completamente comunale. Nel 2018, in seguito all’aggregazione dei comuni bellinzonesi, è stato costituito un ente autonomo di diritto comunale, l’Azienda Multiservizi Bellinzona (AMB). La distribuzione dell’acqua in Città era iniziata nel 1869, grazie a cinque fontane poste sul territorio cittadino.
In Svizzera la gestione delle acque è molto frammentata: migliaia di Comuni con migliaia di distributori. Si può certo pensare di concentrare e razionalizzare, ma sempre garantendo la proprietà pubblica, la trasparenza e la gestione democratica delle aziende.
C’è anche chi ritiene che la Confederazione dovrebbe ancorare nella Costituzione il principio che l’acqua potabile non possa essere privatizzata. Un tentativo in questo senso lo fece Franziska Teuscher, deputata del partito ecologista, proponendo nel 2000 al Consiglio nazionale un’iniziativa parlamentare che diceva: «Il Parlamento deve elaborare un progetto di modifica dell’articolo 76 della Costituzione federale in modo che dichiari che le risorse di acqua potabile e le installazioni necessarie per la captazione, il trattamento e la distribuzione dell’acqua siano un bene pubblico che non può essere venduto ai privati». La proposta fu bocciata, 76 contro 75.