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Omicron: quanto pericolosa per l’economia?
Intervista - L’economia è in forte ripresa. Christoph Sax, capo economista della Banca Migros, spiega se continuerà così e se l’inflazione e il franco forte diventeranno un problema
Benita Vogel
L’anno scorso si sosteneva che se fosse arrivata una terza o quarta ondata l’economia ne avrebbe risentito. La Svizzera si trova già alla quinta ma, incredibilmente, tutto sta andando bene. Perché?
Abbiamo imparato a convivere con la pandemia. Grazie alla vaccinazione e al numero crescente di guariti è stato possibile evitare ulteriori lockdown. Al tempo stesso molti Paesi, a partire dagli Stati Uniti, hanno aumentato la spesa pubblica per stimolare l’economia innescando, in parte, un boom dei consumi. Il commercio di merci si attesta, a livello mondiale, al 5% al di sopra del livello pre-crisi. Nel porto di Los Angeles, ad esempio, quest’anno è arrivato un 20% in più di container rispetto a due anni fa.
La situazione rimane tuttavia precaria. La forte quinta ondata e soprattutto la nuova variante Omicron generano incertezza anche in Svizzera. Qual è il pericolo per l’economia?
Un fattore decisivo è l’efficacia del vaccino contro la variante Omicron. I virologi ritengono che offra almeno una copertura contro la forma grave del virus. Se, contro ogni previsione, Omicron dovesse mostrarsi resistente al vaccino, dovremmo aspettare alcuni mesi per ottenere nuovi vaccini. Nel primo semestre assisteremmo probabilmente a una lieve flessione della performance economica. Durante tutto il 2022 l’economia svizzera dovrebbe crescere moderatamente anche a fronte di un simile scenario.
I prezzi sono tornati a salire per la prima volta da anni. Negli Stati Uniti il tasso d’inflazione è oltre il 6%, nella zona euro a quasi il 5%. La preoccupa?
L’inflazione ha due cause: da un lato i prezzi di molte merci e servizi sono precipitati all’inizio della pandemia, ma ora ricominciano a salire. Questo meccanismo è solo temporaneo. Dall’altro, i prezzi aumentano perché la domanda globale è molto alta. Molti produttori hanno problemi di consegna. In particolare scarseggiano materie prime, capacità di trasporto e semiconduttori. E questa situazione probabilmente perdurerà. Ritengo tuttavia che andrà attenuandosi nel corso del prossimo anno. Attualmente la crescita economica è molto alta, presto si normalizzerà e anche a livello mondiale verranno create nuove capacità. Queste arriveranno sul mercato in ogni caso quando la domanda tornerà a essere più moderata. È un po’ come un «ciclo del maiale». In breve: l’inflazione mi preoccupa poco. In generale, però, si manterrà un po’ al di sopra dei livelli registrati prima della pandemia.
Significa che le banche centrali non devono chiudere i rubinetti della liquidità per contenere l’inflazione?
Negli Stati Uniti sì, in Europa meno. La FED aumenterà gradualmente i tassi-guida nei prossimi due anni. Anche perché il Paese adotta sempre più una politica prociclica e stimola un’economia già positiva con programmi di rilancio. La pressione inflazionistica sarà dunque più persistente che nella zona euro. Qui il rincaro scenderà più rapidamente e l’aumento dei tassi-guida è meno urgente. Per di più l’euro ha perso nettamente terreno rispetto al dollaro.
E in Svizzera si può sperare in una fine dei tassi negativi?
Secondo il principio «se non ora, quando»? Verrebbe da pensarlo. Invece no, di certo nei prossimi due anni i tassi resteranno quasi negativi. In Svizzera il tasso d’inflazione è solo dell’1,5% ed è in parte dovuto al fatto che l’aumento dei prezzi dei carburanti si ripercuote meno sul paniere svizzero. Anche il franco forte frena l’inflazione. La Banca nazionale svizzera (BNS) non aumenterà il suo tasso-guida prima della Banca Centrale Europea, e quest’ultima vuole mantenere la sua politica di tassi negativi.
Da settimane un euro vale più o meno solo 1.05 franchi. Sette anni fa una quotazione del genere avrebbe sollevato un grido d’allarme nell’industria dell’export. Oggi non sembra più un problema. Cos’è successo?
Ci sono diversi motivi. Da un lato, la domanda globale è a livelli altissimi. Dall’altro, il rincaro nella zona euro è da anni superiore alla Svizzera, e quindi lì i costi crescono più rapidamente. Ne risulta che la competitività delle imprese svizzere è maggiore rispetto alla concorrenza all’interno della zona euro. Al tempo stesso le imprese elvetiche hanno lavorato bene durante la crisi e hanno tenuto sotto controllo, o addirittura ridotto, i costi. Ora possono beneficiare della ripresa globale da una posizione più solida.
A marzo termineranno le misure di emergenza in risposta alla pandemia, in particolare l’indennità per lavoro ridotto. Significa che assisteremo a licenziamenti di massa?
No, oggigiorno il lavoro ridotto viene richiesto molto meno. In primavera 2020 la differenza tra il tasso di disoccupati con lavoro ridotto e quelli senza era talvolta intorno a 17 punti percentuali. Oggi lo scarto è al massimo di mezzo punto percentuale. Senz’altro, a seconda dell’andamento della pandemia, potrebbe risalire ma non pensiamo che l’anno prossimo ci possa essere un’impennata della disoccupazione in Svizzera.
I corsi azionari hanno raggiunto livelli vertiginosi. Ci sono stati anche dei crolli, ma solo a breve termine. Per quanto tempo continuerà così?
Il motivo principale del clima positivo delle borse è che la maggior parte delle imprese è in ottima salute. La ripresa delle quotazioni riflette la forte crescita dei fatturati e degli utili. Numerose ditte sono riuscite a rispettare il margine malgrado l’aumento dei costi di produzione.
Cosa comporta questo per l’anno borsistico 2022?
Omicron e l’elevata inflazione sono motivo d’irrequietezza. Ecco perché gli alti e bassi si verificano a distanza ravvicinata. Eppure abbiamo fiducia che la tendenza al rialzo dei mercati azionari perdurerà. Per il 2022 prevediamo una crescita dell’economia mondiale del 4,5% circa. Parallelamente continuerà anche l’espansione dei fatturati e degli utili delle imprese.
Cosa dovrebbero fare ora i piccoli investitori?
Gli interessi restano bassi, conviene quindi passare, ad esempio, ai piani di risparmio in fondi. L’importante è suddividere il denaro in tranche, come una torta a strati, invece che investirlo tutto in una sola volta. Seguendo il principio della torta a strati si è in grado di affrontare meglio eventuali rettifiche.
Perché non investire nelle criptovalute? Potenzialmente generano rendimenti da sogno…
… e perdite enormi. Chi compra le criptomonete deve mettere in preventivo forti fluttuazioni valutarie. Le criptovalute come i bitcoin sono di moda anche perché non sono legate ai governi o alla politica della banche centrali. Gli investitori acquistano così una fetta d’indipendenza. Nel frattempo sono numerosi anche gli investitori istituzionali che usano le criptovalute come categoria d’investimento. Per la maggior parte dei restanti investitori le criptovalute restano in primo luogo uno strumento speculativo.
Investire in un immobile sarebbe molto lucrativo ma sono sempre meno le persone che possono permettersi una proprietà immobiliare.
La pandemia ha gonfiato ulteriormente la domanda e, di conseguenza, i prezzi. Permangono tuttavia significative differenze in base alle regioni e ai settori. Le case unifamiliari vanno per la maggiore. Fintanto che sul fronte dei tassi nulla cambierà, la situazione del mercato immobiliare non subirà forti variazioni.
Il 2021 è stato anche un anno segnato dalle catastrofi climatiche. I danni che provocano sono raramente argomento di discussione. Come mai?
Da un punto di vista prettamente economico i danni causati dalle catastrofi climatiche restano moderati. Nel 2020 hanno raggiunto un totale di 210 miliardi di dollari, pari ad appena lo 0,2% del PIL globale. Circa la metà dei danni si sono abbattuti sugli Stati Uniti. Nel 2021 le spese dovrebbero essere pressoché uguali. Tuttavia esistono altri danni che nessuno misura o che non sono quantificabili.
Eppure il cambiamento climatico si ripercuote sulla crescita economica futura.
Il cambiamento della vegetazione, il ritiro dei ghiacciai, l’erosione del suolo a causa delle forti piogge, lo scioglimento del permafrost o i futuri movimenti migratori causano costi difficili da calcolare. Swiss RE ha stimato l’impatto previsto dai rischi climatici sul PIL globale fino al 2050 rispetto a uno scenario senza cambiamento climatico. Il riassicuratore ha concluso che, se non si prendono provvedimenti, il PIL scenderà del 18%. Con alcune contromisure (limitare a 2,6°C l’aumento del riscaldamento globale) il PIL subirebbe una perdita pari al 14%. Se si raggiungono gli obiettivi stabiliti dall’accordo di Parigi (aumento inferiore al 2%), si conseguirebbe ancora un 4% in meno.
Enorme. Ciò nonostante i governi non trovano un compromesso.
Sì, e il peggioramento della qualità di vita non è nemmeno contemplato. Serve una coalizione di volenterosi – e in fretta. Il mondo occidentale deve dare qui l’esempio e dimezzare le emissioni di CO2 entro il 2030 per raggiungere il livello netto pari a zero entro il 2040. Solo così riusciremo a rispettare gli obiettivi globali climatici dell’accordo di Parigi. I grandi Paesi emergenti non vanno ancora coinvolti.
Perché è ottimista che riusciremo a raggiungerli?
La tecnologia avanza a grande velocità, il potenziale qui è enorme. Inoltre aumenta la pressione sociale e politica sulle imprese. In Svizzera, ad esempio, le grandi imprese, come anche la Banca Migros, devono realizzare la rendicontazione dei rischi legati al cambiamento climatico per l’esercizio 2023 probabilmente a partire dal 2024. Devono comunicare, per citarne alcuni, quale impatto ha la loro attività sul clima e sull’ambiente. Infine i prezzi per i certificati di emissioni di CO2 a livello europeo sono cresciuti del 159% in un anno, un segnale importante per il mercato.
Cosa fa la Banca Migros per aumentare la sostenibilità?
In materia d’investimento l’assetto sostenibile della nostra gamma di prodotti – dai fondi azionari a quelli strategici fino ai mandati di gestione patrimoniale – procede speditamente. Ci siamo altresì impegnati ad attuare l’accordo di Parigi sul clima nel quadro del Science Based Target Initiative (SBTI). È per questo che nel nostro ruolo di grande banca ipotecaria vogliamo, tra le altre cose, ridurre l’impronta ecologica di CO2 delle ipoteche di oltre la metà entro il 2030. Inoltre la Banca Migros ha lanciato una nuova soluzione di finanziamento nazionale con Helion, lo specialista nel campo dell’impiantistica dello stabile, per promuovere il risanamento sostenibile degli edifici.