azione.ch
 



Se il nuovo pontefice fosse africano

Il papato di Francesco ha spostato il baricentro geopolitico del cattolicesimo verso il Grande sud globale, e adesso?
/ 05/05/2025
Federico Rampini

L’ultima eredità geopolitica di papa Francesco potrebbe essere racchiusa in una immagine che ha fatto il giro del mondo. È la foto che ritrae Trump e Zelensky dentro la basilica di San Pietro, intenti a parlarsi al margine del funerale. Francesco sulla pace in Ucraina si era speso molto, ed è un caso raro in cui la distanza fra lui e Trump non era immensa. Nei tentativi iniziali della diplomazia vaticana di allacciare un dialogo con Putin, il pontefice scomparso si era visto rivolgere delle accuse simili a quelle lanciate contro Trump: di non essere chiaro nella condanna dell’aggressore. D’altronde se si definisce Putin un criminale e un macellaio – come faceva Biden – il dialogo non comincia neppure. La pace in Ucraina resta appesa a molte incognite, Trump finora è stato deluso e beffato da Putin. Intanto il Conclave è l’occasione per analizzare la geopolitica del cattolicesimo. Cominciando proprio dal rapporto fra papa Francesco e l’America. Bisogna fare un salto indietro di dieci anni. Accadeva il 24 settembre 2015 a Washington. Quel giorno papa Francesco è il primo pontefice nella storia a parlare al Congresso americano a Camere riunite. Chiede l’abolizione della pena di morte e della vendita di armi, invoca politiche di accoglienza per immigrati e profughi, un impegno contro le diseguaglianze, la lotta al cambiamento climatico. Papa Bergoglio ha delle affinità elettive con Barack Obama.

Oggi la stagione idilliaca Bergoglio-Obama appartiene al passato, ma non soltanto per l’avvento di Trump. Molte scommesse del periodo obamiano hanno deluso. In America latina: non c’è stato l’atteso miglioramento dei diritti umani a Cuba; in Venezuela un altro regime di estrema sinistra ha inasprito la deriva autoritaria. La questione migratoria all’interno degli Stati Uniti ha preso una piega imprevista: divenuto presidente, Biden e la sua vice Kamala Harris hanno pagato un prezzo elevato per non aver controllato il flusso di clandestini. Risultato: alle elezioni del 2024 i consensi per Trump sono aumentati anche tra le minoranze etniche. Pure i latinos si sono spostati a destra, spaventati dal senso di insicurezza, e danneggiati economicamente dalla concorrenza degli illegali sul mercato del lavoro. Infine l’asse tra questo papato e i democratici Usa è stato messo a dura prova dall’agenda Lgbtq+. Tra le minoranze etniche negli Stati Uniti, così come nel Grande Sud globale, prevale l’attaccamento ai valori tradizionali e alla visione classica della famiglia. Incalzata dalla concorrenza degli evangelici, la chiesa cattolica americana si è spostata ancora più a destra, e all’opposizione nei confronti di questo papato. Trump ha vinto il voto cattolico nel 2024 con 11 punti percentuali in più su Kamala Harris. Nel frattempo con il cattolico Biden i rapporti si erano raffreddati. Sull’Ucraina e su Gaza il Vaticano ha spesso scelto posizioni che l’Amministrazione Biden ha percepito come russofile, filo-palestinesi, o perfino implicitamente anti-americane. Una religione in cui si riconoscono quasi un miliardo e mezzo di persone è una forza culturale, e quindi anche politica, con cui tutti devono fare i conti. Tanto più che a differenza di altre fedi – islam e buddismo, ma anche il cristianesimo dei protestanti – il cattolicesimo ha un’autorità unica, centralizzata.

Il papato di Francesco non è riuscito ad arginare in America latina l’avanzata di una forza religiosa concorrente e alternativa, che ha solidi appoggi proprio negli Stati Uniti: i cristiani evangelici, una galassia di congregazioni protestanti talvolta definite anche come pentecostali. Tra le differenze tra gli evangelici e i cattolici (che sono innumerevoli) una ha spesso colto l’attenzione: l’atteggiamento verso il denaro, il capitalismo, il successo economico. I numeri sulla loro avanzata continentale sono raccolti da un istituto demoscopico del Cile, Latinobaròmetro. In tutta l’America latina i cattolici sono diminuiti dall’80% nel 1995 al 54% nel 2024. Nello stesso periodo gli evangelici sono saliti dal 6% al 19% triplicando il loro peso. I cattolici sono già diventati una minoranza in sei Paesi tra cui Brasile, Uruguay e Cile. Il prossimo Papa verrà dall’Africa? È solo un’ipotesi, sarebbe la logica prosecuzione del papato di Francesco, che ha spostato il baricentro geopolitico del cattolicesimo verso il Grande sud globale. Sarebbe anche un adattamento ai grandi trend demografici del nostro tempo: è in Africa che la popolazione umana continua ad avere una crescita dinamica, mentre rallenta o decresce nel resto del mondo. Infine l’Africa è forse il continente dove la Chiesa cattolica affronta in modo più visibile e dirompente due sfide da fedi concorrenti e molto aggressive nel loro proselitismo.

In effetti un cambiamento profondo nell’Africa contemporanea è l’avanzata travolgente di una nuova religiosità, anzi due: sul fronte cristiano e su quello islamico. Ma con due segni diversi, opposti. Cristianesimo e islam indicano due futuri alternativi all’Africa, pro o contro l’Occidente. L’impatto sarà mondiale perché lo scontro attuale e futuro tra le due grandi religioni monoteiste si giocherà in Africa. Già nel 2015 il 16% di tutti i musulmani e il 26% di tutti i cristiani del mondo vivevano a sud del Sahara. Entro il 2026 queste percentuali saranno salite al 27% per i musulmani e al 42% per i cristiani. Cioè quattro cristiani su dieci saranno nell’Africa subsahariana. Però cristiani non vuol dire cattolici. Chi avanza sono i protestanti, in particolare pentecostali. È un protestantesimo che molti cattolici descrivono in modo caricaturale, ridicolizzandolo: i tele-evangelisti carismatici, le mega-chiese gestite come dei business, le funzioni religiose tenute negli stadi sportivi con i momenti di «estasi» collettiva che prefigurano il «rapimento in cielo», l’esaltazione del successo economico e quindi la monetizzazione della fede. Molti musulmani dell’Africa subsahariana sono storicamente salafisti, fondamentalisti che seguono un’interpretazione letterale del Corano. Per i giovani africani che aderiscono all’Islam, questa fede è una barriera protettiva contro ogni contaminazione culturale dall’Occidente. I protestanti pentecostali, al contrario, perseguono un’occidentalizzazione estrema. I templi pentecostali in Africa sono stati definiti «le chiese della gioventù» perché l’età media dei fedeli è molto bassa. I giovani pentecostali dell’Africa subsahariana – in sintonia con i loro parenti e amici emigrati negli Stati Uniti – sono più individualisti dei loro genitori, credono nel successo economico e nel benessere. Il loro modello di vita ideale, è l’imprenditore. Perciò prendono le distanze da certe abitudini e stili di vita comunitari che appartengono alla tradizione africana.