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Vivere a telegiornali spenti

/ 22/04/2025
Carlo Silini

Ci lasciamo alle spalle una Pasqua che molti di noi avrebbero trascorso volentieri a telegiornali spenti. L’attualità sbraita obbrobri continui e, se davvero puntiamo a qualcosa che somigli alla pace, ci tocca chiudere gli occhi e cercarla dentro di noi. «Fermate il mondo voglio scendere», diceva l’indimenticabile Mafalda, personaggio dei fumetti creato dalla penna e dall’arguzia di Quino.

Serve un po’ di silenzio: fisico, perché l’inquinamento acustico è micidiale anche da noi, come racconta Stefania Hubmann, e mentale, perché a furia di ingurgitare cronache di violenza, ricatti e brutture, l’ultimo rifugio dell’uomo, credente e non credente, è lo spirito. Lo dice anche il regista Amos Gitai, nell’intervista che gli ha fatto Viviana Viri, riferendosi alle storture del Medio Oriente: «I miei pensieri sono costantemente rivolti a ciò che sta accadendo nella regione, sebbene non appartenga a nessuna fede religiosa, a volte ho la sensazione che dovrei fermare tutto e iniziare a pregare».

Pregare per cosa? Forse anche solo per celebrare, laicamente, la resurrezione della natura in primavera. Che ci sia qualcosa di bello e verdeggiante da vedere, qualcosa che ci ricordi che la vita vince sempre, anche dopo le Settimane poco sante e molto cruente dei giorni più tempestosi.

Cent’anni or sono, prima che nascesse lo Stato di Israele, crocevia e patria d’elezione delle religioni monoteiste, ci credevano anche il teorico ebreo della filosofia del dialogo Martin Buber, il fondatore dell’università ebraica Yehuda Magnes e Gershom Scholem, promotore dello studio accademico moderno della Kabbalah. Tre personalità che, con l’appoggio di un certo Albert Einstein, ebreo d’origine come loro, proprio nel 1925 avevano creato il movimento Brit Shalom, Patto per la pace, che auspicava la creazione di uno Stato binazionale dove ebrei e arabi avrebbero goduto degli stessi diritti. Fermate il mondo, anzi riavvolgete il tempo che vorrei scendere nel 1925 e ripartire da lì.

Ma ci vuole fede, nell’Uomo e in Dio (per chi ci crede), per immaginare un immediato futuro di gioia e speranza collettiva, come quella che si respirava alla fine degli anni Ottanta, quando, crollato il Muro di Berlino, sembrava dover iniziare una nuova era, anzi una fascinosa New Age, colma di armonia, utopie realizzate, peace and love globali che innaffiavano i teneri germogli dei nostri sogni facendoli lentamente sbocciare. Era meglio fermarsi lì, al magnifico 1989, perché poi, sulla linea della storia sono piombati l’11 settembre del 2001 e il suo inesaurito scontro di civiltà, la crisi dei subprime del 2008, la pandemia di Covid del 2019 e adesso fate voi: tra le nefandezze disponibili la scelta è ampia e variegata.

Oppure, andando di nuovo a ritroso nel tempo torniamo all’altro ieri, alla Pasqua che per una volta cadeva lo stesso giorno sia per i cattolici (e i protestanti) sia per gli ortodossi, un’occasione per provare a risorgere dai pantani dell’odio come fratelli. Invece, nelle medesime ore, a distanza di migliaia di chilometri, alle celebrazioni pasquali pregavano i credenti convinti che il Vangelo sia la Magna Carta contro ogni forma di violenza e sopraffazione, come pure quelli persuasi che sganciare bombe sull’Ucraina sia una «guerra santa» contro l’influenza occidentale, che il Patriarca di Mosca Kirill considera «decadente e satanica». Facendo inorridire, immaginiamo, lo stesso Signore davanti al quale folle di sinceri fautori della pace e circoli di mandanti delle stragi continuano a inginocchiarsi con infinita devozione.

Ma viviamo giorni strani e crudeli e non ci stupiremmo che anche lassù, in Cielo, gli angeli abbiano spento per qualche momento il televisore per godersi, serafici, il silenzio celeste e le tiepide nuvole di primavera.