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La parità di genere in senso inverso
Carlo Silini
Quando si parla di parità di genere l’argomento viene declinato quasi esclusivamente per sottolineare i vergognosi e innegabili squilibri che colpiscono le donne. Suona perciò paradossale il reclamo presentato la scorsa settimana da un avvocato di Zurigo alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) che chiede ai giudici europei se il servizio militare obbligatorio per gli uomini, intesi come maschi, non sia contrario alla parità di trattamento tra i sessi. Se, in altre parole, non sia profondamente ingiusto che solo gli uomini siano obbligati a regalare allo Stato 18 settimane della loro vita per la scuola reclute, più sei corsi di ripetizione da tre settimane ciascuno, e le donne no (a meno che non siano loro a volerlo).
A suo modo di vedere, non esistono ragioni oggettive per cui solo i maschi debbano essere tenuti a passare tutto quel tempo sotto la corvée delle armi. Il genere è un falso criterio, proprio come la religione o l’etnia. Poco importa che finora le donne fossero considerate meno «adatte» alla vita in caserma: quelle che l’hanno fatto a titolo volontario dimostrerebbero l’esatto contrario. A suo avviso, ciò viola il divieto di discriminazione previsto dalla Costituzione federale e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Non so se andrei a scomodare le sacre Carte del diritto nazionale e internazionale per difendere questa tesi, in fondo basterebbe il buon senso. Del resto, passo passo, anche in questo ambito il clima sta cambiando: è noto, infatti, che in futuro anche le ragazze potrebbero partecipare alla giornata di orientamento obbligatoria per il servizio nelle forze armate. Il Consiglio federale si è buttato in un secondo tentativo di modifica della Costituzione ordinando un progetto di consultazione in questo senso. E la Conferenza governativa per i servizi militari, di protezione civile e antincendio e l’Associazione svizzera delle società militari accolgono con favore il progetto. Anche perché sperano di aumentare gli effettivi dell’esercito e le donne son un «mercato» nuovo e interessante.
L’ipotesi successiva, cioè l’obbligo per le donne al servizio militare o alla protezione civile è stata declinata in due varianti presentate dal Governo di Berna in gennaio. Se ne discuteva già negli anni 50, ma solo ora sembra emergere come un’assoluta necessità del nostro Paese. Segno che ancora oggi la convinzione che gli uomini vengano da Marte e le donne da Venere è culturalmente profonda, con le infinite conseguenze ad essa correlate: dai mestieri considerati tipicamente – se non esclusivamente – maschili o femminili, ai pretesi tratti distintivi del carattere a seconda del sesso. A dispetto di certe tendenze manichee di ritorno, l’era del mondo nettamente separato in due sessi ognuno relegato nel proprio ambito «naturale» è stata rimessa in discussione da un pezzo.
Questa rivoluzione delle identità non comporta solo una più decisa lotta a tutela delle donne, dei gay, delle lesbiche, dei trans e dei gender-fluid. Esige che il metro della parità venga applicato a tutti i segmenti della società, quindi anche ai maschi. In uno di questi due modi tra loro antitetici: o imponendo l’obbligo del servizio militare/civile anche alle donne o, al contrario, togliendolo anche agli uomini.
L’argomento è delicato, visto che fino ad oggi le disparità di genere nella gran maggioranza dei casi sono state inflitte alle donne dagli uomini, condizioni salariali e possibilità di carriera nel mondo lavorativo incluse. Ma è certo che se ci si batte per una credibile parità di genere bisogna poterlo fare in un senso come nel senso opposto.