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Cosa luccica in Congo e in Groenlandia
Carlo Silini
E così, alla fine di gennaio 2025 scopriamo che non ci sono solo due guerre, quella in Ucraina e quella a Gaza, non si sa fino a quando dormiente. Come dal nulla salta fuori che in Africa – un continente mediaticamente fantasma, salvo quando si parla di anonimi fuggiaschi che attraversano il Mediterraneo e qualche volta ci annegano – in una città del Congo chiamata Goma sono scoppiati violentissimi scontri causati dai ribelli dell’M23 (un genere di nome che dalle nostre parti appioppiamo agli orsi) sostenuti, in uomini e proiettili, dal Governo ruandese. Il primo sito strategico a cadere nelle mani degli assalitori è stato l’aeroporto, poi la sede del Governo provinciale, infine parecchie ambasciate. Si contano numerosi morti, mentre il laboratorio sull’Ebola a Goma rischia di essere colpito, con la prospettiva apocalittica di una diffusione incontrollata del virus. Alcuni soldati congolesi sono fuggiti, altri si sono spogliati dell’uniforme per evitare la cattura. Il cibo scarseggia, l’elettricità va e viene. Dall’inizio di gennaio, dice l’ONU, mezzo milione di persone sono state sfollate dal focus del conflitto. Poi è subentrato qualche momento di tesissima calma, ma tutto, laggiù resta fluido ed esplosivo. Spiegare la complessità di questo ginepraio geopolitico è impresa ardua anche per degli africanisti, figurarsi per noi. Ma al di là dei bizantinismi del caso, vale la pena di ricordare che questo caos non nasce affatto dal nulla. È l’ultimo atto di una crisi che dura da trent’anni. Povertà e guerra civile hanno causato, dal 1998 a oggi, 5 milioni di morti, il bilancio più sanguinoso dalla Seconda guerra mondiale.
Eppure, non ce n’eravamo accorti, come non ci eravamo accorti che la Siria è rimasta un Paese in guerra anche se da anni non se ne leggeva più una riga sui giornali. Non fosse stato per il colpo di mano di un gruppo forgiatosi alla scuola di al Qaeda e dell’ISIS spodestando i satrapi della famiglia Assad, avremmo persino potuto credere che a Damasco, Homs e Aleppo si vivesse in pace. Abbiamo memoria corta, attenzione vaga, ogni nuova crisi «invisibilizza» quelle precedenti. Nel 2025 si contano oltre una cinquantina di conflitti, più o meno intensi: chi ne sa citare più di quattro?
La vicenda congolese si presta a un’altra considerazione inquietante, come ha messo in risalto il «Tages Anzeiger»: dovrebbe toccare tutti quelli che possiedono un telefonino. Come molte mattanze, infatti, anche in questo caso c’entra il controllo delle risorse del Paese sotto tiro. E, indovinate un po’?, la Repubblica Democratica del Congo è la mecca mondiale di materie prime quali rame, piombo, diamanti, oro, germanio, argento, manganese, coltan e altre terre rare. Le terre rare, coi loro nomi misteriosi (scandio, lantanio, cerio, praseodimio…) sono cruciali per il funzionamento dei dispositivi tecnologici, in particolare dei telefonini.
Non c’è solo il Congo, se è per questo. C’è anche… la Groenlandia, di cui si è tumultuosamente innamorato Donald Trump, pronto a tutto pur di possederla. Stando al Nationale geologiske undersøgelser for Danmark og Grønland, nel 2023 l’immensa isola contava almeno cinquanta potenziali giacimenti minerari. Più della metà è a nord del Circolo polare artico, quindi è difficile e costoso sfruttarli. Però, una piccola parte di essi, a sud, è libera dai ghiacci. Come Tanbreez, guarda caso pieno zeppo di terre rare. A questo punto un sospetto è lecito: saranno le terre rare il «nuovo petrolio» che attirerà gli appetiti dei potenti, scatenando le prossime guerre, come in passato era successo in Iraq o in Libia per le risorse di greggio?