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Los Angeles, anche i poveri piangono

/ 20/01/2025
Carlo Silini

«Tanto se la caveranno comunque». Il commento da bar non fa tendenza, spero, ma nemmeno cancella la percezione di una certa malcelata soddisfazione di alcune persone sulle sciagure che hanno colpito i vip di Hollywood. Come se il fuoco nelle varie zone di Los Angeles – ombelico dei sogni e desideri dell’emisfero occidentale – fosse una sorta di medievale pena del contrappasso per chi possiede troppo: soldi, ville, piscine, fama e, soprattutto, l’invidia dei comuni mortali. 

Un’inconfessabile rivincita dell’uomo comune, quello che arranca e quello benestante ma insoddisfatto del proprio status, a metà strada tra le stalle e le stelle. Riaffiora mentalmente il titolo dell’antica serie tv: Anche i ricchi piangono (sottotitolo inconfessabile: ah, che goduria).

È vero, al netto delle frustrazioni della donna e dell’uomo comuni, oggi a Los Angeles anche i ricchi piangono. Non è un motivo sufficiente per provare quella che i tedeschi chiamano «Schadenfreude», traducibile come «gioia maligna» o «piacere provocato dalla sfortuna altrui». Sarebbe come se un asteroide piombasse sulla Svizzera e il resto del mondo, al di là della pubblica solidarietà, segretamente esultasse al pensiero che i «ricchi svizzeri» (perché fuori di qui tutti gli svizzeri, dal primo all’ultimo, sono ricchi per definizione) possano essere vittime di certe disgrazie, come i poveri.

Ma, anzitutto, la maggior parte dei morti faceva parte della middle class. Inoltre, non è che a Los Angeles (o in Svizzera) non ci siano i poveri. Reporterre, sito francese di informazione ecologica, ricorda che le vittime più danneggiate dalle fiamme in California sono i membri, poco abbienti, delle comunità nere e latinos. «Le popolazioni precarie non hanno l’assicurazione contro il rischio di incendio – troppo cara – ricevono meno aiuti finanziari e non fanno parte delle priorità al momento della ricostruzione». Inoltre, molti abitanti con background migratorio parlano male l’inglese, quindi non hanno accesso alle informazioni cruciali per proteggersi e riorganizzarsi. Considerando, poi, che al di sotto della soglia di povertà molti individui non possiedono un veicolo, hanno problemi di salute o sono anziani, anche la fase dell’evacuazione per loro è stata un percorso a ostacoli. Insomma, pochi l’hanno detto, ma a Los Angeles sono soprattutto i poveri a piangere. 

In secondo luogo, non ha senso applicare la «lotta di classe» alle catastrofi. La distruzione del villoni dei vip così come delle case di carta della gente comune, indipendentemente dalla profondità del rispettivo portafoglio, è una tragedia per ognuno di loro, la fine del proprio nido o paradiso personale. Invece di gioire per le sciagure dei fortunati, meglio chiedere più sostegno per i meno fortunati. Le decisioni politiche su aiuti di emergenza e ricostruzione dovranno tenere seriamente conto delle disparità sociali.

Ciò detto, di fronte a eventi del genere non c’è ricchezza materiale che possa proteggerti. I quartieri ordinari o di lusso – non importa – di una delle città più avanzate del pianeta sono stati costruiti in un contesto scellerato dal punto di vista della prevenzione. Non è stata una semplice catastrofe «naturale»: al di là della potenza dei venti e della siccità (che ha comunque a che fare col surriscaldamento globale), l’uomo ha parecchie colpe. Per l’espansione urbana ed edilizia a ridosso delle foreste, per i quartieri venuti su uno accanto all’altro, senza rispettare le distanze necessarie per evitare la propagazione delle fiamme. Per l’uso squilibrato delle risorse idriche. Gli unici antidoti a catastrofi del genere sono la solidarietà con tutte le vittime e l’intelligenza/la saggezza da mettere in campo perché non avvengano più.