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Nuove mappature del mondo

/ 04/11/2024
Carlo Silini

Chissà se davvero, da domani, al di là delle rispettive promesse elettorali dei due candidati, l’elezione della/del nuova/o presidente degli Stati Uniti cambierà i confini del mondo. Davvero Trump o Harris avranno il potere di ridisegnare i contorni degli stati in guerra facendo pendere la bilancia dalla parte che sosterranno: Russia o Ucraina, Israele o palestinesi?

Negli ultimi due anni, gli Stati Uniti hanno rifiutato di usare la forza militare di fronte ai più evidenti atti di aggressione della storia recente. Da quando gli Usa non sono più il guardiano del mondo – tendenza in corso da diverso tempo – l’allargamento o il restringimento dei confini dipende soprattutto dalle risorse dei contendenti, in altre parole dalla legge del più forte sul campo di battaglia.

Forse ha ragione il nostro collaboratore Lucio Caracciolo quando sostiene che, quando va bene, la nostra è l’era dei cessate-il-fuoco, un pallido e del tutto insoddisfacente palliativo della pace, che nessuno pare volere. Perché nessuno, nemmeno l’Onu (che su questo fronte è debolissima) ha sostituito l’interventismo bellico dell’America che aveva connotato la seconda parte del Novecento. Chi potrà imporre la pace, da domani? Probabilmente nessuno.

Il che non vuol dire che l’America, la Cina o l’Europa non determinino in alcun modo i destini dei conflitti in corso. Da ogni angolo del pianeta si moltiplicano gli appelli dei potenti al rispetto dei diritti umani, alla protezione dei civili, all’ossequio alle Convenzioni di Ginevra, oggi spudoratamente ignorate in Ucraina e nel Medio Oriente. Si emanano sanzioni economiche, si cerca di trovare il mezzo di aiutare le vittime, magari evitando di vendere loro direttamente missili, bombe e proiettili. Ma lo sappiamo tutti che questo è un gioco un po’ ipocrita: da una parte ci si stracciano le vesti per le ingiustizie e dall’altra quegli stessi Paesi che evitano di essere convolti con i propri uomini sui campi di battaglia supervisionano il commercio globale di armi, armano e finanziano quelle guerre per procura.

In un qualche modo tutti, America in primis, collaboreranno quindi alla ridefinizione dei confini dei Paesi nel periodo post-bellico (che prima o poi arriverà, fosse anche solo per esaurimento delle munizioni). Sarà un momento estraniante e comporterà il cambiamento delle mappe, come alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, quando il crollo dell’Unione Sovietica generò nuove geografie a cui non eravamo abituati. Al posto di quell’immenso territorio che chiamavamo Urss, in pochi anni vedemmo apparire, sugli atlanti aggiornati, una sequenza di Repubbliche indipendenti e salutammo quella novità come l’inizio di una nuova era di pace e serenità.

Ma il mondo è troppo in subbuglio perché i cartografi non debbano di nuovo ridisegnare il suo assetto. Strana disciplina la geografia, che è molto più della rielaborazione grafica dei territori e delle loro frontiere, ma uno strumento per capire noi stessi, le nostre evoluzioni, ricchezze e involuzioni. Raccontate ancora meglio da quando i mezzi digitali offrono possibilità inedite di leggere il territorio, con mappe interattive d’ogni genere. Consultabili dal nostro smartphone, sono utilizzatissime mappe che ci dicono in tempo reale dove troveremo traffico e con quale situazione meteorologica. Altre di nicchia ci segnalano dove ci sono barriere architettoniche per i disabili, o indicano i luoghi che hanno ispirato versi, leggibili online, agli scrittori e ai poeti ticinesi. O, addirittura, ci mostrano i vicoli dove sono stati commessi delitti nel Medioevo. Una visione dall’alto dell’umanità che cerca di osservare con distacco anche le inesauribili follie di ieri e di oggi.