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Il «fuoco amico» nella Chiesa cattolica

/ 28/10/2024
Carlo Silini

Piccole tempeste si abbattono sulla Chiesa cattolica. Il Papa è preso di mira per le sue chiusure al diaconato femminile e le bordate contro l’aborto e chi lo pratica. Il vescovo di Lugano è caduto in una strana spirale mediatica che lo contesta nascondendosi.

Di Papa Francesco si è già detto tutto: è carismatico, simpatico, vicino alla gente e al contempo di grande intelletto, attento alle vittime di conflitti ed emarginazioni, migranti in primis. Cantore solitario della pace contro le dominanti sinfonie guerresche, è forse il Papa più politico degli ultimi decenni: un leader mondiale assoluto della solidarietà. Progressista sul piano sociale, resta rigidamente conservatore su quello della dottrina cattolica. Lo si può adorare per alcuni aspetti e contestare per molti altri, ma esercita il proprio magistero in modo credibile, al di là delle manifestazioni di insofferenza nei suoi confronti, che nascono soprattutto in ambienti ostili cattolici, tra correnti opposte e sempre agguerrite per ottenere una fetta di potere ecclesiale.

Anche il vescovo di Lugano Alain de Raemy è vittima di fuoco amico. Difficile spiegare diversamente le oscure contestazioni che lo hanno investito. Affabile e disposto al dialogo, porta in sé il «peccato originale» di non essere ticinese, «colpa» che alcuni non gli perdonano. Non è una semplice questione di «primanostrismo» cattolico (che non avrebbe senso in una religione votata all’accoglienza di chiunque), c’è di mezzo una norma ecclesiale che impone per Lugano la scelta di un vescovo ressortissant tessinois che potremmo tradurre come originario del Ticino. Il suo è perciò un mandato ad interim, finché il nunzio apostolico non scioglierà questo nodo giuridico. Ma, nel frattempo, il suo ministero è più che legittimo e la sua disposizione d’animo è apparsa inizialmente preziosa in una realtà ecclesiale divisa tra movimentisti e non movimentisti.

Anche lui, però, ha dovuto affrontare la magagna oggi più pesante per la Chiesa cattolica: un paio di casi di pedofilia nel clero a lui sottoposto (uno in Romandia e uno in Ticino). Le chiese svizzere hanno esaminato il suo operato senza ravvisarvi colpevolezze. Tuttavia, molti gli rimproverano di aver lasciato esercitare per mesi il proprio ministero a un prete di cui già sapeva che era sospettato di abusi prima dell’arresto. Alain de Raemy ha però spiegato di avere più volte discusso di questo problema con la Magistratura a cui aveva segnalato il caso. Ma non ha potuto rimuovere il sospettato dal suo incarico né cambiare i suoi programmi per non metterlo in allerta, col pericolo che inquinasse le prove e vanificasse le indagini.

Il peggio è stata una lettera anonima contro di lui in cui si parlava di un’atmosfera di «terrore e corruzione», e si sosteneva che le decisioni su nomine, trasferimenti e gestione interna sarebbero state in mano a una «cricca ristretta che si muove in modo arbitrario e poco chiaro». «Sento di rappresentare una cinquantina tra preti e laici della Diocesi», spiegava l’ignoto estensore della missiva. Ora, una lettera anonima può contenere verità e/o menzogne, ma resta un documento non verificabile e perciò andrebbe semplicemente cestinata. Soprattutto se pretende di rappresentare decine di persone: un’autocertificazione troppo comoda e sospetta. Cinquanta preti e laici in Diocesi che ce l’hanno col proprio vescovo? Perché non si fanno serenamente avanti a volto scoperto? Un ultimo dettaglio sconcertante è che a dare visibilità a questo metodo di delegittimazione ci si sono messi dei media laici e indipendenti, che normalmente una lettera del genere la affiderebbero al tritadocumenti.

La Chiesa cattolica non ne esce bene, ma neppure quei media ci fanno una bella figura.