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La fortezza di Harrods e il Barbablù al Fayed
Londra: i numerosissimi abusi sessuali del miliardario egiziano erano noti, ma sono spuntati solo dopo la sua morte
Cristina Marconi
Per decenni Harrods è stato il castello di Barbablù, addirittura più inviolabile del vicino Buckingham Palace, se è vero che il principe Andrew è uscito di scena coperto di vergogna già da qualche anno, mentre Mohamed al Fayed è morto nel suo letto a 94 anni nel 2023. Eppure si sapeva che le ragazze che entravano nella sua orbita finivano male, molto male. E non si parla di pochi casi, ma di numeri enormi, centinaia di donne addirittura, che nonostante il MeToo hanno dovuto aspettare molto per vedere la loro storia presa sul serio, mentre per anni al Fayed è stato una figura quasi patetica: il padre disperato per la morte del figlio Dodi, il depositario del santuario kitsch per Lady Diana nel seminterrato del grande magazzino, l’uomo che aveva sfidato la corona inglese con le sue teorie complottiste e che nonostante i miliardi, i figli nati in Inghilterra, le donazioni faraoniche a ospedali e charities non ha mai ottenuto l’agognato passaporto britannico. Invece no, era soprattutto un predatore, termine fin troppo lusinghiero per chi ha violentato quindicenni e ha sequestrato donne in yacht di lusso o in stanze d’albergo trasformate in prigioni. Alla fine, l’Establishment britannico, da lui tanto odiato, l’ha protetto fino alla fine per ragioni che forse verranno fuori col tempo, o forse no.
Tutto è emerso grazie a un programma della BBC, o meglio: a un certo punto si è deciso che la storia dovesse venire a galla, perché già nel 1995 l’edizione britannica di «Vanity Fair» aveva fatto un reportage, firmato da Maureen Orth, in cui si gettavano documentatissime ombre su di lui. L’emittente ITV ci aveva provato nel 1997, ma poi c’era stata la morte di Diana e Dodi alla fine di agosto di quell’anno, e per una forma di rispetto verso un padre distrutto, o forse per evitare di scuotere un’opinione pubblica già traumatizzata della faccenda, non si era più parlato per vent’anni. Nel 2009 Keir Starmer, allora procuratore capo, decise di non perseguirlo dopo le accuse di molestie nei confronti di una ragazzina di 15 anni, sempre nella fortezza di Harrods. E quando nel 2017 Channel 4 aveva trasmesso un’inchiesta, l’impatto è stato limitato, i grandi magazzini erano già passati di mano a un fondo legato alla famiglia reale del Qatar. Poi Elisabetta II è morta così come il miliardario egiziano, e in questo nuovo assetto, in cui anche la BBC ha dovuto fare ammenda per la gestione di casi di molestie di alto profilo, la vicenda è venuta fuori in tutta la sua squallida potenza.
Nessuno ha mai pensato fosse un santo. Mohamed al Fayed ha mentito sulle sue origini – era figlio di un maestro, da ragazzo vendeva limonata per strada ad Alessandria d’Egitto, aveva fatto i soldi lavorando per il mercante di armi Adnan Khashoggi – e documenti del Governo lo definiscono «inaffidabile, falso e truffaldino». Inoltre, le sue erano malefatte molto organizzate, piene di complici. Come gli uomini della sicurezza, che in qualche caso hanno denunciato quello che accadeva dentro Harrods, ma anche i cinque medici, tra cui tre donne, che dovevano occuparsi di uno degli aspetti più agghiaccianti, ossia le visite molto intrusive per sincerarsi che le impiegate fossero sane e soprattutto non avessero l’HIV.
In tutti i racconti questo dettaglio è presente: una giovane donna, spesso bionda, viene contattata per un’offerta di lavoro spuntata dal nulla e viene portata dal medico per un certificato necessario per lavorare. Poi iniziano le avances, e solo le più fortunate riescono a sfuggire alla violenza. A una diciannovenne al Fayed aveva detto che doveva fare un casting per Peter Pan e che doveva recitare la parte di Wendy che diceva «Prendimi!». Una hostess di uno dei jet privati ha raccontato di avances ripetute, di essere stata ospitata in stanze senza serrature né chiavi, e di quando, respingendo le sue avances, si è sentita dire: «Sei una ragazza stupida. Perché pensi che io ti abbia invitata qui? Voglio fare sesso con te». Si parla di attacchi a Parigi, Saint-Tropez, Abu Dhabi, fin dal 1979. Al Ritz, al Fulham, dove già da un po’ la squadra femminile veniva protetta dagli allenatori per evitare che qualcuna finisse nelle grinfie del capo, il «mostro».
E Diana, la nuora sognata, il gioiello della corona? Secondo l’ex maggiordomo Paul Burrell, sempre in vena di confidenze, le avrebbe addirittura fatto delle avances pesanti, millantando una tradizione egiziana secondo la quale se una donna sposa un uomo, prima deve trascorrere una notte con il padre. Lei era sconvolta. Altre ricostruzioni dicono che i due si stavano comunque simpatici, uniti forse dal loro essere degli outsider di spicco. Tutti dicono di aver cercato di farle sapere con chi avesse a che fare e che ogni suo movimento sarebbe stato spiato, in privato, anche sotto la doccia. Mentre l’ex capo della security di Buckingham Palace ha allertato la famiglia reale prima che Diana portasse William e Harry in vacanza a Saint-Tropez. «Sua maestà è consapevole», si è sentito rispondere.
Come faceva a non essere consapevole anche il fondo del Qatar quando ha acquistato Harrods per 1,5 miliardi di sterline nel 2010? Già da un anno ha iniziato a pagare dei risarcimenti alle donne; i costi rischiano di essere esorbitanti, ma la società sta facendo di tutto per sventare il rischio più grande: una crisi d’immagine in grado di mettere in ginocchio questo paradiso delle signore pieno di sofferenza e di appelli ignorati sotto lo scintillio degli stucchi e delle merci di lusso. Gli occhi delle clienti rischiano di non brillare più.