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Congo, fra tradizioni culinarie e flagelli sanitari

I mercati di Brazzaville, Pointe-Noire e Ouesso traboccano di carne di pipistrello, scimmia, coccodrillo, tartaruga, pangolino,       giraffa e altre specie che possono anche essere infette. Questo commercio di selvaggina su larga scala «svuota» le foreste africane
/ 30/09/2024
Didier Ruef

Sono le 5 del mattino. Chadrak, Junior, Stéphane, Jonas, Prince, Lerole e Sala camminano verso la foresta. Non stanno partendo per un’escursione: vanno a lavorare. I «piccoli», come li chiama affettuosamente Hardy, il nostro interprete, hanno un’età compresa tra i 10 e i 18 anni. Alcuni sono ancora solo dei bambini o degli adolescenti. Amici di lunga data, lavorano ciascuno per conto proprio. Il cielo è ancora buio nella sonnolenta cittadina di Ouesso, nel nord della Repubblica del Congo, conosciuta anche come Congo-Brazzaville (dal nome della capitale). Questa città di 70.000 abitanti, al confine con il Camerun, è il capoluogo del Dipartimento di Sangha, uno dei dieci Dipartimenti del Paese. Si trova nel cuore della foresta equatoriale del bacino del Congo, una delle più grandi zone forestali tropicali del mondo.

Dopo aver percorso alcuni chilometri lungo la strada asfaltata, i «piccoli» s’inoltrano nella boscaglia e camminano lungo sentieri tortuosi, nascosti tra erba alta e rovi che graffiano loro le braccia e il viso. Camminando come funamboli su tronchi instabili e scivolosi tesi sopra un profondo fossato, superano l’ostacolo prima di raggiungere la loro meta: degli alberi alti più di venti metri. Lì inizia il loro lavoro. Alzano il capo e con sguardo esperto contano i pipistrelli – che si nutrono di frutti – rimasti intrappolati nelle loro reti durante la notte. Queste reti, i loro strumenti di lavoro, non sono di loro proprietà; i bambini o ragazzi non possiedono i 20’000 franchi CFA (28 franchi svizzeri) che servono per acquistarne una. Le prendono in prestito da conoscenti, i quali pretendono una grossa commissione sulla vendita degli animali. Una volta calate le reti a terra, i «piccoli» ghermiscono il corpo dei pipistrelli con maestria, impedendo loro di mordere con i denti aguzzi. Liberano le ali impigliate nella rete e mettono fuori combattimento gli animali, dando loro un colpo deciso sulla testa. Poi appendono i pipistrelli a un bastone e li portano in città dove li vendono per le strade. Verranno cucinati in umido o come zuppa. Nelle giornate migliori, i «piccoli» catturano un centinaio di pipistrelli, a volte anche di più.

Tre pipistrelli valgono 1000 CFA, ovvero 1,40 franchi svizzeri. Ma i giovani cacciatori ricevono solo il 20 per cento di questo importo, perché sono solo le piccole mani laboriose di questo settore, nonostante i grossi rischi che corrono: non si tratta di un’attività salutare. Un essere umano che entra in contatto con il sangue o i fluidi corporei di un pipistrello infetto da un virus corre il pericolo di essere contaminato. Nel Continente africano, e in particolare nella vicina Repubblica Democratica del Congo (detta anche Congo-Kinshasa), in Gabon, Nigeria e Camerun, oltre il 70 per cento delle malattie infettive emergenti sono zoonosi, cioè infezioni che si trasmettono per via diretta o indiretta dagli animali all’essere umano. È il caso dell’HIV, della Sars, della febbre emorragica da virus Ebola, della rabbia, della salmonellosi, della malattia di Lyme, dell’influenza aviaria e del vaiolo delle scimmie o monkeypox, per citare i più conosciuti. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ritiene che probabilmente anche il Covid-19 sia stato trasmesso all’essere umano da un animale.

Basta il semplice contatto con la carne cruda o poco cotta dell’animale infetto perché un virus, un batterio, un parassita o un altro agente patogeno si trasmetta da un animale a un essere umano. Secondo i virologi, i pipistrelli rappresentano il più grande serbatoio di malattie del mondo animale. Nella Repubblica del Congo, i mercati di Brazzaville, Pointe-Noire e Ouesso sono traboccanti di carne di animali selvatici. E questa si vende anche nelle città più piccole o lungo i principali assi stradali. La popolazione adora la selvaggina, che è una tradizione culinaria e un piatto molto apprezzato durante le feste familiari. C’è da dire che la carne di pipistrello è solo una piccola parte della selvaggina, un termine riferito a qualsiasi carne di animale prelevato dal suo habitat naturale, che si consuma in Africa. Pensiamo a scimmie, istrici, coccodrilli, antilopi, tartarughe, pangolini, rettili, ma anche bufali, gnu o giraffe. Alcuni studi dimostrano che il consumo di selvaggina minaccia più di 300 specie di mammiferi. Il fatto è che il commercio su larga scala di questo tipo di carne sta svuotando le foreste africane.

Nell’ambulatorio di Bomassa, nel mezzo della foresta tropicale, alcuni manifesti presentano le specie totalmente o parzialmente protette in Congo, altri forniscono consigli per la prevenzione di diverse malattie tropicali. Lungo le strade del paese, grandi cartelli informano la popolazione dell’impatto ecologico della caccia indiscriminata e del rischio di estinzione di certe specie che comporta. Sono previste pene detentive per chi uccide elefanti, gorilla, scimpanzé, mandrilli e altri animali protetti. Edouard Denis Okouya è prefetto di Sangha. Lo incontriamo nel suo ufficio, nel municipio di Ouesso. La Repubblica del Congo mira ad esercitare un controllo sui visitatori stranieri e le loro attività, motivo per cui gli abbiamo fatto visita. Dovrà anche firmarci un lasciapassare per l’attività di fotografo, redatto dal Ministero dell’Informazione di Brazzaville. Questa lettera è una garanzia in caso di controlli di polizia o amministrativi. Lo intervistiamo mentre, sullo sfondo, una televisione trasmette gare di atletica.

«La caccia è regolamentata da una serie di leggi, in particolare per quanto riguarda i periodi legali di apertura, che vanno dal 1° maggio al 31 ottobre, per garantire il rinnovamento della fauna selvatica», spiega il prefetto. «I cacciatori attivi sul territorio devono essere muniti di permesso rilasciato dal Ministero dell’economia forestale. Le sanzioni sono pesanti in caso di infrazione». Ma nelle regioni rurali, come ad esempio nel Distretto di Sangha o nella foresta di Mayombe nella provincia di Kouilou, la caccia legale si mescola con il bracconaggio che fornisce cibo e un significativo sostegno finanziario alle famiglie più povere. Il prefetto riconosce che la selvaggina viene cacciata tutto l’anno nonostante gli sforzi delle istituzioni di protezione della fauna selvatica e delle guardie ambientali, incaricate di vegliare dal Ministero delle acque e delle foreste. Comprare carne di animali selvatici non è un’attività illegale, ma venderla sì. Un paradosso congolese. Un divieto mai rispettato comunque, vista la profusione di animali vivi o morti portati quotidianamente in canoa, auto o camion verso le bancarelle del Paese. Questa economia parallela alimenta una corruzione dilagante ed endemica.

I consumatori non smetteranno di acquistare carne di selvaggina, perché la amano e la consumano da sempre, pensa Edouard Denis Okouya. Il prefetto vede una sola soluzione: agire sulla vendita. «Lo Stato deve legiferare sul commercio, trasporto e vendita di carne selvatica attraverso autorizzazioni, regolamentazione rigorosa, pagamento di tasse e condizioni adeguate per garantire un controllo severo della caccia, della catena del freddo, del commercio e del consumo privato o nei ristoranti, anche al fine di evitare qualsiasi flagello sanitario». Però l’amministrazione e la burocrazia congolese sono caratterizzate da un funzionamento estremamente lento e complicato: il rischio che nulla cambi è enorme.

Una scimmia cacciata nella boscaglia può ritrovarsi in un villaggio o in un mercato urbano nel giro di poche ore. Qualche giorno dopo può essere esportata illegalmente in Europa o in altre parti del mondo. La legislazione europea non prende direttamente in considerazione il problema della «carne selvatica esotica» e favorisce la repressione dell’importazione di specie protette. Intanto, in Africa, la crescente urbanizzazione si accompagna a un aumento del consumo di proteine animali, in particolare di carne di animali selvatici, nonostante il lavoro di organizzazioni pubbliche e private per prevenire l’estinzione delle specie, la repressione del bracconaggio e del commercio illegale di queste carni. Il rischio del dilagare di zoonosi è dunque reale. Verrà dall’Africa il prossimo virus che paralizzerà il pianeta?