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La Cina fa paura anche a Putin, ecco perché

La guerra contro l’Ucraina ha aumentato la dipendenza di Mosca da Pechino che teme l’egemonia cinese
/ 02/09/2024
Lucio Caracciolo

In Russia si è avviata sottotraccia una riflessione strategica sui caratteri dello Stato e sul suo ruolo nel mondo. Si cerca un’idea di futuro per l’impero. La guerra di Ucraina è un acceleratore. Obbliga a pensarsi nel dopoguerra che molti considerano tutt’altro che prossimo, ma la dimensione del problema eccede la tragedia ucraina. Né si tratta solamente di immaginare il dopo-Putin, che prima o poi scatterà fosse solo per ragioni di età. Il punto è capire quale Russia in quale mondo, dopodomani.

La caratteristica storica delle Russie – zarista, bolscevica, postsovietica (putiniana) – è la coincidenza di Stato e regime. L’uno e l’altro sono talmente intrecciati da rendere improbabile qualsiasi tentativo di distinguerli. Quando cambia il regime cambia lo Stato, e viceversa. Così nel 1917, quando l’ultimo zar abdica e subentrano i comunisti; nel 1991, con le dimissioni di Gorbaciov conseguenti alla fine dell’Urss per iniziativa russa (Eltsin) ucraina e bielorussa; probabile che accada lo stesso allo scadere dell’attuale regime. Ogni volta, tra l’altro, la Russia ha cambiato nome e soprattutto spazio. L’attuale impero interno è meno esteso di quello di Pietro il Grande. È la più piccola delle Russie moderne.

La consustanzialità Stato/regime deve far riflettere anche i sostenitori occidentali del cosiddetto regime change. Obiettivo coltivato in America dai neoconservatori, in Europa soprattutto dai Paesi del Nord e dell’Est, scandinavi, baltici e polacchi in testa. Durante questa guerra si sono attivate alcune lobby transnazionali, protette e finanziate da strutture americane, britanniche e dei citati Paesi europei, che mirano alla «decolonizzazione» della Federazione Russa in seguito alla vittoria dell’Ucraina, o al cedimento dei vincoli interni allo Stato putiniano. In termini pratici, se è vero quanto osservato, si tratterebbe di State change. La carta dell’Eurasia sarebbe ridisegnata, con dozzine di staterelli più o meno impotenti. Non ci stupiremmo se per eterogenesi dei fini ad avvantaggiarsene, molto più degli occidentali, fosse la Cina.

Ed è sulla questione cinese che si concentra oggi il dibattito interno russo, in cui è coinvolto il vertice politico come lo Stato profondo, ma si diffonde anche nell’opinione pubblica. Se osserviamo la traiettoria di Mosca dall’Unione Sovietica a oggi colpisce il grado di influenza acquisito dalla Repubblica Popolare Cinese nei suoi affari. Tanto che oggi nella guerra di Ucraina il Cremlino deve affidarsi largamente al sostegno economico, diplomatico (cauto), in parte militare, di Pechino. La cooperazione sino-russa va molto al di là del fronte ucraino e investe gli assi geopolitici e geoeconomici su cui Putin ha imperniato il suo Stato/regime.

Il timore di molti russi, e di Putin, è che la presenza cinese in Russia e nel suo «estero vicino» – lo spazio postsovietico – diventi troppo pervasiva. Stiamo assistendo alla penetrazione cinese in Asia Centrale, specie in Kazakistan. Area considerata fino a ieri riserva russa. Pechino si fa sentire anche nell’Estremo Oriente siberiano. Per esempio a Vladivostok, massimo porto russo sul Pacifico, semiappaltato ai cinesi. Per tacere della oggettiva pressione sinica sulla Siberia, pressoché disabitata. L’incubo di una strategia demografica che porterà nei prossimi decenni alla sinizzazione di parte degli spazi siberiani, specie quelli un tempo pertinenti all’impero dei Qing poi persi con i «trattati ineguali» del secondo Ottocento, agita le notti dell’élite ma anche della opinione russa, più influente di quanto tendiamo a immaginare.

La guerra in Ucraina potrebbe sfociare, nel medio periodo, nell’asiatizzazione non solo economica della Russia. Di fatto junior partner della Cina, strettamente legata all’India sotto il profilo energetico e militare, persino alla Corea del Nord. Il tono europeo che ha sempre distinto gran parte delle élite russe starebbe già evaporando, a vantaggio dell’astro nascente cinese.

Non dobbiamo dimenticare che la coppia russo-cinese non è spontanea né casuale. Non spontanea perché si tratta di due civiltà aliene, che non si sono mai affiatate e spesso si sono combattute, anche quando professavano la stessa ideologia. Non casuale perché nasce in seguito alla sconfitta politica russa in Ucraina, nel 2014, culminata nella fuga da Kiev del presidente Janukovic, considerato filo-Putin. Contro il parere di buona parte del gruppo dirigente, il presidente russo considerò chiuso il tentativo di aggancio all’Occidente, perseguito fin dal 2000 con la richiesta informale di ammissione alla Nato. L’unica alternativa era legarsi a Pechino. Così è stato e continua a essere.

Oggi il rischio per Putin è che la soggezione a XiJinping diventi eccessiva, fino a ridurre Mosca sotto l’egemonia cinese. Perdita della sovranità, stella polare dell’ideologia di Stato russa. Ma quale sarebbe l’alternativa?

Diversi esponenti russi sarebbero più che interessati a riannodare i fili con noi occidentali. Troppo veleno sta però scorrendo in seguito all’invasione dell’Ucraina per rendere plausibile un compromesso strategico fra Russia, America e Stati europei. Anche in chiave anticinese. Ma in una prospettiva di parecchi anni, non è impossibile. In fondo, quella di Ucraina è l’ultima guerra della guerra fredda. Purtroppo fisica e non virtuale. Quando sarà chiusa con una pace più o meno sporca potremo tutti buttare via gli attrezzi ereditati da quel mezzo secolo di pace chiamato guerra fredda. Siamo entrati in un altro mondo. I russi lo hanno stabilito prima e meglio di noi.