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Dall’apprendistato verso il domani
Simona Sala
Abbiamo la fortuna di potere affermare come, nel campo della formazione, la Svizzera sia seconda a poche altre Nazioni. Lo dimostrano puntualmente i ranking universitari, dove i due politecnici federali sono sempre in pole position globale, ma lo conferma anche il fittissimo network delle scuole universitarie professionali, impegnate in un costante arricchimento dei propri curricula e percorsi formativi. Anche a livello di formazione secondaria possiamo fregiarci di una formazione, quella del sistema duale, che rappresenta un fiore all’occhiello nazionale, e che ogni anno consegna all’economia migliaia di giovani donne e uomini pronte/i per il mondo del lavoro. La formazione duale svizzera (diffusa anche in molti Paesi del Nord Europa), nasce su un modello germanico degli anni Sessanta e, come recita admin.ch «permette ai giovani di entrare nel mondo del lavoro» grazie alla «combinazione tra la formazione nell’azienda formatrice e quella nella scuola professionale», là dove «l’offerta formativa si basa (…) sulle qualifiche professionali effettivamente richieste e sui posti di lavoro disponibili».
Al netto di quanto sia diventato difficile trovare un posto di apprendistato (la pagella di uscita delle scuole dell’obbligo deve riportare voti possibilmente alti) per molte apprendiste e apprendisti è altrettanto difficile riuscire a mantenerlo. Ma non tanto per le sfide professionali o le materie da imparare, quanto più per le ripercussioni emotive sul proprio equilibrio interiore, guarda caso proprio l’aspetto che nella definizione di formazione duale non trova collocazione.
Da un recente sondaggio condotto dal sindacato UNIA, che ha intervistato 1100 apprendisti (nel 2022/23 gli apprendisti in Svizzera erano 212’000), è emerso come un terzo sia insoddisfatto della propria situazione professionale. Le cause di questo malcontento, che tradotto in cifre corrisponde a circa 18’000 giovani all’anno che non amano ciò che fanno, sono da ricercarsi in diversi fattori, la maggior parte dei quali non di natura prettamente formativa. Le e i giovani si percepiscono infatti sotto tale stress da sentirsi spesso esausti, subiscono delle discriminazioni o situazioni di mobbing (oltre il 35% delle/degli intervistate/i), e in numerosi casi (per il 27,9% delle intervistate e il 7,8% degli intervistati) subiscono addirittura delle molestie sessuali. In tutto questo, oltre la metà delle e dei giovani in formazione esprime il proprio biasimo nei confronti dell’operato degli uffici della formazione professionale, accusati di assenteismo nei loro confronti, e il proprio scontento rispetto ai salari, considerati da quasi la metà delle/degli interpellate/i come insufficienti (quasi la metà degli apprendisti durante i tre anni di formazione guadagna tra i 500 e i 999 franchi al mese, mentre un significativo 39,2% riceve un salario compreso tra 1000 e 1499 franchi).
È un sondaggio realizzato su scala nazionale, e non è intenzione di nessuno puntare il dito, quanto più invitare a una riflessione intorno a quelli che sono i valori legati al lavoro che contribuiscono a migliorare una società e di conseguenza la Nazione che la ospita. Il primo agosto dunque, al di là di ogni retorica, come occasione per la politica, per formatrici e formatori, e non da ultimo per le aziende, per riflettere sul valore intrinseco di un/a giovane desideroso/a di iniziare un percorso formativo duale. È forse necessario uno sforzo in più, per garantire il miglior spazio di protezione ad apprendiste e apprendisti (spesso ancora minorenni), tenendo presente che rappresentano una fetta importante della potenziale Nazione del futuro, e che oltre all’apprendimento delle competenze professionali, hanno anche il diritto di imparare quelle umane, grazie all’esempio degli adulti.
Un circolo virtuoso di questo tipo non mancherà di riverberarsi sulla vera qualità di ogni percorso formativo, e in futuro, chissà, potrebbe assottigliarsi anche quel 25 percento di giovani che ancora abbandona il proprio apprendistato.