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Dal Pride alle regole in Svizzera

Giugno è il mese dell’orgoglio LGBTQIA+ (in inglese Pride Month), un periodo durante il quale si svolgono eventi e iniziative che celebrano le conquiste e la visibilità della comunità lesbica, gay, bisessuale, transgender, queer, intersex, asessuale e di chiunque non si rispecchi nella definizione di eterosessuale. Il culmine di questi eventi è la marcia del Pride, un tempo nota come Gay Pride, che si svolge in molte città del mondo (in alcune rimane un evento osteggiato).

Ora uno sguardo alla Svizzera. Nel 2021 il popolo elvetico ha approvato la modifica del Codice civile che ha legalizzato il matrimonio per tutti e tutte, eliminando le disparità giuridiche tra coppie etero e omosessuali nell’ambito della naturalizzazione agevolata, dell’adozione e della medicina della procreazione. Due coniugi dello stesso sesso possono ora adottare un figlio. Le coppie di donne unite in matrimonio hanno accesso alla donazione di sperma. Rimangono invece vietate le donazioni di sperma anonime, le donazioni di ovociti e la maternità surrogata. / RED.


Madri lesbiche che lottano per i propri diritti

Nel mese dell’orgoglio LGBTQIA+ la storia di alcune mamme non gestanti italiane a cui è vietato accompagnare i figlia scuola oppure dal medico a causa di una circolare emanata nel 2023 dal Ministero dell’interno
/ 10/06/2024
Chiara Luxardo e Stefania Prandi

Quando sono cominciate ad arrivare le buste verdi, Giulia aveva pochi mesi. Sentiva le sue due madri, Viola e Michela, discutere, preoccupate. Questi plichi contenevano le lettere per revocare a Michela, la madre non gestante di Giulia – quella cioè che non l’aveva partorita, ma l’aveva prima immaginata e poi vista nascere e crescere – i suoi diritti. Ad esempio, non avrebbe più potuto portare la figlia dal medico se fosse stata male, e nemmeno all’asilo. Per lo Stato italiano Michela doveva essere rimossa dalla famiglia diventando, di fatto, un’estranea. L’ansia cresceva di settimana in settimana per Viola e Michela. Nonostante stessero gestendo l’iter burocratico con l’assistenza di un avvocato, cercando di prendere tempo, le missive continuavano a essere recapitate. Un giorno, come in un brutto sogno, la busta verde acqua aveva come destinataria Giulia. Viola si lascia andare a una risata sarcastica mentre ricorda: «Il postino, al citofono, insisteva perché facessi scendere Giulia, secondo lui avrebbe dovuto firmare direttamente lei la raccomandata. Mi sono presentata al cancello con la bimbetta in braccio, avvolta nella copertina, e gli ho detto “ecco Giulia, se vuole la faccia firmare”. Lui era rosso per l’imbarazzo». Ogni volta che arrivava una nuova busta verde Giulia piangeva. Era ancora troppo piccola per capire del tutto la situazione, dato che aveva solo nove mesi, ma cercava di afferrarla, metterla in bocca e farla a pezzi. Ad aprile 2023 il tribunale di Bergamo ha ordinato all’anagrafe di cancellare il nome di Michela dall’atto di nascita di Giulia.<

L’esperienza della famiglia di Viola e Michela ha riguardato anche altre mamme lesbiche che avevano fatto ricorso alla fecondazione assistita in Paesi come Spagna, Danimarca e Austria. La procedura della procreazione artificiale (che nulla ha a che vedere con la gestazione per altri, chiamata anche «utero in affitto») non è consentita in Italia per le coppie omosessuali, ma soltanto per quelle eterosessuali. La pratica di andare all’estero, tornare e fare riconoscere i figli veniva «tollerata», malgrado non fosse mai stata approvata una legge apposita, ma con il Governo di Giorgia Meloni le circostanze sono cambiate. All’inizio del 2023 il Ministero dell’Interno ha emanato una circolare ordinando ai prefetti di interrompere le trascrizioni dei certificati dei figli nati dai genitori dello stesso sesso. Di conseguenza i Comuni italiani sono stati obbligati a sospendere la registrazione dei bambini. La misura, in certi casi, ha avuto effetto retroattivo, e quindi ha colpito anche famiglie con figli di sette oppure otto anni che, improvvisamente, hanno creduto di perdere una delle due madri.

Diverse coppie lesbiche italiane sono state costrette ad andare in tribunale; è accaduto in città come Padova, dove sono state coinvolte almeno trentatré famiglie, Bergamo, Brescia e Milano. Secondo le stime delle associazioni per i diritti delle persone LGBTIQA+, ci sono potenziali conseguenze per circa mille e cinquecento minori. Le donne costituiscono il novanta per cento delle coppie genitoriali queer in Italia. Dato che il matrimonio gay è ancora illegale, possono soltanto ricorrere alle unioni civili e hanno meno diritti di quelle della maggior parte dell’Europa occidentale. Le madri non partorienti raggiunte dalla scure del Governo meloniano non possono andare legalmente a prendere i propri figli a scuola, accompagnarli al pronto soccorso, viaggiare con loro né chiedere il congedo per quando sono ammalati. Se le compagne gestanti (che hanno portato avanti la gravidanza e hanno partorito) dovessero morire, loro perderebbero ogni diritto legale. Nella semi-indifferenza di gran parte della società, in tutta Italia le mamme lesbiche si stanno ribellando. Alcune hanno deciso di ricorrere contro le Procure, passando per le vie legali che però, per il momento, si sono rivelate inefficaci. L’unica soluzione certa è la stepchild adoption: le madri non gestanti devono adottare i propri figli, sottoponendosi a percorsi «faticosi e dolorosi», come dicono loro stesse, che prevedono visite con psicologi e assistenti sociali deputati a sancire la loro idoneità di genitrici. Senza contare il costo economico, che può superare i cinquemila euro per figlio. Anche se in teoria non sarebbe necessario, per affrontare la burocrazia è auspicabile farsi seguire da un avvocato.

Dopo attente valutazioni, Michela e Viola hanno optato per l’adozione. Spiega Michela: «La trafila ci ha costrette a un incontro con i carabinieri, ai quali ho portato le buste paga e i documenti della casa, e a svariati appuntamenti con assistenti sociali e psicologi. Le spese legali sono arrivate a tremilatrecento euro. In più ci sono stati i costi degli esami medici obbligatori che avrebbero richiesto troppo tempo con il servizio sanitario nazionale, ad esempio i centotrenta euro per un test per la tubercolosi». Nella villetta in provincia di Padova, dove Elisa e Sara vivono con due bambini di sette e cinque anni e due gemelle di pochi mesi, la fase è particolarmente caotica non soltanto per i giochi sparsi, la musica e gli urletti delle bimbe che a turni ravvicinati chiedono la pappa e hanno bisogno del cambio del pannolino. Carlo, il primogenito, è nato quando a Padova il sindaco ancora non firmava gli atti di nascita. Elisa ci osserva rassegnata da dietro gli occhiali e allarga le braccia. Racconta: «Nel 2016, dopo averlo partorito, per registrare Carlo all’anagrafe ho dovuto compilare un modulo in ospedale mentendo e dichiarando di essermi unita carnalmente con un uomo che aveva deciso di non riconoscere il bambino appena nato». Col secondo, Cesare, nato nel 2019, la situazione sembrava migliorata perché il riconoscimento della seconda madre era stato approvato, salvo poi venire impugnato. Idem con le gemelle, partorite da Sara nel 2023.

Secondo Ilaria Todde, advocacy director dell’associazione EL*C, Euro Central Asian Lesbian* Community con base a Vienna, in Austria, «i partiti di estrema destra stanno facendo dei corpi delle donne e delle persone trans il loro campo di battaglia preferito e l’Italia viene utilizzata come banco di prova». E avverte: «Dobbiamo mobilitarci per fare sentire le nostre voci, e non solo alle elezioni europee, perché le politiche di odio non devono passare». Altre due mamme, che vivono in provincia di Bergamo, sono state raggiunte dalle buste verdi, ma sono riuscite a «salvarsi» per un cavillo burocratico. Racconta S., la madre non gestante: «Nonostante a noi sia andata bene, siamo sconcertate dal disinteresse generale della società. Sembra di essere ai tempi dei “rastrellamenti”, il modus operandi è lo stesso: vanno a vedere chi siamo e ci prendono». Silvia (nome di fantasia) abita in provincia di Milano e ha gli occhi lucidi mentre ripercorre la sua vicenda. Quando le chiediamo se vuole farsi ritrarre da sola, si rattrista ancora di più e scuote la testa. «Per la foto voglio avere mia figlia Ludovica in braccio, senza di lei mi sento persa. Perché devo essere considerata meno madre di chi l’ha partorita? Tutto questo è umiliante: l’idea di adottare mia figlia è deprimente. L’ho vista nascere, la sto crescendo. A nessuna coppia eterosessuale viene domandato lo stesso».

Il lato più assurdo, raccontano due madri della provincia di Brescia, «risparmiate» per puro caso dalla misura meloniana, ma comunque indignate, è la discrepanza tra la politica italiana e la società civile. «Viviamo in un paesino e non ci siamo mai sentite emarginate. Anche all’asilo gli altri genitori e le educatrici ci hanno sempre rispettate. Per esempio, quando c’è stata la festa del papà, le maestre ci hanno chiesto come ci saremmo immaginate quella giornata, perché non avrebbero voluto mettere in difficoltà la nostra bambina. Il risultato è stato che lei ha fatto un bigliettino per noi, che siamo le sue due mamme». Il servizio è stato realizzato con il supporto di International Women’s Media Foundation (https://www.iwmf.org), in particolare The Howard G. Buffett Fund for Women Journalists.