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Lettera aperta agli studenti
Carlo Silini
Care studentesse e cari studenti che da molte università in tutto il mondo, compresi diversi atenei svizzeri, vi spendete per la causa palestinese, vorrei dirvi su che cosa sono d’accordo con voi e su che cosa non lo sono. Sono d’accordo con voi perché ogni azione concreta di sensibilizzazione in difesa dei deboli è un atto di coraggio civile in un’epoca di prevalente cinismo, di indifferenza e di incattivimento della specie umana.
Avete scelto di protestare mettendo al primo posto la solidarietà con le vittime dell’ingiustizia e non le vostre carriere accademiche. Ci vuole coraggio, servono chiare gerarchie di valore. Alla faccia di chi dipinge i giovani come fatui seguaci del successo economico, dei selfie e della vacuità narcisistica dei social. La vostra azione dà un senso positivo al sentimento dell’indignazione, che oggi viene usato quasi esclusivamente contro minoranze indifese e non a favore di cause nobili. La vostra, invece, è una rabbia luminosa perché punta i fari su un’immane ingiustizia.
Non c’è dubbio, infatti, che il prezzo che stanno pagando i palestinesi sia sproporzionato alla colpa, pur terribile, che l’ha generato. I conti oggi fanno stato di circa 1800 vittime israeliane contro 35 mila palestinesi. Vengono uccisi come mosche. E non va dimenticato che l’azione del 7 ottobre scorso non nasce dal nulla, viene dalle politiche di sfollamento forzato e spossessamento dei palestinesi iniziato nel 1948 e proseguito fino ad oggi, con un sistema che possiamo definire «di apartheid» contro di loro. Ma le atrocità del terrorismo non possono mai essere giustificate.
La vostra indignazione è manichea, non conosce sfumature, non sembra distinguere gli israeliani pacifici (come buona parte di quelli che per nove mesi hanno sfilato contro Netanyahu prima dei fatti di ottobre) da quelli violenti, i palestinesi innocenti da quelli colpevoli. Tende a dimenticare che i militanti di Hamas si sono rivelati furiosi assassini, stupratori, torturatori e che le loro vittime erano persone inermi israeliane, famiglie tranquille, ragazzi e ragazze che andavano a ballare al rave, come voi quando andate a divertirvi in discoteca senza pensieri.
Da istituzioni del sapere e della cultura come le università che frequentate e da voi che rappresentate il futuro della nostra intelligenza mi aspetto una capacità di lettura della realtà più sofisticata.
Non entro nelle polemiche accademiche. Non so se i legami con le università israeliane siano davvero un veleno per i nostri atenei. Mi domando se chiedere di boicottarle sia un modo per mettere in difficoltà l’ottuso Governo israeliano o un modo per rafforzarlo. A naso direi che la collaborazione tra università si basa sullo spirito scientifico, che è laico e indipendente, e non dovrebbe danneggiare nessuno, ma non ho certezze in merito.
Mi chiedo, infine, come mai la molla della vostra protesta sia scattata sulla guerra a Gaza e non su quella in Ucraina, un conflitto che ci minaccia più dell’instabilità mediorientale. La Russia di Putin ha commesso innumerevoli violazioni del diritto internazionale umanitario, o sbaglio? Come, allargando il raggio dei soprusi su larga scala: lo Yemen degli houthi, la Siria di Assad, l’Afghanistan dei talebani, il Myanmar dei generali, Il Messico delle mattanze, la Cina che fa tiro a segno sugli uiguri, o l’Iran che massacra le ragazze a capo scoperto. E i tanti altri Paesi spariti dal radar della sensibilità mainstream: il Burkina Faso, il Camerun, la Repubblica centrafricana, la Repubblica Democratica del Congo, l’Etiopia, la Libia, il Mali, il Niger, la Nigeria, la Somalia, il Sud Sudan, il Pakistan… e fermiamoci qui. Zero parole, zero aule occupate per le vittime innocenti di questi Paesi?