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La pace è possibile con questi leader?

/ 13/05/2024
Carlo Silini

Come finirà l’atroce guerra di Gaza? L’impressione è che il conflitto cominciato il 7 ottobre scorso possa anche – e finalmente – finire, grazie a un’intesa basata su un sofferto equilibrio tra il dare e l’avere dei contendenti. Si potrà forse intervenire efficacemente sugli effetti della discordia attraverso uno scambio di ostaggi e prigionieri e la promessa di interrompere le devastazioni belliche da una parte (anche perché resta poco da distruggere) e le azioni terroristiche dall’altra. E fare in modo che, almeno all’inizio, ci sia una forza internazionale che vegli sul rispetto della tregua a Gaza. Ma le cause di questa feroce inimicizia non sembrano in alcun modo sanabili.

Questa non è una battaglia tra due popoli, gli israeliani e i palestinesi, che cercano un modo intelligente di convivere negli stessi territori, magari attraverso la famosa e mai veramente voluta soluzione dei due Stati. Questa è una sfida tra due opposti estremismi che sognano, peggio: reclamano pubblicamente, l’estinzione fisica del nemico come unica soluzione accettabile della contesa. Mors tua vita mea. Ce lo dice la storia.

Hamas è un gretto movimento radicale islamico nato ai tempi della prima Intifada (1988) con l’intento esplicito di distruggere Israele, non di conviverci. Un obiettivo che da allora non è mai stato ripensato. Lo si è visto nello scempio di civili ebrei durante l’attacco che ha dato la stura all’ultimo capitolo della pluridecennale contesa tra le parti.

Sul fronte opposto c’è un Governo dominato dagli ultraortodossi, gli stessi che nel 1948 non avrebbero voluto la nascita dello Stato democratico di Israele, ma la creazione di una nuova landa teocratica retta da precetti rigidamente religiosi. All’epoca Ben Gurion li aveva esentati dal servizio militare grazie a un accordo che in ebraico si chiama «Torato Umanuto», che significa «lo studio della Torah è il suo lavoro». «Ma allora gli ultraortodossi erano il 10% della popolazione», mi ha spiegato un intellettuale ebreo nei giorni scorsi. «Oggi sono il 30%, comandano e vogliono l’eliminazione degli abitanti di Gaza, considerati tutti terroristi, futuri terroristi o loro complici». Come si può trovare un accordo di pace credibile tra due protagonisti convinti della necessità dello sterminio della controparte?

Questo, all’interno di uno scenario kafkiano in cui tutti sono ostaggi di tutti. I civili israeliani catturati sono ostaggi di Hamas. Netanyahu, che già è un falco, è ostaggio degli ultraortodossi (senza il loro appoggio cadrebbe la protezione dai provvedimenti giudiziari contro di lui) promotori di una reazione spropositata agli attacchi subiti. Anche i civili di Gaza sono ostaggi di Hamas, che ha posizionato le proprie basi sotterranee e no, tra donne anziani e bambini, trasformati in scudi umani dagli attacchi degli israeliani, i quali a loro volta sostengono che se i civili non se ne vanno (sì, ma dove?) sono «costretti» a colpirli per colpire Hamas.

Al di là dei torti e delle ragioni delle due parti, è una storia che, se resta in mano a questi attori, non può far altro che avvitarsi su sé stessa. Le pressioni esterne e le vie misteriose della geopolitica potranno portare a una cessazione delle ostilità.

Ma se a Gaza e in Israele non cambiano le teste di chi comanda, una soluzione duratura non è possibile. Potranno anche smettere di farsi la guerra, ma non vorranno mai fare la pace.