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Sempre più ospedali a rischio di fallimento

Le cause della crisi del settore sanitario sono molteplici: dall’inflazione agli stipendi di dirigenti e medici specialisti, passando per le tariffe con cui le casse malati retribuiscono le cure
/ 13/05/2024
Roberto Porta

E se l’espressione «too big to fail» venisse applicata non solo alle banche ma anche agli ospedali svizzeri? La domanda potrebbe far venire i brividi ma è anche dettata dalla realtà dei fatti, visto che nel nostro Paese aumenta costantemente il numero di ospedali che di anno in anno sono costretti a chiudere i loro conti nelle cifre rosse. In alcuni di questi casi si tratta effettivamente di strutture di alta rilevanza regionale, se non persino nazionale, tanto alta che i poteri pubblici ci hanno finora messo una pezza, più o meno dispendiosa. Non è il caso invece per diversi altri ospedali più piccoli, che corrono davvero il rischio di dover chiudere senza che nessuno decida di correre in loro soccorso, come del resto è già capitato qua e là in questi ultimi anni. La cronaca delle ultime settimane ci offre diversi esempi di questo sconquasso finanziario.

Iniziamo dalla capitale: l’anno scorso l’Inselspital di Berna, uno degli ospedali universitari più prestigiosi del nostro Paese, ha chiuso i propri conti con una perdita di 113 milioni di franchi, un disavanzo che rispetto al 2022 è aumentato di ben 33 milioni. Da notare che nel 2023 il gruppo Insel ha deciso la chiusura di due cliniche affiliate alla sua struttura, proprio per evitare cifre rosse ancora più profonde. Nel caso dell’Inselspital il Canton Berna è pronto a intervenire per turare la falla, proprio perché questo istituto è considerato «too big to fail». Spostiamoci nel Canton Zurigo, dove nel 2023 l’ospedale universitario ha chiuso i conti con una perdita di 49 milioni di franchi.

In questo Cantone proprio la settimana scorsa l’ospedale di Wetzikon è stato messo in moratoria concordataria provvisoria, ha ora quattro mesi di tempo per trovare i capitali necessari, in caso contrario rimarrà un’unica opzione possibile: la chiusura delle corsie. È andata meglio al Kinderspital, sempre del Canton Zurigo, che l’anno scorso è riuscito a ottenere un’iniezione di ben 135 milioni di franchi, concessa dalle autorità cantonali proprio perché questo ospedale pediatrico è considerato di rilevanza regionale, non ci si può permettere di lasciarlo fallire. Passiamo ora alla Romandia. Dal Canton Friburgo ci arrivano notizie simili visto che l’ospedale cantonale deve fare i conti con una perdita per il 2023 di 36 milioni di franchi. In Vallese invece l’ospedale cantonale non esclude di rivedere la sua presenza sul territorio, che oggi conta ben nove siti per un Cantone che conta su per giù 360mila abitanti. In altri termini non si escludono chiusure o perlomeno alcuni accorpamenti di strutture sanitarie, per poter contrarre i costi. Con una difficoltà tutta vallesana: occorrerà trovare un equilibrio dei sacrifici tra la parte francofona e quella tedescofona di questo Cantone. E non sarà per nulla semplice.

Questa lista di ospedali finiti in apnea finanziaria potrebbe continuare ancora a lungo. Una situazione allarmante, già più volte evidenziata, e qui vale la pena ricordare che già tre anni fa un’analisi elaborata dalla società di consulenza finanziaria Pwc metteva in risalto che soltanto un quarto degli ospedali svizzeri era in grado di finanziarsi autonomamente. Un altro 25% doveva far fronte a una situazione precaria, mentre ben il 50% dei nostri istituti di cura era confrontato con cifre rosse sempre più soffocanti. Diverse le cause di questa situazione, che è rimasta tale anche oggi, e che a detta di molti osservatori dovrebbe essere considerata un’emergenza nazionale. Seppur meno elevata rispetto ad altri Paesi, l’inflazione ha colpito anche gli ospedali, già confrontati con un forte aumento dei prezzi dell’energia. Ci sono poi altri fattori di natura più strutturale: l’esigenza di tenere il ritmo degli sviluppi tecnologici e dell’evoluzione scientifica, gli stipendi dei dirigenti amministrativi e dei medici specialisti che in diversi casi superano il milione di franchi all’anno, come di recente ribadito da un’inchiesta della «SonntagsZeitung» e, più in generale, l’aumento del numero di dipendenti e massa salariale, per far fronte anche all’invecchiamento della popolazione.

Un’altra causa di questa ondata di cifre rosse è data dalle tariffe con cui le casse malati retribuiscono le cure fornite dagli ospedali. Tariffe forfettarie che sono di fatto congelate, ferme al livello che era stato fissato su per giù una decina di anni fa. A detta delle casse un loro aumento porterebbe a un ulteriore incremento dei premi dell’assicurazione malattia, opzione politicamente non attuabile. Con una conseguenza sempre più evidente: i nostri ospedali soffrono di un costante sottofinanziamento, che secondo H+, l’associazione mantello degli ospedali, può arrivare anche al 30% della spesa totale, in particolare per quanto riguarda il settore ambulatoriale.

Dal 2011 è in vigore la nuova legge federale sul finanziamento delle cure, che nell’ottica voluta dal Parlamento avrebbe dovuto portare a una riduzione del numero di ospedali, con i Cantoni chiamati a chiudere gli istituti meno redditizi o perlomeno a unire reparti di ospedali diversi, anche al di sopra dei confini cantonali. In altre parole la nuova legge avrebbe dovuto condurre a una diversa pianificazione ospedaliera, tenendo conto del fatto che la Svizzera dispone di oltre 250 ospedali, un numero di cinque volte superiore rispetto alle cliniche presenti in Olanda o in Danimarca, Paesi dalla struttura demografica simile alla nostra. Per motivi politici questa pianificazione si è mossa solo zoppicando, questo perché nessun consigliere di Stato responsabile della sanità è pronto a lanciare progetti che implicano la chiusura di ospedali o di reparti. Un passo che con ogni probabilità renderebbe impossibile una sua rielezione e che rischierebbe di pesare anche sulla corsa elettorale del suo partito. Un immobilismo che si è visto in quasi tutti i Cantoni e che ha coinvolto ministri di ogni partito, il colore della casacca qui proprio non conta. I Cantoni continuano così a correre in soccorso delle loro strutture sanitarie coprendo, tranne eccezioni, le perdite che vengono loro presentate. Cifre rosse sempre più ingombranti, a tal punto che non manca chi ipotizza prima o poi l’intervento della Confederazione, in un ambito tradizionalmente di competenza cantonale. Sarebbe una rivoluzione, ma il paesaggio ospedaliero svizzero forse ha bisogno proprio di questo.