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Vittoria delle Anziane per il clima: la Svizzera viola i diritti umani
Per la prima volta la Corte di Strasburgo condanna uno Stato perché ritenuto colpevole di non impegnarsi abbastanza per contrastare il riscaldamento globale. La sentenza spiana la strada a future azioni legali analoghe
Luca Beti
L’aggettivo storico viene spesso usato a sproposito. Non è così però nel caso della sentenza della Corte europea dei diritti umani (CEDU) che ha dato ragione alle Anziane per il clima. Ci sono molteplici ragioni per considerarla storica. Innanzitutto è la prima volta che la CEDU condanna uno Stato perché ritenuto colpevole di non fare abbastanza per contrastare le conseguenze del riscaldamento globale, riconoscendo così che la protezione contro il cambiamento climatico è un diritto umano. Inoltre, questa sentenza potrebbe avere un effetto domino, visto che costituisce un precedente legale che obbligherà i 46 Stati membri del Consiglio d’Europa a rivedere le proprie politiche ambientali, inclusa la Svizzera, dato che la sentenza è vincolante e definitiva.
Ma cos’è successo martedì scorso a Strasburgo? La CEDU ha accolto la tesi dell’associazione Anziane per il clima, e dei suoi avvocati, secondo cui la Confederazione ha violato il loro diritto al rispetto alla vita privata e familiare, come sancito dall’articolo 8 della Convenzione sui diritti umani. Quasi all’unanimità, 16 voti contro uno, i giudici hanno ritenuto insufficienti le misure attuate dal Governo elvetico per ridurre le emissioni di gas serra e limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, come stabilito dall’Accordo di Parigi. Un’inazione, stando alla Corte, che ha gravi ripercussioni sulla qualità della vita, soprattutto per le persone anziane che sono particolarmente vulnerabili di fronte agli effetti della crisi climatica e alle ondate di calore, come evidenziato da diversi studi. Non è stata però una vittoria su tutta la linea. La CEDU ha infatti respinto l’accusa di violazione del diritto alla vita stabilito dall’articolo 2 della Convenzione.
Per l’associazione, che conta circa 2500 pensionate, è stata una vera e propria rivincita. La loro battaglia legale, durata otto anni, è stata avviata e finanziata da Greenpeace. L’obiettivo dell’ONG era riunire un gruppo di persone, provenienti da tutte le regioni linguistiche del Paese, per fare pressione sul Consiglio federale affinché rispettasse gli impegni presi con l’Accordo di Parigi. Era nata così l’associazione «Anziane per il clima», che in Svizzera è stata guardata con simpatia, ma anche con un po’ di sufficienza. Il suo percorso legale attraverso le istanze è iniziato nel novembre 2016 con una domanda al Dipartimento federale dell’ambiente (DATEC) che lo sollecitava a intensificare gli sforzi volti a ridurre le emissioni di gas serra per raggiungere gli obiettivi climatici. Il DATEC, all’epoca diretto dalla consigliera federale Doris Leuthard, ha fatto però spallucce alla richiesta, non entrando in materia e affermando che le anziane perseguivano «interessi politici». Anche il Tribunale federale amministrativo prima, e la Corte suprema di Losanna poi, hanno respinto il ricorso delle anziane, sostenendo che il diritto alla vita e alla salute non erano in pericolo e che c’era ancora tempo a sufficienza per contenere il riscaldamento climatico al di sotto di 1,5°C. L’associazione non si è data però per vinta e nel 2020 si è rivolta alla Corte europea dei diritti umani. A quattro anni da allora le «nonne» escono dall’aula del tribunale di Strasburgo con le braccia alzate in segno di vittoria.
Una battaglia cominciata in sordina, inizialmente quasi sbeffeggiata dall’establishment, che con il passare degli anni ha catturato sempre più l’attenzione dei media. La sentenza di Strasburgo ha avuto un’eco enorme sui giornali di mezzo mondo, dal «Corriere della Sera» a «Le Monde» al «New York Times». Naturalmente ha suscitato grande attesa anche in Svizzera, dove le reazioni politiche non si sono fatte attendere. Per la co-presidente del partito socialista, Mattea Mayer, si è trattato di uno «schiaffo» al Consiglio federale. Lisa Mazzone, la neopresidente dei Verdi svizzeri, ha sottolineato l’importanza epocale della giornata. Dal canto suo l’Unione democratica di centro ha affermato che non si è trattato certo di una sentenza storica, bensì di un verdetto «ridicolo» e «inaccettabile» e ha sollecitato la Svizzera ad abbandonare subito il Consiglio d’Europa, sostenendo che i giudici si sono lasciati manipolare come marionette dagli attivisti per il clima. Per il Partito liberale radicale e l’Alleanza del Centro, la Corte europea dei diritti umani ignora il principio della democrazia diretta.
Al momento è troppo presto per valutare le conseguenze a livello nazionale di questa sentenza. Di sicuro non favorirà i già difficili rapporti e negoziati con l’Unione europea. Sarà anzi vento nelle vele di chi guarda con diffidenza alle istituzioni europee. Nella loro decisione i giudici hanno sottolineato che non è loro compito definire la politica climatica della Svizzera, ma hanno chiesto al Governo elvetico di fare tutto il possibile per perseguire gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e di spiegare al Consiglio dei ministri del Consiglio d’Europa come intende attuare il verdetto della Corte. La Confederazione deve ora adottare le misure necessarie per proteggere adeguatamente la sua popolazione per non violare i diritti umani. E qui lasciamo l’aula del tribunale di Strasburgo per spostarci nell’arena dove si svolge il dibattito democratico. In Svizzera, infatti, la politica climatica non viene definita dalla giustizia ma dal Parlamento e dal Popolo, com’è stato il caso con la legge federale sul CO2 bocciata alle urne nel 2021. Dopo la perdita di consensi alle ultime elezioni federali, il partito ecologista ha ora trovato una preziosa alleata nella Corte europea dei diritti umani. I Verdi hanno già annunciato l’intenzione di chiedere un dibattito parlamentare urgente nella prossima sessione a Berna. Inoltre la lotta per intensificare gli sforzi in favore di una politica ambientale più decisa potrebbe ora estendersi dalle manifestazioni di strada, tradizionale terreno di azione degli attivisti del clima, per entrare nelle aule di tribunale. Negli ultimi anni le cause legali hanno registrato un’impennata, passando da quasi 900 nel 2017 a oltre 2100 nel 2022. La sentenza della CEDU è un ottimo assist per chi vorrà percorrere questa strada, spesso l’unica opzione disponibile per ottenere giustizia climatica.