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Vi fareste un selfie col dirottatore?

/ 18/03/2024
Carlo Silini

La principessa taroccata o il «selfie» con il dirottatore? Quale fra queste due fotografie britanniche è più maldestra? Mi riferisco ai due scatti di cui si è disquisito a lungo la settimana scorsa: da una parte la prima immagine ufficiale della principessa di Galles, Kate, dopo l’intervento chirurgico all’addome di gennaio, diffusa per la Festa della Mamma nel Regno Unito lo scorso 10 marzo e, dall’altra, la foto che Ben Innes, il passeggero del volo Egypt Air MS181 si è fatto scattare il 29 febbraio accanto al dirottatore dell’aereo, Seif Eldin Mustafa.

Le due immagini non hanno nulla in comune e attestano situazioni completamente diverse. Nel primo caso si tratta di un Photoshop che, se fosse stato pubblicato da un utente internet qualsiasi su Facebook o Instagram, nessuno ci avrebbe ricamato su Delitto e castigo. Ma visto che l’immagine in questione riguarda la famiglia reale inglese, dettagli risibili come il non allineamento della manica e della mano sinistra di Charlotte, figlia di Kate e William, diventano crisi di Stato. Al punto che le maggiori agenzie fotografiche come Associated Press e Reuters si sono rifiutate di pubblicarla per non diffondere una foto palesemente manipolata. La goffa ammissione di colpa di Kate, rea confessa del ritocco, non ha placato le polemiche e c’è chi parla di «rottura del rapporto di fiducia tra i sudditi e la casa reale». D’accordo che vige il mistero sulle reali condizioni di salute della moglie del prossimo monarca inglese, ma nella sua storia Buckingham Palace ha già vissuto episodi assai più torbidi. Se basta un ritratto taroccato coi figli per mandare a rotoli un Regno plurisecolare, la Corona è messa male.

Nel secondo caso, forse sottoposti allo stress di un dirottamento (meno terribile di quanto sembrasse: la cintura esplosiva indossata dal protagonista era finta), finiremmo anche noi col perdere il controllo. Piangendo, magari. O urlando. Certo che farsi immortalare di fianco a un tizio che, per quanto ne sapevano i passeggeri, avrebbe potuto ucciderli tutti dopo un minuto, sembra una gag da film trash di serie C. Andate a vedere la fotografia: il faccione deforme del passeggero che è lì lì per scoppiare, il suo sorriso artificiale, l’espressione indecifrabile del dirottatore, che comunque si presta all’assurdo ritratto. Non sembra uno sketch di avanspettacolo venuto male? È poi saltato fuori che il dirottatore era «psicologicamente instabile» e avrebbe agito solo per richiamare l’attenzione della moglie (potenza degli amori malati!). Ma anche il passeggero qualche problemino ce l’ha se persino sua madre, sul Guardian, ha definito il gesto del figlio «stupido».

Due casi diversi, dicevamo. Ma entrambi rivelano qualcosa di importante sul rapporto che abbiamo con le immagini. E con la verità: la prima foto sembra vera ma è finta e la seconda sembra finta ma è vera. Come mai?

La società dell’immagine è narcisa, l’apparenza è tutto. C’è un patto silenzioso, in rete: tutti modificano le proprie foto per abbellirsi. Piccole innocue bugie che alla fine ci abituano alla grande bugia del falso generalizzato, all’impossibilità di sapere se ciò che vediamo corrisponda al vero oppure no. Viceversa, nelle situazioni eccezionali – metti l’incontro casuale con una star, o un dirottamento – scatta l’istinto alla cattura sul telefonino dell’attimo straordinario per diffonderlo subito online. Come a dire «io c’ero», appartengo all’alone di gloria, fosse anche tragica, dell’evento che immortalo. Alla fine, non mi interessa la verità dei fatti e dell’immagine, ma la possibilità di ottenere un diluvio di visualizzazioni. Ancora una volta: appaio, quindi sono.