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Sui conti in rosso dell’esercito svizzero

I problemi di liquidità legati alla crisi ucraina e il silenzio di Viola Amherd ora nella bufera. Quali prospettive si aprono?
/ 12/02/2024
Roberto Porta

Indossare i panni di presidente della Confederazione e trovarsi subito catapultato nell’occhio di un ciclone politico. È successo l’anno scorso e sta capitando anche ora, in questo inizio 2024. Avanti di questo passo non vorremmo che quella che al momento è solo una semplice casualità possa trasformarsi in un’infelice consuetudine, pronta a manifestarsi anche nel prossimo futuro. Ma andiamo con ordine. Non appena diventato presidente, dodici mesi fa, Alain Berset si è dovuto confrontare con il cosiddetto «scandalo dei Coronaleaks», la fuga di notizie che durante la pandemia ha visto l’ufficio stampa del suo Dipartimento al centro delle polemiche. Una vicenda non ancora del tutto chiarita, che un anno fa aveva obbligato lo stesso Berset a lasciare per una trentina di minuti una riunione del Consiglio federale per permettere ai suoi sei colleghi di discutere di questo caso, senza la presenza ingombrante del loro presidente. Nel Paese della collegialità governativa cose del genere non si erano mai viste, sintomo di una fiducia che in quel momento si era ridotta ai minimi termini nei confronti del ministro friburghese, che nel successivo mese di giugno aveva poi annunciato le sue dimissioni. Sotto la cupola di Palazzo federale non manca chi ritiene che i Coronaleaks abbiano in qualche modo accelerato questa uscita di scena, anche se va detto che Berset era in Governo già da dodici anni, i tempi per le dimissioni erano di certo in ogni caso maturi.

Ma veniamo al presente, ora nella bufera c’è finita Viola Amherd, dal primo gennaio è lei a vestire la casacca di presidente della Confederazione. Come nel caso di Berset non è questa carica a pesare ma il suo ruolo di ministra, visto che al centro delle diatribe ci sono i conti in rosso dell’esercito e la linea comunicativa scelta dalla stessa Amherd, responsabile del Dipartimento federale della difesa. Per mettere a fuoco quello che sta capitando occorre fare un paio di passi indietro e tornare perlomeno allo scorso 26 gennaio. Quel giorno, a sorpresa, l’esercito svizzero comunica di dover rinunciare «a una parte sostanziale degli eventi pubblici pianificati nel 2024 e nel 2025 a causa della difficile situazione finanziaria». Fine della citazione e inizio dello sconcerto: ma come, anche l’esercito non riesce a saldare le fatture? Nel concreto i tagli riguardano diverse grandi manifestazioni militar-popolari, come per esempio l’Air Spirit 24 previsto a Emmen per il prossimo mese di agosto. Un evento che avrebbe messo le forze aeree elvetiche in bella mostra e per il quale erano attesi fino a 80mila spettatori. L’esercito ha rinunciato a malincuore a questi eventi, considerati una sorta di vetrina per presentarsi al pubblico e per cercare di rafforzare la propria legittimità nel Paese. La notizia suscita subito i primi commenti irritati di diversi parlamentari, in particolare quelli da sempre schierati in difesa del grigio-verde.

I risparmi previsti vengono quantificati a tre milioni e mezzo di franchi. Qualche giorno dopo, era il 31 gennaio, un servizio mandato in onda dalla radio pubblica svizzero-tedesca mette in evidenza, documenti alla mano, che i guai finanziari dell’esercito sono in verità ben più ampi, con un ammanco che supera il miliardo di franchi. Il giorno dopo il caso approda con clamore tra i banchi della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio degli Stati, presenti anche Viola Amherd e il capo delle nostre forze armate Thomas Süssli. A porte chiuse, tra lo stupore e il malumore dei senatori, tocca a loro cercare di chiarire la situazione. Una disanima del tutto inedita in un Paese come il nostro in cui l’espressione «conti in rosso» non era mai stata abbinata alle finanze delle forze armate. Nella successiva conferenza stampa lo stesso Süssli fa sapere che l’ammanco si aggira attorno al miliardo e 400 milioni, scoprendo definitivamente le carte davanti al Paese intero. E così la Svizzera si trova a doversi confrontare con questa realtà: l’esercito, persino l’esercito fa fatica a far quadrare i conti. Senza entrare nei dettagli contabili, va detto che una delle principali cause di questi problemi di liquidità è da ricondurre all’invasione russa dell’Ucraina, iniziata ormai due anni fa.

Nella primavera del 2022 una maggioranza del Parlamento svizzero ha voluto imprimere un’accelerazione agli investimenti militari, visto il ritorno della guerra in Europa e per ovviare alle diverse cure dimagranti a cui l’esercito era stato sottoposto dalla caduta del Muro di Berlino in poi. L’obiettivo è presto detto: riportare il bilancio dell’esercito all’1% del Prodotto interno lordo entro il 2030, nel concreto i fondi assegnati alle forze armate sarebbero passati a 9 miliardi e mezzo di franchi all’anno, ben 4 miliardi in più rispetto a quanto previsto prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Questo via libera parlamentare ha portato i vertici dell’esercito a mettere mano al portafoglio, senza però fare i conti con l’oste, o meglio con la ministra delle finanze Karin Keller Sutter e con il Governo nel suo insieme. Un anno fa dal Consiglio federale è infatti arrivata una brusca frenata, l’obiettivo dell’1% del Pil rimane ma cambia la data di riferimento, non più entro il 2030 ma entro il 2035. Confermati in dicembre anche dal Parlamento, questi 5 anni in più rallentano il flusso di fondi in arrivo nelle casse grigio-verdi. Per Thomas Süssli «non è un dramma» anche se a suo dire si dovrà aspettare fino al 2028 prima di poter uscire da queste apnee finanziarie.

Fin qui gli aspetti contabili, poi ci sono quelli politici. E qui a far molto rumore è il silenzio di Viola Amherd. Su questa vicenda la ministra della difesa si è espressa finora solo con poche parole per ripetere lo stesso ritornello: non c’è un buco nelle finanze dell’esercito. Lo ha ripetuto anche la settimana scorsa nel suo viaggio in Estonia. Decisamente troppo poco per chi porta la responsabilità politica delle nostre forze armate, non per nulla da più parti sono piovute critiche nei suoi confronti, in particolare da chi chiede ora una totale trasparenza sui conti militari. Del tema si parlerà comunque presto in Parlamento, anche perché la Confederazione è chiamata a varare al più presto delle manovre di risparmio, per far fronte ad un disavanzo che già a partire dal 2025 raggiungerà i 2 miliardi e mezzo di franchi. Con tagli già annunciati in diversi settori: nell’asilo, nell’assicurazione contro la disoccupazione o ancora nelle infrastrutture ferroviarie. Sacrifici che aumenteranno di certo la pressione anche sui fondi a disposizione dell’esercito, destinati comunque ad aumentare, anche se meno velocemente del previsto. Il tiro alla fune sul bilancio è già iniziato, con in conclusione un ultimo appunto: chi sarà la presidente della Confederazione nel 2025? Karin Keller Sutter, la ministra delle finanze. Come dire: vista la precaria salute dei conti pubblici prepariamoci ad un terzo inverno di polemiche presidenziali.