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Canada, la vittoria a sorpresa di Carney
Paola Peduzzi
Mark Carney ha festeggiato ballando la sua vittoria alle elezioni canadesi: si è tolto l’abito da «uomo di Davos» in cui vogliono classificarlo i suoi detrattori e ha infilato una felpa rosso-Canada con il cappuccio, ha alzato le braccia mentre la band sul palco lo indicava tra gli applausi, ha guardato sua moglie e le sue figlie con lo sguardo che solo un padre ha, e ha ringraziato Donald Trump, che con la sua politica dei dazi e le sue mire annessionistiche ha molto contribuito a questo successo. Il Partito liberale canadese, guidato per un decennio dall’ex premier Justin Trudeau, annaspava fino a due mesi fa a venti punti di distanza nei sondaggi dal Partito conservatore di Pierre Poilievre, energico quarantenne considerato il «Trump canadese» quando Trump era quello che vince, che sbaraglia le sinistre, che conquista i cuori degli elettori, o almeno la loro pancia. Poi Trudeau si è dimesso, per una rivolta interna al suo Governo determinata proprio dal ritorno del presidente Usa alla Casa Bianca. Trump non si era ancora insediato formalmente ma aveva già iniziato a minacciare i dazi, a svilire la sovranità del Canada dicendo che come Nazione non ha alcun senso, come 51esimo Stato americano invece sì, e Trudeau era considerato dai suoi poco preparato per la valanga in arrivo, ancora illuso che Trump annunciasse ma poi non mettesse in pratica. Carney ha preso il posto di Trudeau, ha costruito la resistenza ai dazi e alle minacce del presidente americano, ha indetto elezioni ravvicinate per sfruttare il momento d’oro, ha usato uno slogan caro ai giocatori e ai fan dell’hockey, «elbows up», gomiti in alto, si combatte e ci si protegge, e ha avuto ragione.
I commentatori si dividono, nelle loro analisi, tra chi indugia sull’ascesa straordinaria di Carney, ex governatore dei due mondi – prima della Banca centrale canadese durante la crisi finanziaria del 2009, poi della Banca centrale d’Inghilterra, durante la Brexit – che era stato corteggiato in passato anche dai Governi conservatori per il suo profilo da «tecnico» e che ha saputo maneggiare la ripresa del Partito liberale, e chi invece indugia sulla straordinaria sconfitta della destra di Pierre Poilievre, inimmaginabile fino a poco tempo fa. Poilievre ha pagato il fatto di essere associato a Trump, ma l’ironia sta nel fatto che il leader conservatore canadese ha sì utilizzato slogan trumpiani – sul taglio alle tasse, sulla lotta al crimine – ma sui due temi che definiscono il trumpismo, la battaglia contro i migranti e i dazi, è allineato con la sinistra. Durante la campagna elettorale Poilievre ha cercato di ridefinire il suo posizionamento, ha levato il trumpismo dalla sua retorica, ha spiegato che i dazi sono un danno per il Canada e per l’America, ha raccontato come l’immigrazione sia un elemento fondativo della cultura e della società canadese, ha ribadito la sua accusa contro «il decennio perduto» a causa delle scelte sbagliate della sinistra al Governo, ma non è stato convincente. I canadesi si sono spaventati di fronte a Trump, hanno sentito la sua politica anti-canadese come un tradimento e sono corsi a sostenere il leader più battagliero.
Ora però Carney dovrà trovare un altro modo per dialogare con Washington: con uno scambio commerciale pari a 940 miliardi di dollari, la rottura non è praticabile. La prima occasione potrebbe essere il G7 a giugno, che si terrà nella città di Kananaskis, nello Stato canadese dell’Alberta: la presenza di Trump non è ancora confermata, ma nella conversazione che Carney ha voluto imbastire col presidente americano sembra che si siano dati un mezzo appuntamento. Gli imprenditori canadesi chiedono al premier di inquadrare i negoziati all’interno del nuovo Nafta, l’accordo di libero mercato tra Usa, Canada e Messico che era stato ridefinito dallo stesso Trump durante il suo primo mandato. L’obiettivo è riportare certezza e prevedibilità nei rapporti tra i due Paesi ma queste sono anche le condizioni necessarie per la stabilizzazione dei mercati in generale. Carney vorrebbe fare un passo ulteriore e presentare il Canada come un nuovo punto di riferimento globale, un po’ più vicino all’Europa. I canadesi desiderosi di avvicinarsi all’Ue oggi sono molti di più, e c’è un allineamento sostanziale sul sostegno all’Ucraina oltre che una collaborazione su tecnologia, terre rare, materie prime ed energia. Il blocco europeo e il Canada però condividono anche una delle ragioni dell’ira americana: spendono poco nella difesa. Si stanno attrezzando, e forse Carney può fare da stimolo agli amici europei anche per quel che riguarda la questione più ampia: cosa fare con Trump.