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Perché introdurre o alzare i dazi?
Angelo Rossi
Ora che, dopo tanto abbaiare, il cane avrebbe deciso di mordere, si cominciano a vedere le conseguenze negative della morsicatura. Stiamo parlando ovviamente delle conseguenze che sta avendo, anche sull’economia svizzera, l’introduzione dei dazi decisa dall’amministrazione Trump. L’imposizione di un dazio su un prodotto ha, nel mercato del Paese importatore, lo stesso effetto di un aumento di prezzo: fa diminuire la domanda di quel prodotto e riduce la competitività dell’azienda esportatrice nei confronti, per esempio, di competitori locali.
A farne le spese sono in primis i consumatori del Paese importatore e le aziende esportatrici che devono pagare i dazi. A dipendenza dell’importanza dello scambio di merci, anche le economie dei Paesi implicati dovranno sopportarne le conseguenze. Quella del Paese esportatore potrebbe subire un colpo di freno nello sviluppo delle sue attività. Quella invece del Paese importatore oltre alla frenata nella crescita potrebbe dover affrontare anche un’ondata inflazionistica. E ancor prima di prezzi, crescita o disoccupazione sarà la caduta dei valori di borsa a dare l’allarme.
Ma allora se si tratta di soluzioni «lose-lose», con conseguenze negative per tutti, ci si può chiedere per quale ragione un Paese decide di introdurre o di rialzare i dazi. Solo per vedere l’effetto che fa? Nel dare risposta a questo interrogativo i commentatori sono divisi. Ci sono quelli come Eric Gujer, capo-redattore della «Neue Zürcher Zeitung», che pensano che in politica la stoltezza sia un fatto normale e citano una lunga serie di fatti storici per provare la fondatezza della loro affermazione. Altri invece, come per esempio il quotidiano gratuito «20 minuti», affermano che dietro al comportamento apparentemente irrazionale di Trump e dei suoi c’è un piano, il cosiddetto «accordo di Mar-a-Lago», che perseguirebbe due obiettivi: dapprima quello di rilanciare l’industria degli Stati Uniti e, in secondo luogo, quello di indebolire il dollaro per ridurre il peso del loro debito pubblico. Quanta verità ci sia in queste informazioni resta da vedere. Quello che si può costatare è che il dollaro sta perdendo di valore. Si sta avvicinando agli 80 centesimi di franco.
A farne subito le spese è la nostra Banca nazionale (Bns) che vede le sue riserve in dollari svalutarsi di giorno in giorno. Sembra che quando il dollaro, rispetto al franco, perde un centesimo di valore, la Bns ci rimetta 3,5 miliardi. Più che compensate, nel primo trimestre di quest’anno, grazie all’aumento del prezzo dell’oro, queste perdite dovrebbero invece tradursi, a fine anno, in un largo deficit della Bns. Come si è ricordato qui sopra, Trump spera anche di poter sostituire le importazioni di prodotti e componenti industriali con produzione locale così da rilanciare, nel lungo termine, la sua economia. Non c’è però nessuna garanzia che il colpo riesca. I lettori ricorderanno il pasticciaccio che egli fece, nella sua prima presidenza, imponendo dazi sulle importazioni di acciaio. Da un lato, è vero, gli riuscì di creare nuovi posti di lavoro nelle acciaierie statunitensi. Ma dall’altro, in seguito all’aumento dei prezzi dell’acciaio sul mercato interno, distrusse ancora più posti di lavoro nelle aziende industriali che utilizzavano l’acciaio nelle loro produzioni.
Ci sono infine commentatori che reputano che il presidente americano intenderebbe utilizzare i dazi annunciati come merce di scambio per ottenere dai Paesi esportatori altri favori. I dazi, qui, diventano vere e proprie sanzioni. L’esempio più evidente di queste possibili pressioni è rappresentato da come il presidente sta obbligando i Paesi del Centro e dell’America latina ad accettare il rientro di persone emigrate illegalmente negli Stati Uniti. È pure possibile che un ricatto del medesimo tipo si istalli con i Paesi europei intorno agli obiettivi di una possibile politica di difesa comune. Si annuncia quindi un periodo di negoziazioni internazionali che, sotto la spada di Damocle dei dazi, potrebbe durare tutta la legislatura. Ricordiamo infine che, per alcuni rami esportatori della nostra economia, i nuovi dazi costituirebbero un’autentica mazzata e che data la piccola dimensione dei flussi del suo commercio nel totale delle importazioni degli Stati Uniti, la Svizzera non potrà reagire se non continuando a negoziare.