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Se lei scrive, io non ceno con mia madre

/ 28/04/2025
Giulio Mozzi

Suona il telefono. Rispondo.
«Buongiorno, parlo con lo scrittore Mozzi?», dice una voce maschile un po’ afona.
«Sono Giulio Mozzi, e sono uno scrittore», dico. «Ma non sono l’unico Mozzi che scrive libri».
«Ci sono altri Mozzi scrittori?», dice la voce maschile un po’ afona.
«Ce n’è uno che scrive libri di diete», dico. «Un altro che si occupa di fitoterapia. E un altro ancora che ha scritto un manuale per prepararsi all’esame per la patente. Poi, per dire, anche mio padre ha scritto un libro: sull’allevamento delle anguille».
«Lei mi confonde», dice la voce maschile un po’ afona. «Io cercavo lo scrittore di racconti Mozzi».
«Allora cercava me», dico. «Io scrivo racconti».
«E non poteva dirlo subito?», dice la voce maschile un po’ afona.
«Ma ormai ci siamo capiti», dico. «E: con chi ho il piacere di parlare?».
«Io sono un lettore», dice la voce maschile un po’ afona.
«E non ha nome e cognome?», dico.
«Non ha importanza», dice il lettore. «Io sono un lettore come tanti, un puntino nella massa».
«Va bene. E, mi dica», dico, «in che cosa posso esserle utile?».
«Devo dirle una cosa», dice il lettore.
«Dunque me la dica», dico.
«Ci sono troppi libri», dice il lettore.
«E qual è il problema?», dico.
«Non riesco a leggerli tutti», dice il lettore.
«Be’», dico, «lei pensa di dover leggere tutti i libri?».
«Scrittore Mozzi, non faccia l’ingenuo», dice il lettore. «Se non fossero da leggere, perché mai li stamperebbero?».
«Ma forse non sono tutti per lei», dico. «A lei interessa qualunque libro?».
«Io sono il lettore», dice il lettore. «Io sono quello che vi mantiene tutti».
«Tutti chi?», dico.
«Tutti voi scrittori», dice il lettore.
«Guardi», dico, «la dispenso ufficialmente dall’onere di mantenere me».
«Troppo tardi», dice il lettore. «I suoi libri li ho letti tutti».
«Mi dispiace», dico.
«Anche a me», dice il lettore. «Non mi sono piaciuti per niente».
«Eh, non si può piacere a tutti», dico.
«Perché», dice il lettore, «a qualcuno sono piaciuti?».
«A qualcuno sì», dico. «Non a tanti. Io sono uno scrittore che vende poco».
«Poco», dice il lettore.
«Sì», dico, «poco».
«Cioè quanto?», dice il lettore.
«Tre, quattromila copie a libro», dico.
«Ah», dice il lettore.
«Eh», dico.
«E come fa a campare?», dice il lettore.
«Lavoro», dico.
«Lavora?», dice il lettore.
«Sì», dico. «Per me scrivere libri è un hobby».
«Un hobby?», dice il lettore.
«Un passatempo», dico. «Una cosa che mi va di fare. Ma non è di questo che campo».
«E di cosa vive?», dice il lettore.
«Questi sono fatti miei», dico.
«Tratta degli schiavi?», dice il lettore.
«No, quello era Rimbaud», dico.
«Spaccia stupefacenti?», dice il lettore.
«No, quello è… Non mi faccia parlare», dico.
«Quindi lei vive nella miseria», dice il lettore.
«Ma no, ma no», dico. «Campo dignitosamente».
«Campa dignitosamente», dice il lettore con uno strano tono, quasi sovrappensiero. «E per lei scrivere libri è un hobby».
«Così è», dico.
«Scrittore Mozzi», dice il lettore. «Avrei una richiesta».
«Mi dica», dico.
«Lei sta scrivendo un altro libro?», dice il lettore.
«Ne sto scrivendo due», dico. «Uno di racconti e uno di critica letteraria».
«La smetta!», dice il lettore, con una voce che improvvisamente non è più afona.
«E perché dovrei smettere?», dico.
«Due libri in meno da leggere, capisce?», dice il lettore.
«Ma lei non è mica obbligato a leggerli», dico.
«Col risparmio di due libri», dice il lettore, «mi faccio una pizza con la mamma!».
«E allora ignori i miei libri», dico, «e vada con sua mamma in pizzeria».
«Non è possibile, scrittore Mozzi», dice il lettore. «Io sono il lettore. Io sono tutti i lettori. Se lei pubblica altri due libri, mi tocca leggerli».
«Senta», dico, «forse ho la soluzione».
«Mi dica», dice il lettore.
«Glieli regalo», dico.
«Me li regala?», dice il lettore.
«Certo», dico. «Lei mi lascia l’indirizzo, e quando escono glieli mando».
«E se poi non mi piacciono neanche questi?», dice il lettore.
«Se li rivende», dico. «Così dopo la pizza le viene anche il dolce».